Dire “sei una m…”, ora si può. Parola di Cassazione… Trent’anni fa si rischiavano due anni e sei mesi, senza condizionale

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Due lanci di agenzia (l’agenzia “Italia”) che mi incornicerò. Questo è il titolo: “Cassazione: legittimo paragonare qualcuno a una m… se è satira”. Li incornicio perché sono l’equivalente della vendetta di quel cinese che in riva al fiume attende che passi il cadavere del suo nemico. Quel cinese sono io. E’ da trent’anni che aspetto questo momento. Ma innanzitutto l’agenzia:

“E’ “legittimo” l’esercizio del “diritto di satira” nel caso di “impiego di un detto popolare che comporti il rischio di identificazione di una persona con un escremento”, se “contestualizzata” e riconosciuta “sorretta dall’intento di esasperazione grottesca od iperbolica dell’impraticabilità di un ipotizzato paragone della condotta da quella persona tenuta, pubblicamente ammessa o riconosciuta, ad altra vicenda storica”. E’ il principio di diritto applicato dalla terza sezione civile della Cassazione nell’ambito della causa che ha visto contrapporsi Renato Farina e il gruppo ‘L’Espresso’: Farina aveva chiesto un risarcimento danni perché, nel 2006, “in relazione alla scoperta del suo coinvolgimento con il Sismi – si legge nella sentenza – nella rubrica on line di ‘Repubblica’ e nella rubrica curata da Vittorio Zucconi”, alla lettera di un lettore che chiedeva “se la vicenda potesse accostarsi a quella di Hemingway siccome anche lui spia per il Dipartimento di Stato”, comparve per risposta il richiamo ad una battuta del comico Gino Bramieri di “evitare di confondere il risotto con la merda”. In primo grado, il tribunale di Monza accordò a Farina un risarcimento di 50mila euro, mentre in appello, i giudici milanesi respinsero la domanda di risarcimento ritenendo “integrata l’esimente del diritto di satira”. Anche la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di Farina, sottolineando che “il diritto di satira, a differenza da quello di cronaca, è sottratto al parametro della verità del fatto, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, purché il fatto sia espresso in modo apertamente difforme dalla realtà, tanto da potersene apprezzare subito l’inverosimiglianza e il carattere iperbolico”. I giudici di piazza Cavour hanno quindi ritenuto “non affette da gravissimi vizi” le motivazioni della Corte territoriale nel senso di “escludere il carattere di ingiuria diretta nell’impiego di un detto popolare onde recidere in radice ed in modo grottescamente iperbolico, nel senso di manifestamente esasperato e disancorato da ogni intrinseca verosimiglianza del paragone – conclude la sentenza – qualunque anche minima possibilità o ipotesi di accostamento della vicenda odierna (il coinvolgimento di un onorevole, giornalista, al soldo dei servizi segreti) ad altra del passato e relativa a personaggio di rilevanza storica”.

Non entro nel merito, non conosco Farina, non m’interessa prendere la sua parte, o, al contrario prendere quelle de “l’Espresso”. La mia personale “vendetta” riguarda altro. Trenta anni fa, tra le cose che mi è accaduto di fare, c’è stata anche quella di dirigere un settimanale satirico che ha fatto storia, si chiamava “Il Male”. Svariate autorità costituite ogni settimana lo inondavano di denunce, querele, sequestri. Sono arrivato a contare cinquanta querele, poi mi sono stufato e ho smesso. C’è stato anche un arresto durato una settimana, ma questa è un’altra storia.

Una volta qualcuno, per reagire a un ennesimo sequestro, o denuncia o querela, scrisse, firmandosi Tersite, un editorialino dove un certo magistrato veniva qualificato appunto con il termine escrementizio che la Cassazione ha ritenuto non offensivo. Trent’anni fa evidentemente le cose andavano diversamente: in primo grado collezionai una condanna a due anni e sei mesi, senza condizionale, in Appello la sentenza venne confermata. Confesso che cominciai a preoccuparmi. Montai un bel po’ di casino mediatico: interrogazioni, interpellanze e cose così, anche per vincere l’indifferenza dei miei colleghi; e in particolare devo qualcosa a Oreste del Buono, Giorgio Forattini, Giampiero Mughini, Marco Pannella, Salvatore Sechi che pubblicamente si schierarono a mio favore. Quel casino mediatico ottenne il suo scopo: il procedimento si è “perso”, chiuso in qualche cassetto, dopo che la Cassazione se ne lavò le mani individuando un qualche difetto di forma. Alla fine “santa prescrizione” ha risolto il problema. Ma solo perché si riuscì a piantare un po’ di casino; in primo grado e in secondo, due corti di giustizia, molto seriamente, per uno sberleffo satirico pensarono fosse giusto prendere un direttore responsabile e sbatterlo in galera per anni due e mesi sei, senza condizionale.

Ora, la sentenza citata: se è “satira…si può”. Me ne compiaccio. Al tempo stesso un dubbio: non è che trenta anni fa non si poteva perché l’offeso non era Farina, ma un magistrato? Confesso che il dubbio, il sospetto, ce l’ho. Ma mi “pento” subito. Prometto che non lo penserò più…


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