Regeni, richiamato ambasciatore dall’Egitto

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Questa volta la reazione alle false piste e alle ricostruzioni incomplete e inverosimili sulla morte di Giulio Regeni è stata quella giusta e inevitabile. Il ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, informato del sostanziale flop degli incontri con gli inquirenti egiziani, che continuano a insistere che il ricercatore italiano è stato ucciso da comuni criminali, ha disposto il richiamo a Roma per consultazioni dell’Ambasciatore al Cairo Maurizio Massari.
La decisione fa seguito agli sviluppi delle indagini e in particolare all’atteggiamento mostrato dalla delegazione arrivata mercoledì sera dall’Egitto nel corso delle riunioni con il team investigativi italiano ed egiziano. La Farnesina ha reagito, d’accordo con Palazzo Chigi, con fermezza e ha diffuso una nota dove sottolinea che “in base a tali sviluppi si rende necessaria una valutazione urgente delle iniziative più opportune per rilanciare l’impegno volto ad accertare la verità sul barbaro omicidio di Giulio Regeni”.

Quella disposta dal governo italiano è una misura finalmente adeguata alla gravità di quanto avvenuto al Cairo il 25 gennaio. Una condizione elementare per far intendere all’Egitto che facciamo sul serio. Richiamare un ambasciatore, in diplomazia, non è un atto di guerra ma una forma aspra di dialogo, un registro superiore di confronto diplomatico che condividiamo e sosteniamo.

Alla morte di Giulio si era aggiunta un’altra tragedia: i due mesi e mezzo di menzogne egiziane. Non si poteva più permettere, per rispetto alla memoria di questo giovane che non aveva alcuna colpa se non il desiderio di voler scoprire il mondo, che al-Sisi e il suo governo continuassero con pietose messe in scena, favorendo depistaggi e proponendo soluzioni che sono apparse subito un insulto all’intelligenza. Ci auguriamo solo che non sia troppo tardi e che questo ritardo non condizioni l’esito finale.

Avevamo ipotizzato nei giorni scorsi, proprio da queste pagine, che l’esito degli incontri potesse risultare fallimentare. Era inevitabile che prevalesse lo scettiscismo. Oggi abbiamo la conferma di quanto temevamo.

Giulio Regeni è stato torturato, il suo corpo sul lettino dell’obitorio, dove lo hanno rivisto i genitori arrivati al Cairo pochi giorni dopo il suo ritrovamento, era ricoperto di lividi e di segni di bruciature e il suo volto era così malridotto che mamma Paola aveva raccontato che l’unica cosa che aveva riconosciuto di suo figlio era la “la punta del naso”.
Era, è, inaccettabile cercare di negare responsabilità di Stato per nascondere i conflitti politico-sociali in un Paese, come l’Egitto, frantumato dalle pesanti e torbide relazioni tra regime dispotico, apparati statali e attività criminali.

Le quotidiane violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Al- Sisi attraverso strutture ufficiali e strutture parallele e illegali, non permettevano di derubricare l’uccisione di Regeni a delitto di criminalità.

Dal primo momento ci siamo spesi per la campagna di Amnesty International e abbiano chiesto ‘Verità e giustizia per Giulio’. Siamo in tanti, non solo i genitori di Giulio, a pretendere un movente credibile e una ricostruzione attendibile di quanto accaduto al Cairo.
Per Giulio e per gli altri desaparecidos d’Egitto di cui, già da fine 2015, Amnesty, Human Right Watch e altre organizzazioni per i diritti umani segnalavano centinaia di episodi.

Per tutti loro e per chiedere ancora una volta verità e giustizia per Giulio Regeni, il 2 maggio Articolo 21 e Federazione nazionale della Stampa, nella giornata dedicata alla libertà dell’informazione, animeranno un sit-in davanti all’ambasciata egiziana a Roma.

Perché non ci fermeremo fino a quando non otterremo le risposte finora negate.


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