Il sogno di una Turchia libera dai suoi uomini di potere senza memoria

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“Le mie poesie sono pubblicate in trenta o quaranta lingue ma nella mia Turchia nella mia lingua turca sono proibite”. Così Nazim Hikmet, il poeta della libertà, nato a Salonicco nel 1902, raccontava la censura del regime – da Atatürk a Ismet Inönüal-  che impaurito dai suoi versi intrisi d’anima per la sua terra, violata nella storia dai massacri in Armenia, lo fece più volte imprigionare  e poi condannare a 28 anni di carcere.

La Turchia a tu per tu con il potere rivoluzionario della parola che tutto può turbare, oscurata oggi come una volta dalla “democrazia” brutale di Erdogan, in cui la libertà d’espressione è punita con il buio senza tregua, e la tortura dell’animo e della pelle umana una legge applicata. Un grido urgente, una dannazione, in cui il cielo Armeno parla come una madre di quello Curdo per vergogna, per indifferenza e per disperazione.

” Nazim dolcemente carezza la barca e si brucia le mani”, il poeta con il cuore spaccato, come quello di chi oggi sogna la Turchia in un’alba d’amore libera dai suoi uomini di potere senza memoria, fedeli alla morte, fedeli alla conquista dell’indifeso, trascorse poi 12 di quei 28 anni nella prigione di Bursa in Anatolia, l’appello, tra gli altri di Tristan Tzara, Picasso, Sartre e Pablo Neruda che lo racconta: “Ha cantato qualsiasi cosa la sua mente ricordasse. E così ha vinto i suoi torturatori”, contribuì alla sua scarcerazione e dopo un breve periodo a Istanbul in cui ogni notte è interrotta dall’irruzione della polizia, la via dell’esilio “un duro mestiere…”.

Da quelle mura le Lettere dal carcere indirizzate alla moglie Munevvér:
Dalla tua testa alla tua carne
dal tuo cuore
mi sono giunte le tue parole
le tue parole cariche di te
le tue parole, madre
le tue parole, amore
le tue parole, amica.
Erano tristi, amare
era allegre, piene di speranza
erano coraggiose, eroiche
le tue parole
erano uomini.
Uomini gli stessi che hanno trovato la morte negli attentati ad Ankara, uomini che giacciono inermi sulla parola pace, uomini ” figli d’argento del Mar Nero” uccisi da assassini dalle cui menti sgorga antico sangue.

Nazim nella sua terra oggi sarebbe un prigioniero, come un popolo che vuole essere e non più nell’ombra, ritenuto pericoloso perché incapace di tacere la libertà delle stelle senza fine, di gridare con il vento del male alle spalle: Questo è il momento.


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