Siria, una generazione perduta e l’indifferenza dell’Europa

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In Europa ci sono 500 milioni di persone che producono ogni anno un Pil superiore a quello degli Stati Uniti. E che non hanno trovato un modo dignitoso per aiutare 800 mila bambini siriani al di sotto dei 5 anni. Una macchia difficile da mandare via.

Articolo di: Fausto Corvino – ilfattoquotidiano.it

La Siria è ormai un paese devastato. Cinque anni di guerra hanno distrutto tutto, case, scuole. strade, ospedali. Oltre la metà dell’intera popolazione è dispersa. Duecentocinquantamila persone sono morte. Tredici milioni e mezzo hanno bisogno di assistenza umanitaria. Quattro milioni e mezzo di rifugiati hanno varcato i confini nazionali per rifugiarsi in altri paesi della regione.

Enormi campi di accoglienza in Turchia, Libano, Giordania, e Iraq. Povertà su povertà. Metà dei rifugiati sono bambini, 2.4 milioni. Quasi tutti vivono in condizioni critiche. Tre milioni e mezzo di bambini siriani sono nati negli ultimi cinque anni. E non hanno conosciuto niente altro che la guerra o la disperazione dei campi di accoglienza.

In Libano molte famiglie di rifugiati siriani sono state costrette a mandare i propri figli a lavorare, nei campi, nei mercati, nella fabbriche di alluminio, sui marciapiedi, in situazioni precarie e pericolose. Minori ridotti in una forma di quasi schiavitù, tentativo estremo di sopravvivere.

Centinaia di bambine sono state date in sposa a persone straniere, dai propri genitori, nella speranza di metterle in salvo dalle terribili conseguenze di un conflitto che ha spazzato via tutto. In Giordania, ad esempio, un terzo dei matrimoni nei campi profughi coinvolge minori. Il fenomeno si è triplicato rispetto al 2011. Parliamo anche di bambine di 12 o 13 anni che vengono affidate a uomini sconosciuti, e diventano madri prima dei 14 anni.

In Europa ci sono 500 milioni di persone che producono ogni anno un Pil superiore a quello degli Stati Uniti. E che non hanno trovato un modo dignitoso per fare fronte all’emergenza di poco più di 800 mila bambini siriani al di sotto dei 5 anni, riallocati in Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Iraq. Due milioni e quattro se si contano anche i bambini al di sopra dei 5 anni.

Un’intera generazione di piccoli siriani, senza più una casa, senza più un paese, è ormai andata perduta, nell’indifferenza di un vecchio continente che si trincera nel suo enorme benessere. Enorme, ovviamente, se si considera la ricchezza totale, indipendentemente da come sia distribuita internamente.

E le proporzioni colpiscono più di ogni cosa. In Libano ci sono un milione di rifugiati siriani, che ormai rappresentano un quinto dell’intera popolazione presente sul territorio. Un sovraccarico folle che non avrebbe potuto generare altro che violenza e sfruttamento. L’educazione di questi bambini in fuga è stata affidata a un sistema di rotazione. I Libanesi vanno a scuola la mattina, i rifugiati il pomeriggio. La Turchia a la Giordania hanno cercato di replicare questo schema, ma i risultati sono stati molto discutibili.

In un appello lanciato a Gennaio, l’ex premier inglese Gordon Brown ha ammonito che se non si agisce immediatamente migliaia di bambini siriani rischieranno di diventare adulti senza avere trascorso neanche un giorno a scuola. Ma immediatamente è troppo tardi. Lo scorso febbraio si è tenuta una conferenza internazionale a Londra per raccogliere fondi a favore della popolazione siriana.Tra i punti su cui si è raggiunto un accordo tra i diversi paesi partecipanti c’è l’obiettivo di portare a scuola un milione di giovani siriani entro fine anno. Un’intera generazione di siriani è, effettivamente, ormai irrecuperabile. Quello che ora si cerca di evitare che accada è purtroppo già accaduto.

Quando, tra qualche decennio, si studierà la storia europea di inizio millennio forse vedremo tutto da una prospettiva diversa. Idomeni, i gas lacrimogeni lanciati sugli accampamenti, i sepolcri in mare, gli scambi di esseri umani con la Turchia di Erdogan, i bambini rimasti soli a Calais, i 294 parlamentari inglesi che votano per lasciarli lì, le infinite discussioni per decidere di fare presto, i recinti, le barriere, le quote. Lo squilibrio numerico tra chi non sa più dove andare e chi si nasconde dietro l’illusione di una finta normalità sarà una macchia difficile da lavare via.

Da perlapace


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