Azerbaigian, aggredito Ilgar Nasibov giornalista che si occupa di diritti umani

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Article 19, Reporter sans frontiéres e altre organizzazioni per la libertà di stampa hanno sollecitato le autorità dell’Azerbaigian a indagare sulla brutale aggressione subita una settimana fa dal giornalista Ilgar Nasibov, ad assicurare i responsabili alla giustizia e a porre fine al clima d’intimidazione che impedisce ai difensori dei diritti umani di svolgere il loro lavoro in condizioni di sicurezza e incolumità. Il 21 agosto un gruppo di sconosciuti ha fatto irruzione nella sede del Centro di risorse per lo sviluppo delle Ong e per la democrazia a Nachicevan, capoluogo dell’omonima regione autonoma , un’exclave dell’Azerbaigian confinante con Armenia, Turchia e Iran.  Gli aggressori hanno picchiato Nasibov fino a fargli perdere conoscenza e hanno devastato l’ufficio.

Nasibov ha riportato gravi ferite al volto e ha perso la vista da un occhio. Dopo le prime cure in un ospedale locale e a seguito di ulteriori minacce, sua moglie Malahat Nasibova ha deciso di trasferirlo in un luogo più sicuro. Il Centro di risorse di cui fa parte Nasibov è l’unica organizzazione indipendente attiva nel Nachicevan. Si è occupato di diversi casi di violazione dei diritti umani, tra cui quello di Turaj Zeynalov, morto sotto tortura nelle mani della polizia nell’agosto 2011, portando la sua vicenda fino alla Corte europea dei diritti umani.

L’agenzia di stampa Turan News, cui Nasibov collabora regolarmente, ha ricevuto a sua volta minacce da quando ha iniziato a occuparsi della vicenda di Zeynalov. La repressione contro i giornalisti e i difensori dei diritti umani in Azerbaigian è in preoccupante aumento, proprio mentre il paese è presidente di turno del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Tra gli ultimi casi di persecuzione, quello dei coniugi Leila e Arif Yunus, detenuti in attesa di un processo che li vedrà pretestuosamente accusati di tradimento, frode ed evasione fiscale.

I prigionieri di coscienza adottati da Amnesty International sono 20. Molti altri attivisti sono sottoposti al divieto di lasciare il paese o si nascondono per evitare l’arresto. Altri ancora sono in esilio.
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