La Pas entra in Viminale grazie a Hunziker e Bongiorno, i centri antiviolenza insorgono e l’Onu bacchetta l’Italia

0 0

C’è una madre che sembra ridotta uno straccio. E’ una donna che racconta la sua storia: quella di un figlio abusato sessualmente dal padre all’età di quattro anni, un marito che la picchiava e che ha cercato di ucciderla. Un bambino che oggi ha 8 anni e che il tribunale dei minori costringe a vedere il padre malgrado la sua volontà a non voler vedere più il suo abusante. Un obbligo che il giudice ha deciso malgrado le indagini in penale e malgrado un abuso certificato da un grande ospedale di Roma, una scoperta agghiacciante che portò, a suo tempo, questa madre a denunciare quell’uomo e a separarsi subito. Una decisione che gli sta costando cara perché se da un lato il tribunale penale sta proseguendo l’inchiesta, dall’altra le perizie e la Ctu del tribunale dei minori l’accusa di essere una madre malevola che si oppone al ricongiungimento tra padre e figlio il quale grida, inascoltato, il suo disagio e la volontà di non vedersi più davanti quell’uomo come invece è costretto a fare. “E’ come se l’abuso sessuale certificato, il disagio del bambino e le indagini che si svolgono in penale non esistessero – dice la sua avvocata – è assurdo, la trattano come se fosse responsabile delle violenze del marito, come se fossi lei la criminale, e questo grazie alla maledetta alienazione parentale che ormai mettono in tutte le Ctu che i giudici continuano a chiedere”. La donna conferma e aggiunge: “Dicono che mi oppongo al rapporto tra padre e figlio, che sto alienando mio figlio dal padre e che se lui si rifiuta la colpa è mia, sono io che lo manipolo. Della violenza che ha subito mio figlio non si parla, non la prendono proprio in considerazione, anzi l’assistente sociale mi ha anche detto che se non lo porto agli incontri con il padre, il tribunale ci mette 5 minuti a togliermelo e metterlo in casa famiglia. Sono disperata”.

Di storie così ne ho sentite tante in questi anni.

Le gemelline di Napoli che ogni sera venivano molestate sessualmente dal padre che imponeva loro di fare il bagnetto: un uomo che, cacciato dalla moglie e denunciato, è stato assolto per “lavaggi maldestri” perché considerato comunque un buon padre a dispetto di una madre alienante.

Il giovane collocato a 700 chilometri da casa, dove è tornato con mezzi di fortuna da solo e a piedi scappando dalla casa famiglia dove è stato per 4 anni, dopo essere stato prelevato con la forza da scuola dato che la madre era stata giudicata inadeguata dal tribunale dei minori.

La bambina di otto anni che, dopo aver raccontato dettagliatamente le violenze sessuali subite dal padre, si è vista costretta a incontrare il suo abusante perché i periti del tribunale erano convinti che dovesse riappacificarsi con la figura paterna, mentre la madre disperata era costretta a stare zitta perché minacciata di essere accusata di alienare la figlia dal genitore.

Storie di ordinaria follia in un Paese dove ci si lamenta perché le donne non denunciano la violenza vissuta in casa dal partner, senza prendere in considerazione che quando queste donne denunciano vengono rivittimizzate e addirittura criminalizzate da quelle stesse istituzioni che dovrebbero invece sostenerle e aiutarle. Il fenomeno della violenza domestica, che in Italia raggiunge il 70% della violenza sulle donne, ha un aspetto che le istituzioni continuano a non voler vedere: l’enorme sommerso che non dipende dal masochismo delle donne stesse ma dall’inefficienza dello Stato, dalla paura di subire un processo, oltre alla violenza, e adesso anche dal terrore di perdere i propri figli per vederli rinchiusi in casa famiglia o addirittura affidati a un padre violento proprio grazie all’alienazione parentale, che ormai si è infiltrata nei tribunali tra la maggior parte degli psicologi che compilano le Ctu (consulenza tecnica d’ufficio) richiesta ormai come prassi dal giudice quando si tratta di separazioni con minori. Un boomerang che ormai è nota a tutte le signore che vanno per ricevere giustizia e escono massacrate e bollate come criminali: punite come “madri malevole” pericolose, per aver messo in discussione il nucleo familiare e la patria potestà. Un boomerang che si chiama Alienazione parentale (o Sindrome di alienazione parentale che è la stessa cosa) e che davanti a una richiesta di giustizia, fa arrivare a queste donne l’accusa di non voler far vedere i figli all’altro genitore, di alienarli e di metterli contro il coniuge o l’ex partner, senza nessun ascolto né dei minori né delle donne che denunciano e si separano dai maltrattanti, riguardo le violenze vissute.

La colpa, in quelle stanze, è sempre delle madri qualsiasi cosa succeda: lei è super protettiva, lei è una nevrotica, lei è inadatta a fare a madre, è una madre nociva perché è lei che mette il bambino contro suo padre, lei è esagerata perché quest’uomo è comunque un buon padre, lei si è cercata quest’uomo quindi non si lamenti, lei fa la vittima ma in realtà lo vuole solo alienare dal padre. Insomma una serie di giudizi redatti da periti, psicologi e assistenti sociali, assolutamente impreparati in materia di violenza domestica e che invece di andarsi a studiare come s’imposta un colloquio con una donna che ha subito violenza, ricorrono in maniera indistinta alla mediazione – vietata dalla Convenzione di Istanbul in caso di violenza domestica – e applicano al caso, ormai metodicamente, una sindrome inesistente e mai dimostrata: la Pas-Alienazione parentale che ristabilisce di fatto un patriarcato cancellato solo sulla carta in questo Paese.

Ma oggi c’è di più. Si è andati oltre.

Del fatto che questa sindrome sia un’inesistente bufala non riconosciuta scientificamente, e malgrado ciò applicata nei tribunali italiani, se ne è parlato molto e sono anni che insieme ad altri denunciamo questa grave violazione del diritto, su cui l’Italia è stata redarguita, ovviamente non ascoltata, anche dall’Onu. Oggi però assistiamo a qualcosa di osceno perché come se non bastasse la lobby pro-Pas ha trovato due sponsor inaspettate: Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, che pur avendo dato vita a un’associazione che dovrebbe assistere le donne che subiscono violenza, “Doppia difesa”, sponsorizzano l’Alienazione parentale – cavallo di battaglia di uomini e partner violenti nei tribunali quando si parla di affido dei minori – costruendo così un sistema di “doppia accusa” proprio nei confronti delle donne. La show-girl e l’avvocata hanno infatti presentato mesi fa una proposta di legge a iniziativa popolare che vorrebbe mandare addirittura in galera chi si macchia dell’inesistente sindrome (Pas alias Alienazione parentale), eludendo i racconti delle donne che hanno avuto, e hanno tutt’ora, a che fare con la Pas: storie andrebbero ascoltate attentamente da chi si prefigge di aiutarle.

“Ma io non voglio affatto normare la Pas io voglio normare un abuso: chi mi critica non ha letto la mia proposta, che alla Pas non fa cenno”, aveva detto mesi fa l’avvocata Giulia Bongiorno all’Espresso dopo le accuse mosse dai centri antiviolenza su questa proposta di legge, aggiungendo di non aver mai immaginato che “anziché esaminare la proposta, si inventasse una polemica estrapolando da un discorso molto più ampio una parola che, peraltro, nel testo nemmeno compare”.  E per chiarire la loro distanza dalla Pas era anche apparso un comunicato  in cui si dichiarava che l’associazione “Doppia Difesa” aveva “l’obiettivo di combattere la violenza sulle donne e i minori” e che con questa proposta di legge loro chiedevano solo che fosse “introdotta una legge sull’Alienazione parentale”. Una gaffe nella gaffe, dato che la Sindrome di alienazione parentale (Pas) e l’Alienazione parentale sono la stessa cosa (un escamotage linguistico usato dagli “esperti di Pas” dal momento in cui è stata respinta in diversi ambiti istituzionali come il Ministero della salute e la Cassazione), e dato che la stessa Bongiorno, durante la presentazione della proposta di legge fatta a Milano, di fronte a una platea accuratamente scelta, aveva chiaramente parlato di Pas, e quindi di Sindrome di alienazione parentale, dicendo che “i minori sono della comunità e non solo dei genitori, e siccome è stato scoperto che esiste una sindrome che è la sindrome della Pas che in realtà crea un problema psicologico fortissimo nel figlio utilizzato come strumento, a nostro avviso deve esistere una fattispecie incriminatrice che sanziona chi strumenta il figlio” – parole molto chiare forse dimenticate durante l’intervista rilasciata all’Espresso. Presentazione in cui Michelle Hunziker ha chiarito come la loro associazione, che si è occupata di stalking e discriminazione, ha poi anche ricevuto “tantissime richieste di aiuto da parte di padri che non riescono a vedere i loro bambini, che si separano e sono disperati”e che “questa legge si chiamerà Alienazione parentale che provoca la sindrome sul minore della Pas, ma è una violenza anche sul papà o sulla mamma che vive questa cosa” (il testo è rintracciabile nel video postato su Youtube da Affari Italiani).

Dichiarazioni che dimostrano prima di tutto che loro stesse hanno parlato, e parlano, di Pas e Alienazione parentale in maniera indistinta – contrariamente a quanto dichiarato da Bongiorno nelle dichiarazioni successive – ma soprattutto evidenziano quanto le due promotrici di una legge così importante, tanto da prevedere misure detentive, abbiano davvero poco chiaro sia la provenienza e la storia della Pas (Buongiorno dice che “è stato scoperto” senza dare nessun riferimento) sia la fattispecie e lo sviluppo del fantomatica sindrome, ora trasformata in disturbo (Alienazione parentale senza sindrome) dai professionisti della Pas stessa. Le polemiche suscitate e la rivolta delle avvocate dei centri antiviolenza italiani, che mesi fa hanno contestato questa proposta e l’uso strumentale di concetti poco chiari con una lettera aperta alla Rai – dato che Hunziker aveva lanciato questa proposta su Rai tre durante una sua intervista da Fabio Fazio a “Che tempo che fa” – non hanno avuto però l’effetto sperato: le due signore non solo non hanno chiesto un confronto per capire di più su quale terreno si stavano avventurando ma hanno rilanciato la sfida, dopo l’estate, con uno spot sulla pseudo Alienazione parentale al Festival di Venezia, che da pochi giorni va in onda nelle case italiane, in cui chiedono anche dei soldi (dona due euro per combattere la Pas). Un affronto che ha superato le soglie della decenza quando lo spot è stato presentato alla Scuola di perfezionamento delle Forze di polizia come si vede chiaramente sul sito del ministero degli Interni.

Eventi che hanno creato di nuovo lo sdegno dei centri antiviolenza che si sono visti costretti a scrivere nuovamente per chiarire come “L’Alienazione parentale (AP) nuova definizione della ex PAS (sindrome di alienazione parentale) è uno strumento di pura invenzione di chi vuole paralizzare le scelte di vita delle donne che desiderano separarsi da un uomo violento”, e che “Lanciare una campagna contro una sindrome inesistente al fine di sostenere un progetto di legge che vorrebbe introdurre il reato di alienazione parentale, significa fare danno a tutte le donne che hanno figli e vogliono separarsi da un uomo violento”. Tanto che DiRe (la Rete dei centri antiviolenza italiani) si chiede: ma “Doppia difesa avrà assistito donne che vogliono separarsi dal violento e non riescono a tenerlo lontano dalla loro vita perché ci sono i figli?”. Parole che se sono scritte da chi lavora da 30 anni sulla violenza maschile sulle donne e salva queste stesse donne anche dalla morte, devono avere un senso e devono essere ascoltate: il numero delle mamme che oggi hanno paura a separarsi da mariti violenti, perché terrorizzate di perdere i bambini attraverso l’accusa di alienare figli che non vogliono vedere il genitore abusante, è in crescita proprio grazie al dilagare della Pas – AP nei tribunali attraverso le perizie degli psicologi e l’azione di avvocati super addestrati.

Tralasciando volutamente tutti i riferimenti già elencati tante volte in tanti articoli scritti in questi anni su quanti hanno ricusato la pseudo-Pas, mi soffermo oggi e volutamente su un fatto molto grave, ovvero sull’evidenza che malgrado le raccomandazioni dell’Onu, la bocciatura della Cassazione e del Ministero della salute, malgrado l’assenza della Pas dal Dsm, e malgrado tutti gli appelli, la Pas continua a essere usata nei tribunali e accettata come prassi nel più assoluto silenzio delle istituzioni italiane che se da una parte si vantano di aver messo a punto strumenti contro la violenza domestica, dall’altra non mettono un freno a una delle più gravi violazioni dei diritti umani nel nostro Paese, mentre hanno il dovere di mettere al bando questo strumento di ricatto per le donne, rendendo incostituzionale l’uso della Pas – Alienazione parentale (come è stato già fatto in Spagna e negli Stati uniti dove ha fatto seri danni), definendolo, quello sì, come un reato perseguibile per legge.

Un silenzio che sta provocando un danno irreparabile con bambini prelevati a forza da casa e a scuola, strappati dalle mani delle proprie madri senza alcun preavviso, donne che sono costrette a chiedere di vedere i figli in casa famiglia come se facessero l’elemosina, umiliate da assistenti sociali da cui vengono rivittimizzate e trattate come criminali della peggior specie, e che da un po’ di tempo vengono addirittura denunciate per calunnia dal momento che hanno osato segnalare un abusante. Una situazione che imploderà in maniera devastante con bambini sedati, isolati dai propri affetti, scaraventati da una parte all’altra, ridotti a pupazzi senza volontà, inascoltati e spostati come pacchi e tutto perché un tal Richard Gardner, abusante a sua volta, ha costruito una sindrome ad hoc, la Pas, per cui “su un bambino che è manipolato dal genitore affidatario (la madre) e denigra e rifiuta il genitore non affidatario (il padre), si deve tener conto che le eventuali denunce di abusi paterni sarebbero sempre false (false denunce in fase di separazione), e che terapia deve essere coatta, con minacce al bambino e alla madre, con trasmissione delle informazioni al giudice, e nessuna riservatezza” (Patrizia Romito, Corso di formazione, “Violenze contro le donne e i minori: connessioni, continuità e discontinuità”). Gardner che nel dare indicazioni scriveva che il terapeuta del bambino alienato “deve avere la pelle dura ed essere in grado di tollerare le grida e le dichiarazioni sul pericolo di maltrattamento” (Gardner, 1999a; p. 201).

Riflessioni a cui aggiungiamo che proprio poche settimane fa l’Italia è stata redarguita dall’Onu in quanto, pur avendo le norme e rispettando sulla carta le linee guida internazionali, non riesce a garantire la tutela delle donne e dei figli che le accompagnano dalla violenza maschile, perché, secondo il V rapporto del Comitato ONU sui diritti economici, sociali e culturali (E/C.12/ITA/CO/5, Documento1 del 28 ottobre 2015), il problema è rappresentato proprio dalla scarsa applicazione delle misure previste e quindi dalla carenza di tutele effettive.

Cosa aspettano allora le istituzioni italiane, il governo che si vanta delle sue leggi che rimangono solo sulla carta, i magistrati che ordinano prelevamenti coatti, a vietare che i bambini che sono in una separazione con un genitore violento siano rinchiusi in casa famiglia o affidati al padre abusante per merito di una sindrome che non esiste, inventata da uno pseudo professore venuto alla ribalta mediatica negli Usa grazie al caso Allen e oggi sponsorizzata in maniera del tutto irresponsabile in Italia?

Per non parlare dei giornalisti, colleghi che per la maggior parte continuano a trattare l’argomento come se non fosse accaduto nulla a Cittadella, dove il bambino che venne trascinato fuori dalla scuola per essere messo in casa famiglia era stato dichiarato “alienato” dalla madre nei confronti del padre. Come se tutti questi casi di sottrazione di minore con accusa di madre malevola, alienante, inadeguata fossero normali e non degne di un approfondimento, casi descritti o tralasciati senza che nel cervello dei colleghi sorga spontanea la domanda: ma che cosa sta succedendo? Un fenomeno che ha al suo interno tratti inquietanti se, d’altra parte, quei pochi giornalisti che se ne sono occupati in maniera approfondita, sono stati minacciati in qualche modo, compresi i senatori e le senatrici perseguitati perché anni fa fermarono la proposta di legge arrivata alla commissione giustizia al senato in cui si chiedeva, con il ddl 957 ,proprio di inserire la Pas (Alienazione parentale) nella modifica della legge che regola l’affido condiviso (56/2006) e che non passò proprio grazie all’ascolto dei senatori nei confronti della società civile e delle associazioni che lavoravano contro la violenza sulle donne e che avvertirono della pericolosità di queste modifiche. Modifiche che in maniera trasversale ai partiti, la lobby pro-Pas ha cercato di far entrare in tutti i modi con numerosi disegni di legge e proposte – ce ne sono almeno una decina in ogni legislatura – nel tentativo di farne passare almeno una.

Insomma dove c’è la Pas, ora camuffata in AP, c’è qualcuno che pur di far passare come valida questa sindrome falsa e ascientifica, è pronto a tutto, tanto che chi prova a fermarla o a informare in maniera critica, può passare dei guai. Ma allora facciamoci anche un’altra domanda: ma dietro la Pas o l’Alienazione parentale, dietro tutto questo accanimento e questa determinazione a far passare come buona una cosa che non esiste, malgrado le critiche e i respingimenti, cosa ci sta?

Forse un business così fiorente per cui vale la pena combattere? Oppure qualcosa di più?

Credo che anche Bongiorno e Hunziker dovrebbero farsi queste domande perché come sono sicura che il loro operato sia fatto in buona fede, così anche sono certa che qualcosa di poco chiaro si nasconda dietro al fantomatico mondo della Alienazione parentale, alias Pas che, guarda caso, colpisce in maniera massiccia le madri e quasi mai i padri.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21