VERSO IL FORUM DI ASSISI – “Stretti fra metodo Boffo e provincialismo, un sistema in tilt”

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A che punto è la notte per l’informazione in Italia? Quasi d’istinto verrebbe da dire: ‘la notte è al suo mezzo’, ma la realtà è che forse in questa oscurità il sistema si è smarrito del tutto ha smesso di funzionare, gira a vuoto; non si aspetta neanche più che arrivi il giorno. Addebitare il tutto al berlusconismo è una tentazione forte, in parte anche plausibile a patto che in questa versione delle cose si comprenda anche il suo contrario: l’antiberlusconismo, cioè l’instaurarsi di una logica sotterranea di sistema in cui la violazione di ogni criterio di indipendenza, capacità critica e di libertà, finisce con il giustificare qualsiasi aberrazione purché comunque contraria all’‘oppressore’ in nome di una lotta di liberazione permanente che si fa, essa stessa, sistema. Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: il punto non è l’accettazione passiva di una fantomatica ‘normalità’ in cui la tragedia culturale di questo Paese, anche sotto il profilo dell’informazione, alla fine si diluisce nell’accettazione silenziosa dell’illegalità di questi anni. Il punto è capire  che cosa è diventato il giornalismo come strumento di conoscenza della realtà, e qui il discorso riguarda tutti.

Partiamo da alcuni dati di fatto: il calo vertiginoso di copie dei quotidiani – le eccezioni sono importanti ma non sovvertono la regola – ha davvero come unica causa la crisi economica? O il web? Perché non si prova a partire dai fondamentali mettendo in relazione i contenuti, il modo in cui vengono composti i nostri giornali e la mostruosa crisi dell’editoria? Certo, in tempi di crisi quell’euro e 50 o giù di lì diventa un peso, ciascuno di noi sceglie se spenderli o no. Questo però aumenta anche la responsabilità di chi i giornali li fa. Intravedo, in questo senso, due o tre ‘malattie’ che accenno soltanto.

L’ossessione retroscenista, quasi pornografica, con cui si racconta la politica italiana. Il retroscena spesso si riduce all’origliamento a volte fasullo della riunione serale dei potenti di turno, dando per scontato un nugolo di nomi, correnti, lotte interne ecc. E’ l’auotreferenzialità pressoché assoluta in cui politica e giornalismo si parlano fra di loro e provano a ‘drogare’ l’opinione pubblica generando una nausea che, investendo tutto e tutti indistintamente, indebolisce la cultura democratica di un Paese. Di questo male è colpevole, ampiamente, anche l’antiberlusconismo che appare quasi disperato quando il  ‘capo’ del fronte avverso, per un momento, scompare dal proscenio, e allora subito cerca di richiamarlo sul palco, lo évoca, perché ne ha bisogno; il pubblico è ormai abituato a vederlo e la dose quotidiana è necessaria pena una crisi d’astinenza immediata. Vittima di questo modus operandi è il principio della divulgazione, della spiegazione, del disvelamento dei meccanismi che regolano la politica e il potere; la capacità, cioè, di smontare con l’abilità dell’orologiaio le istituzioni per mostrarne le funzioni e i limiti senza per questo additarle al pubblico disprezzo.

Il provincialismo è la conseguenza diretta di questa deriva. Si può solo accennare il tema: il contrasto fra il ripiegamento su sé stessa dell’informazione italiana ha coinciso, nell’ultimo famoso ventennio, con l’esplosione della dimensione globale della ‘storia’ e dell’informazione accompagnata da quella rivoluzione tecnologica che ha dato  un colpo definitivo alla produzione giornalistica di tipo novecentesco. Se il destino del Paese reale è sempre più strettamente legato alle vicende del mondo che gli sta intorno (Ue, Fmi, risorse energetiche ecc.), ma l’informazione non ne prende atto, finisce che, per citare un caso classico, le cronache sugli sbarchi a Lampedusa diventano ogni volta una sorpresa, uno scandalo improvviso, un accorgersi di come, pur volendo, non ci si può nascondere agli occhi degli altri. Non si vive, insomma, solo di olgettine.

Metodo Boffo e altri vizi. Fra le pagine per così dire peggiori di questi anni, c’è stata poi l’instaurazione del cosiddetto metodo Boffo, altrimenti detto ‘la macchina del fango’. In questo caso la perversione è diventata regola; il giornalismo si è trasformato in strumento per infliggere colpi bassi all’avversario politico e espellerlo dal ring. Un aspetto però rischia di sfuggire, il metodo Boffo a una sua specificità: si basa infatti su elementi reali, fondati, accompagnati però da una documentazione falsa, da particolari creati ad arte. Si tratta, e non da oggi, del metodo di depistaggio utilizzato dai servizi segreti: costruire una realtà fittizia confondendola con elementi della realtà per dare vita a una nuova verità artificiale, una sorta di ‘Truman show’ dell’informazione. Si sbaglierebbe però a immaginare che cotanta arte sia rimasta circoscritta solo a qualche testata, in realtà quel tipo di mentalità, come un veleno, sta attraversando l’intero sistema mediatico.

Un discorso a parte meriterebbe il web, strumento imprescindibile che ha mutato radicalmente e antropologicamente il concetto di ricerca di archivio e ha praticamente annullato i tempi per la reperibilità di un numero infinto di documenti; la rete, inoltre, non è solo giornalismo fatto in casa, costruito insomma artigianalmente fuori dai canoni tradizionali. È anche uno strumento di ‘tortura’ per la notizia. Molti se la prendono con il giornalismo fai da te, ma il vero danno lo provocano molto spesso, con un’approssimazione frenetica che rasente l’incredibile, i due tre grandi siti riferibili ai gruppi editoriali più grandi del Paese. Per esempio: che scelta editoriale è ‘aprire’ sul videotestamento di Priebke scegliendo la frase più ‘scandalizzante’ per vellicare sentimenti come rabbia, vendetta, o revisionismo neonazista e ottenere qualche ‘clic’ in più?

Non vale la risposta che ‘Priebke era una notizia’; lo era finché interagiva con una realtà esterna che coinvolgeva un Paese intero, i sindaci, il Vaticano, la memoria storica. Al contrario le trite e note parole di un vecchio criminale nazista non lo erano, in ogni caso non andavano urlate ma spiegate smontandone appunto l’intento propagandistico; gettarle in pasto al pubblico come una bomba carta non è libertà ma rinuncia alla propria responsabilità, alla funzione più tipica del giornalismo: quella di essere intermediario, medium appunto, fra il ‘fatto’ e i cittadini.

Ma qui il discorso è anche di natura produttiva: quali teste, quali aziende, quali settori della professione, stanno realmente pensando a come ‘monetizzare’ l’informazione online? Esiste, tanto per fare un altro esempio, una proposta per chiedere ai grandi motori di ricerca di pagare una cifra ‘complessiva’ per le news pubblicate in italiano? (è il modello francese: un accordo in questo senso è stato firmato fra google e il governo Hollande, il colosso del web pagherà 60 mln di euro destinati a finanziare la migrazione sul web dell’informazione d’Oltralpe). Dal punto di vista complessivo, poi, il moltiplicarsi del dilettantismo e del complottismo  – malattie infantili e dilaganti della rete – è stato in parte compensato dall’ingresso delle news analisys costruite da studiosi, ricercatori, esperti di una materia o un’altra che, spesso anche per ragioni anagrafiche, cresciuti nella bolla dell’informazione globale, maneggiano in modo naturale gli strumenti giornalistici, ne arricchiscono i punti di vista e ne modificano il linguaggio. (Questo è un problema serio per i quotidiani incapaci di innovare: di fatto ciascuno di noi la mattina davanti al computer si può costruire il proprio giornale su misura, con firme, argomenti particolari, interessi, approfondimenti…).

GLI INTERVENTI FIN QUI PERVENUTI AL FORUM: 


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