Salvate il soldato Anna. Caffè 23 Giugno

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Così a Repubblica la Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro: “L’esecutivo ha vistato due volte i nostri testi, sapeva tutto, e ora mi fanno passare per quella che protegge i corrotti e i delinquenti. Non c’è più gratitudine in politica. Di tutto quello che abbiamo fatto è rimasta alla fine soltanto la storia dell’immunità, ma se attribuisci a una Camera alcune funzioni sulle politiche pubbliche ,così com’è nella riforma emendata, non ci può essere disparità con l’altro ramo del Parlamento. Lo sostengono anche i costituzionalisti. Io ero per fare decidere la Corte costituzionale sulle richieste di arresto, ma il governo ha detto di no, perché in questo modo si sarebbe appesantito il lavoro dei giudici. Io ne ho preso atto, però dopo tutte queste polemiche mi domando: ora cosa vogliono da me?”.

Salvate il soldato Anna! La sera del 6 maggio, quando la riforma del senato sembrava a portata di mano, la Presidente entrò in commissione, “livida, buia in volto”  – la ricostruzione è di una autorevole esponente della maggioranza Pd – e dovette dire che il testo Renzi Boschi non si toccava, neppure una virgola. Nulle e mai avvenute le audizioni di un gran numero di esperti e  28 ore di dibattito parlamentare: il testo Boschi si vota, non si tocca. Calderoli, il correlatore, ne approfittò, presentò un suo testo, lo motivò con la necessità di punire l’incomprensibile subalternità della Presidente e del Pd al Governo, se lo fece approvare, rendendo il successivo voto sul testo del governo nient’altro che un dono avvelenato di Berlusconi al suo interlocutore Renzi.

Anna non si diede per persa. Alla scuola di D’Alema, poi in lunghi anni trascorsi da capo gruppo al Senato, aveva imparato ad incassare, a tacere e a preparare la prossima mossa. Ecco che, con Zanda e credo con l’avallo della Boschi, decise che serviva destituire dalla commissione Mario Mauro, che aveva votato l’ordine del giorno Calderoli, e Corradino Mineo, che aveva segnalato il dissenso del gruppo Chiti non partecipando al voto sul testo del Governo. Lei, così attenta alle questioni del Diritto Costituzionale, sapeva che in 70 anni non era mai successo, ma corse il rischio. Senza falle in maggioranza, avrebbe potuto addormentare la Commissione mentre lei, spalleggiata da un paio di ministri, trattava con Calderoli e con Forza Italia. Quando infine il frutto di un così assordante silenzio e di una tanto paziente mediazione, hanno partorito “gli emendamenti dei relatori”, si aspettava un applauso.  Invece proprio la Boschi la indica come quella che avrebbe voluto salvare da arresti e perquisizioni la casta dei consiglieri regionali promossi senatori. “Non c’è gratitudine in politica”.

Un’altra donna, questa volta dalle pagine del Corriere della Sera, sembra darle elegantemente il ben servito. Si chiama Maria Teresa Meli, gira per televisioni a sbranare i “dissidenti”, quelli che difenderebbero la vecchia politica e che, con tacitiana sintesi, – sono parole sue-  “hanno rotto le scatole”. Lei si presenta come l’oracolo del premier, la penna del retroscena autorizzato, della dichiarazione che nessun altro ha udito ma che non sarà smentita. Ecco che oggi scrive: “sia chiaro — ha aggiunto Renzi, rivolto a chi si sta occupando della “pratica” — che se l’immunità diventa un problema la si toglie”. La Finocchiaro è archiviata.

Archiviate pure le speranze che Renzi aveva acceso tra i primi cittadini d’Italia. Chiede Leoluca Orlando: avevi promesso che i Sindaci sarebbero diventati Senatori, un autonomismo dei Comuni anziché dei Laender, perché ora li fai eleggere dai consiglieri regionali?. Archiviata persino la faccia truce con cui alcuni ministri hanno risposto a Grillo: l’italicum non si tocca. Il Renzi – Mieli sostiene che “sulla legge elettorale avevamo già detto che siamo disponibili a correzioni, del resto io ero propenso sia al Mattarellum che alle preferenze”. Viva!

E ora? Già gli stessi che godevano per il modo brutale con cui era stata “asfaltata” l’unica critica leale e costruttiva che si fosse finora manifestata nel Pd, ora cambiano umore e riprendono a insultare gli “irrilevanti”. In un Parlamento che i capi bastone non controllino Chiti e Mineo possono essere ancora pericolosi. Vogliono ridurre il numero dei deputati e Renzi, chissà perché, no. Vogliono che i 100 senatori siano eletti dal popolo e non dalla casta delle regioni. Vogliono – lo dice oggi Chiti a Repubblica – che rimanga “l’insindacabilità delle opinioni e del voto dei parlamentari ma non lo scudo all’arresto e alle perquisizioni”. Vogliono un cambiamento profondo della legge elettorale. “Pericolosi”, perché ora si comprende come ci sia più confusione sotto il cielo della politica di quanto non ci vorrebbero far credere le vestali delle trattative al vertice e della museruola ai senatori.

Benvenuti nella complessità. Dopo Pagnoncelli pure Diamanti spiega – io lo scrivo da mes i- che l’Italia crede in Renzi ma non necessariamente nella sua squadra di governo e nel suo Partito della Nazione. “neppure il Pd sembra aver tratto slancio dal voto. Appare, infatti, diviso ma, soprattutto, gregario. All’ombra del leader”.  Già, ridare dignità al confronto, superare le divisioni e sostenere Renzi senza diventarne maldestri gregari! Vi ricorda qualcosa?

Da corradinomineo.it


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