Quel regalo rischia di costarci caro

0 0

Finalmente possiamo affrontare il nuovo anno con maggiore ottimismo. Il regalo che il ministro dello sviluppo economico, Zanonato, ha fatto trovare alle famiglie italiane sotto l’albero era davvero inaspettato: il canone Rai non aumenterà perché il governo non è insensibile alla crisi e al grido di dolore che si leva in tutto il paese, da Palermo a Bolzano. Il risparmio per coloro che il canone lo hanno sempre pagato non è da buttar via. Dieci centesimi al mese sono sempre un euro e venti su base annua. Potremo permetterci un cappuccino in più e con il freddo che ci attende una bevanda calda fa sempre piacere. Ma poi è il pensiero che conta, quindi, grazie ministro! Solo il ministro Landolfi, otto anni fa, aveva avuto il coraggio di prendere la stessa decisione. Allora qualcuno disse che si voleva indebolire la competitività della Rai sul mercato, ma erano le solite malignità dei soliti dietrologi con la fissazione del conflitto di interesse.

C’è un aspetto, però, che mi è difficile condividere perché non sempre il fine giustifica i mezzi. Se, infatti, l’obiettivo, cioè il cappuccino gratis, è sicuramente nobile, realizzarlo violando la legge lo è un po’ meno, soprattutto per un ministro. Le leggi possono anche non piacere, e a me ad esempio la Gasparri non piace affatto, ma se non si ha la forza, o la voglia, di cambiarle devono essere comunque rispettate. L’articolo 47 della legge in questione fissa le regole per la determinazione del canone con molta chiarezza. Il ministro in sostanza deve tener conto soltanto di due fattori: il tasso di inflazione programmato e l’esigenza di sviluppo tecnologico dell’ impresa (comma 3). Come si suol dire tertium non datur.
Ora, nessuna di quelle due motivazioni è alla base della decisione del ministro Zanonato che giustifica invece il mancato aumento con le esigenze della spending review (che io pensavo dovesse incidere sui costi delle società pubbliche, non sui ricavi) «in modo di fornire servizi pubblici di alta qualità al più basso costo possibile per il contribuente» (da cui si deduce che il ministro interverrà presto per calmierare quello di artisti, film, fiction e diritti sportivi) «in un quadro di coerente delimitazione degli obblighi di servizio pubblico da realizzare anche in sede di approvazione del contratto di servizio Rai per gli anni 2013-2015».

Il lettore mi scuserà per il burocratese ma il virgolettato è tratto dal decreto ministeriale ed è utile per capire in quante violazioni di legge sia incorso il ministro che addirittura pensa di poter definire un nuovo perimetro del servizio pubblico radiotelevisivo non con una riforma legislativa ma con atti amministrativi. Sinora non mi sembra di aver letto reazioni, eppure se un uguale provvedimento fosse  stato deciso da un ministro berlusconiano come minimo ci sarebbe scappato un girotondo a viale Mazzini.

La Rai non è esente da critiche ma è un fatto riconosciuto che oggi si sta seriamente impegnando in una difficile azione di risanamento economico e di adeguamento tecnologico (ad esempio la digitalizzazione delle testate) in un momento in cui la crisi ha peraltro determinato la contrazione dei ricavi pubblicitari. Quel cappuccino gratis vale per viale Mazzini circa 24 milioni di euro di ricavi in meno mentre l’evasione si conferma a livelli intollerabili e i governi tutti, compreso l’attuale, non hanno fatto mai nulla per combatterla efficacemente. Il ministro poi dimentica che la Rai è anche un operatore commerciale che opera in un mercato competitivo, non per sua scelta ma perché così ha deciso il legislatore. Indebolirla economicamente significa innanzitutto avvantaggiare i suoi concorrenti. Sulla necessità e l’urgenza di una riforma della Rai, che deve essere accompagnata però da una seria normativa antitrust nel settore televisivo, siamo da tempo in molti ad essere d’accordo. Mi dispiace per i tanti decisionisti che ci circondano ma nei paesi a democrazia parlamentare per modificare una legge ce ne vuole sempre una nuova.

Intervenire con decreti ministeriali o contratti di servizio non è solo illegittimo ma anche incostituzionale perché la Corte ha sempre sostenuto che si tratta di materia sensibile da cui il governo deve tenersi lontano a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza del servizio pubblico, valori costituzionalmente garantiti. Le scorciatoie, inoltre, spesso creano problemi piuttosto che risolverli e se la Rai dovesse decidere, come è suo sacrosanto diritto, di ricorrere ai giudici quel cappuccino rischia di costare caro.

*http://www.europaquotidiano.it/2013/12/24/quel-regalo-rischia-di-costarci-caro/

@rizzonervo


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21