Questa Italia sola e provinciale

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L’Italia sta vivendo una fase che sarebbe riduttivo definire soltanto di crisi economica e sociale. Siamo, ormai è una constatazione sempre più diffusa tra quelli che continuano a poter e a voler pensare fuor degli schemi adottati dai canali televisivi e dalle altre agenzie di informazione, in una crisi epocale che ha aspetti politici e culturali di grande rilievo e può avere sbocchi non ancora chiari ma che potranno assumere contorni più chiari nei prossimi anni.

Questa è la situazione in cui l’Italia è passata alla fine dell’equilibrio del terrore tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e la fine di quella sovranità limitata che l’Italia ha avuto e ha nella Nato secondo la strategia degli Stati Uniti. Ora a quella situazione che ha retto per un cinquantennio si è aggiunta e sovrapposta e intersecata quella con l’Europa dell’euro e la sudditanza di tutta questa area all’egemonia monetaria tedesca che, tra mite la Banca centrale europea, ha trasformato l’Europa in un nuovo possibile e immenso Reich. E così anche il potere italiano a livello nazionale si è trasformato. Lo Stato ha perduto la sua unità giuridica per l’erosione di poteri che oggi provengono dal tetto europeo, da un lato, e dall’altro dalla localizzazione interna dei poteri regionali, provinciali ,comunali, con al centro il confronto e a volte la collaborazione con le politiche economiche, sociali sanitarie ed educative  realizzatesi a livello delle regioni.

Non si può dire oggi che il federalismo si sia così realizzato e, al contrario, c’è in verità una disgregazione non regolata dal ruolo sempre più rilevante del presidente della Repubblica che di fatto domina una repubblica che è, invece, ancora parlamentare. A ciò si è aggiunta la devastante trasformazione dall’inizio degli anni Novanta ad oggi della magistratura in potere autonomo che interviene nella politica e nel l’economia con forza inusitata. Questa manifestazione ha  raggiunto l’acme appena  sono giunte le privatizzazioni senza liberalizzazione dagli anni Novanta ad oggi. Esse di fatto hanno distrutto il macigno dell’industria pubblica italiana e della grande industria in genere, come dimostra il disastro della Fiat e di tutte le altre imprese private.

L’emergere delle medie, delle piccole e delle piccolissime imprese ha creato una diarchia tra economia e politica senza legami naturali, organici, di lobbies  legali e manifeste perché il potere di queste piccole popolazioni organizzative è troppo frastagliato e non in grado di far massa critica sulle decisioni apicali  che ancora vengono assunte a livello centrale, nazionale ed europeo in primis .La faccia visibile di questa immersione del potere rimane ormai  sfigurato  delle banche capitalistiche in crisi e assistite dalla Banca Centrale Europea e dei partiti personali che hanno avuto in Berlusconi, in Casini, in Di Pietro e in Beppe Grillo la loro manifestazione più lampante. Il PD, erede delle tradizioni di sinistra cattolica e  comunista- anch’esso del persona ismo veltroniano senza storia, se ne sta liberando, interpretando il bisogno di comunità che sale da una società dilaniata dalla crisi e prostrata dall’incapacità di decidere politicamente se non per scaricare tutti i costi della crisi sul lavoro dipendente e su quello produttivo.

La poliarchia, quindi, come strumento visibile e invisibile di un potere oligarchico che ha avuto in Mario Monti la sua prima manifestazione europea e non solo nazionale. Ma la fine di quel governo ha aperto inquietanti interrogativi per una nazione che sta sfaldandosi nell’assenza di forti poteri aggregativi e di forti culture umanistiche che diano visione e speranza a ciò che rimane di un popolo sempre più solo.      


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