La lezione di Peppino Impastato non va cancellata

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Il 9 maggio del 1978 le brigate rosse e i loro complici ammazzarono Aldo Moro. Chi aveva ideato ed eseguito il piano aveva deciso di colpire e stroncare il dialogo e l’incontro tra cattolici democratici ed i comunisti di  Enrico Berlinguer.

Al di lá di ogni dietrologia l’obiettivo era quello di stroncare un difficile esperimento che avrebbe cambiato il corso delle cose in Italia e non solo. Per opposte ragioni quel progetto politico non piaceva né ai brigatisti, né ai circoli internazionali interessati ai mantenimenti dei muri, della guerra fredda, delle cosiddette sfere di influenza. L’assassinio di Aldo Moro era per costoro un obiettivo strategico e forse,anche nel fronte della fermezza e della non trattativa, non mancò chi perseguiva lo stesso fine con altri mezzi.

Il 9 maggio fu ammazzato anche Peppino Impastato,un giovane comunista,militante di Democrazia proletaria, che, dai microfoni di Radio Aut, aveva deciso di ingaggiare la sua battaglia contro Don Tano Badalamenti ed il clan di Cinisi.

Peppino non realizzava “scoop”, ma non dava tregua, mordeva ogni giorno, urlava quello che gli altri sussurravano, denunciava le complicità ed i silenzi delle istituzioni e di tanta parte della politica, illuminava le oscurità. Non tutti lo apprezzavano, neppure tra chi mafioso non era, ma non condivideva la sua intransigenza etica, ancora prima che politica.

Il suo assassinio fu facilitato dalla indifferenza, dalla complice distrazione, dal fastidio per quel giornalista ” Non professionista” che, dai microfoni di una radio locale,osava mettere in mutande il boss dei boss, i suoi picciotti ed i suoi servitori a tariffa.

Quella lezione non andrebbe cancellata, neppure a 38 anni di distanza, perché le mafie non sono state estirpate, le connivenze neppure e le omissioni non mancano, anche se esistono donne e uomini che, ogni giorno,le contrastano con inaudita determinazione e passione civile.

Il solo fatto che,ancora oggi, esistano magistrati e cronisti, basterà ricordare i nomi di Nino Di Matteo e Sandro Ruotolo, costretti a vivere sotto scorta, indica che l’allarme é ancora attuale e che gli assassini non hanno deposto le armi.

Per contrastarli non bastano le sole azioni di polizia, ma serve anche una grande solidarietà preventiva nei confronti di chi rischia ogni giorno per la nostra sicurezza e libertà. Peppino Impastato, come Pippo Fava e come Falcone e Borsellino, sono stati molto amati “Post mortem”, sarà il caso di amare e di apprezzare chi davvero contrasta le mafie anche prima del giorno del loro funerale.


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