Le piazze virtuali dello spaccio di droga

0 0

di Piero Innocenti

Oggi, per chi voglia dedicarsi al commercio di stupefacenti standosene comodamente in casa, con minori rischi, c’è la rete e i drug store on line. Con internet ( i fruitori, in Italia, sono il 58% circa della popolazione), i trafficanti e gli spacciatori, possono raggiungere e fidelizzare il consumatore di droghe in modo molto vantaggioso, garantendo prezzi inferiori, facilità nelle transazioni e, soprattutto, anonimato. Le “piazze virtuali” delle droghe risolvono uno dei momenti di maggiore criticità nello spaccio: lo scambio denaro-droga. Senza contare che con il “fai da te” nel commercio delle droghe, si supera ogni freno inibitorio perché “..un prodotto venduto in internet viene percepito come lecito e non dannoso” (cfr. la relazione annuale della DCSA, Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, 2012). Difficile, oltretutto, il contrasto a queste modalità di commercio, atteso che i server, che contengono gli annunci di vendita di droga, si trovano, in quasi tutti i casi sinora riscontrati, in aree geografiche molto lontane dove la normativa sul punto è fortemente inadeguata. Si pensi, ad esempio, al Camerun, alla Nigeria, alla Nuova Zelanda, alla Lituania, dove non è richiesta alcuna certificazione di identità all’inserzionista in rete. Va anche detto che questi siti, una volta individuati e “neutralizzati” per l’intervento della polizia, si rigenerano e mutano le sembianzenel giro di pochi giorni. L’offerta in rete va dalle droghe tradizionali a quelle sintetiche, che imitano le droghe vegetali ma con effetti amplificati come i cannabinoidi  e catinoni sintetici, fino ai cosiddetti sali da bagno o miscele erbacee commercializzate come profumatori ambientali o incensi, che in realtà contengono stupefacenti e similari.

La DCSA, negli ultimi anni, ha ripetutamente messo in guardia sui pericoli conseguenti a questo fenomeno, evidenziando che “..il tam-tam della rete si rivela particolarmente efficiente, permettendo la veicolazione veloce e sicura ma, soprattutto, la diffusione capillare delle informazioni relative a prezzi, procedure d’acquisto e modalità di assunzione” (ibidem DCSA,2012). La gran parte delle trattative illecite viene conclusa nello spazio virtuale noto come “deep-web” (il lato oscuro della rete) con migliaia di pagine non indicizzabili dai motori di ricerca e contraddistinte dall’anonimato e dalla non tracciabilità. Questa parte della rete, nel giro di breve tempo, ha aumentato notevolmente il numero di visitatori. Per raggiungerla, occorre seguire una metodologia di navigazione che viene condivisa tra gli internauti attraverso forum, social network e chat. La mimetizzazione di questi “commercianti” è straordinaria e, di conseguenza, difficile la localizzazione, in quanto si tratta di siti legati ad altri siti web di “vita breve” che, per di più, si riciclano continuamente, modificando aspetti grafici, ma non le modalità di vendita. Anche se molti siti ricordano il divieto di commerciare sostanze stupefacenti,in realtà tale avvertenza è puramente formale. Anzi, spesso, i siti si trasformano in networks ospitando aste a tempo determinato di sostanze sintetiche stimolanti più o meno lecite, Tanto più che trattandosi di commercio globale, ciò che è illegale per i paesi europei è lecito in altri paesi del mondo.

Le operazioni di compravendita si effettuano con modalità analoghe a quelle di un normale sito di “e-commerce”, con il venditore che illustra il prodotto nella sua offerta e le modalità di pagamento, mentre il compratore ha la possibilità di esprimere il proprio gradimento riguardo all’operazione, al costo, alla efficacia della sostanza e alle modalità della spedizione. Tra i vari siti, alcuni si presentano come venditori di prodotti per l’industria agroalimentare, di fertilizzanti, di pesticidi, mentre, in realtà, si tratta di sostanze stupefacenti. Sul mercato internazionale, le droghe cosiddette leggere sono quelle più commercializzate (circa il 14%), seguite dalle sintetiche (il 5%) e, tra queste, il cannabinoide sintetico JWH018 (acronimo dal  nome dell’inventore John W.Huffmann della Clemenson University). Il ricorso, in questi affari, alla moneta elettronica, su tutte la bitcoin, rende l’attività di repressione, già difficile in sé, ulteriormente complessa. La caratteristica, poi, della non tracciabilità favorisce operazioni di riciclaggio e le risorse destinate al contrasto, almeno nel nostro paese, al momento, sono molto esigue.

Da liberainformazione.org


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21