Elezione permanente

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Tra poco voteremo, e poi voteremo di nuovo e poi di nuovo, e poi ancora –forse- di nuovo. Si apre, così, una stagione di “elezione permanente”, democratica e sfiancante per un corpo elettorale deluso, critico e lontano dalla politica. Il 17 aprile voteremo per il referendum abrogativo sulle “trivelle”, poi per eleggere 1.371 sindaci, poi di nuovo per il referendum confermativo sulle modifiche della Costituzione e poi chissà per che cosa. I cittadini andranno a votare per il sindaco, scegliendo – come nel caso di Roma, massacrata da “Mafia capitale”- il “meno peggio”. Il referendum sulle “trivelle”, invece, è ancora “misterioso” perché fino ad oggi è stato raccontato in politichese stretto, ad esclusivo beneficio della “casta” di giornalisti e politici. Fino ad oggi, o quasi, si è parlato solo delle baruffe interne al Pd, tra i presidenti delle Regioni, quasi tutti Pd, e il governo a trazione Pd, tra la sinistra Pd e la maggioranza Pd, naturalmente con Matteo Renzi al centro di tutte le polemiche, ma sull’argomento specifico del referendum si è capito poco o nulla.

In realtà, la dialettica tra Governo e le nove Regioni ribelli ha portato importanti risultati sul piano della tutela ambientale, tanto e vero che la Corte Costituzionale ha ammesso solo uno dei sei quesiti originari. Adesso, sul referendum residuo, prevale una sorta di mitologia comunicativa: le “trivelle” sono per definizione un po’ volgari; il petrolio è (davvero) brutto, sporco e cattivo; i petrolieri sono (davvero) troppo ricchi e spesso “creatori” di guerre. Come se non bastasse, è arrivato l’inciampo (skàndalon, in greco) della telefonata “inopportuna” della (ex) ministra al suo fidanzato, che non c’entra niente con il referendum, ma con il petrolio tutto fa brodo.

Il quesito che rimane è piccolo piccolo e vorrebbe bloccare le famigerate trivelle in azione, alla fine delle concessioni esistenti, anche se i giacimenti sono ancora attivi. C’è il rischio di aprire la strada a nuove trivellazioni? Sembra di no, perché il governo, sull’onda del confronto con ambientalisti e referendari, lo ha vietato. C’è il pericolo di nuovi inquinamenti? Non si può mai escludere, ma fino ad oggi le norme antinquinamento hanno funzionato. Le pessime trivelle ostacolano la diffusione delle energie alternative e non inquinanti? Non proprio, visto che le energie rinnovabili in Italia sono in continua crescita. E se vincessero i Sì al referendum? Niente di grave, bisognerebbe solo comprare più gas e più petrolio da russi e libici. Probabilmente Matteo Renzi ha ragione quando dice che il referendum è inutile e costoso, ma è stata pessima la sua scelta di non accorparlo alle elezioni comunali, per evitare il quorum necessario. Ancora peggiore è stato il suo invito –di infausta memoria- agli italiani di disertare le urne. Il risultato è un ulteriore sbandamento del Partito democratico e la tentazione di molti di andare a votare in massa per fargli dispetto.

Lo stesso si può dire per il referendum confermativo, senza quorum, per l’abolizione -o meglio, per la riduzione un po’ pasticciata- del Senato, ponendo fine al “bicameralismo perfetto” e altre voci accessorie come la chiusura del più che inutile Cnel. Sembrerebbero quesiti molto ragionevoli, ma per autorevoli costituzionalisti si tratta di un atto arrogante e pericoloso del Governo, anche se tutto avviene nel rispetto dell’articolo 138 della Costituzione. Anche qui Matteo Renzi ci ha messo del suo, quando ha annunciato -in caso di sconfitta- il suo ritiro dalla politica con conseguente crisi di governo. Alle opposizioni, dentro e fuori al Pd, è venuta l’acquolina in bocca e adesso sperano di mandare definitivamente a casa il Gianburrascca della politica italiana. In questo caso voteremo di nuovo, ma senza sapere come, quando, per chi e per che cosa. Non male per tentare di riavvicinare alla politica i disorientati e arrabbiati cittadini italiani.


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