Congo RDC: la “guerra dimenticata” continua. E può allargarsi

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La regione è squassata da gravi episodi a cui il contingente ONU non riesce a fare fronte. Rimangono segni di speranza: ONG e missioni e la forza di un popolo che non vuole darsi per vinto.

Articolo di: Unimondo.org

Ritorniamo sulla situazione del nord Kivu attraverso la testimonianza di padre Pietro Gavioli che alla fine del maggio scorso aveva delineato una realtà difficilissima segnata dalla violenza dei gruppi para militari. In luglio e agosto la regione è ancora squassata da gravi episodi a cui il contingente ONU non riesce a fare fronte. Rimangono segni di speranza nella presenza di ONG e di missioni ma pure nella forza di un popolo che non vuole darsi per vinto.

Luglio 2013

Ho letto il rapporto di Human Rights Watch, pubblicato il 22 luglio 2013. Parla soprattutto degli atti criminali dei ribelli dell’M23: da marzo 2013 hanno ucciso con esecuzione sommaria almeno 44 persone, hanno stuprato almeno 61 donne e ragazze (il loro numero è probabilmente molto più alto, dice il rapporto di HRW, ma molte vittime preferiscono non parlarne), hanno continuato a reclutare in maniera forzata uomini e ragazzi anche minorenni, hanno praticato varie forme di tortura (soprattutto bastonate che qualche volta hanno provocato la morte delle vittime).

Nel Nord-Kivu ci sono una trentina di gruppi armati, quasi tutti agiscono nella stessa maniera. Il calvario della popolazione, soprattutto nelle zone rurali dell’interno, è orribile. Ce ne rendiamo conto dal numero degli sfollati che continuano ad arrivare in città. Ce ne rendiamo conto, perché il Comitato Internazionale della Croce Rossa ci porta ragazzine stuprate, piccoli orfani di cui hanno ucciso la madre o entrambi i genitori, ragazzi e ragazze non accompagnati (che hanno perso contatto con la loro famiglia nella fuga da villaggi attaccati). Ce ne rendiamo conto anche perché tra il migliaio di bambini che sono venuti al centro estivo molti hanno segni evidenti di povertà, di fame, di malattia. Questa guerra “dimenticata e invisibile” (dall’Europa) avrà conseguenze lunghissime: ci vorranno anni e anni prima che tutte le ferite fisiche e morali siano rimarginate.

A Goma, la tregua in vigore dal dicembre dell’anno scorso è stata rotta prima tra il 20 e il 22 maggio, con violenti scontri attorno a Mutaho, a 8 km a nord ovest della città (e a 4 km da Ngangi): si parla di 200 morti, tra i militari e i civili. Due bombe sono cadute vicino al campo profughi di Mugunga, e hanno ucciso almeno 6 persone.

Ultimamente, dal 14 luglio, i combattimenti tra ribelli dell’M23 e l’esercito congolese sono ripresi, sempre a nord della città. Quattro bombe sono cadute in quartieri vicino a Ngangi, senza far vittime. L’esercito regolare è riuscito a spingere un po’ più a nord le forze ribelli. La Monusco (i soldati dell’Onu) sta a guardare, come al solito. La Brigata africana di intervento – 3000 uomini di Malawi, Tanzania e Sudafrica – dovrebbe presto iniziare l’offensiva contro tutti i gruppi armati che infieriscono nella nosra regione. Stiamo a vedere se saranno efficaci.

Agosto 2011

Dopo un mese e mezzo di riposo e di visite in Italia, sono di ritorno a Goma. Ho trovato più o meno la situazione che avevo lasciato. Le forze dell’Onu, dicono, hanno reso sicura la città. Ma le testimonianze dirette che riceviamo dal nord della regione parlano di violenza, distruzioni, assassinii, estorsioni… da parte dei ribelli dell’M23 o di altri gruppi armati. L’Onu sostiene una soluzione pacifica, attraverso il dialogo che dovrebbe continuare a Kampala, oppure attraverso una concertazione nazionale, a cui participerebbero tutte le forze attive in Congo. Queste forme di dialogo richiedono tempi lunghissimi. La gente che vive nei territori occupati da ribelli o infestati da varie bande armate non può aspettare. I 120.000 sfollati accampati in condizioni inumane nei campi profughi attorno a Goma non possono aspettare. I Congolesi dell’Est chiedono un’accelerazione del processo di pace.

Ora, da quattro giorni, la guerra ha ripreso, con violenza, a una ventina di km da casa nostra: sentiamo gli spari e le cannonate che si scambiano i ribelli dell’M23 e l’esercito congolese. Difficile, per il momento, sapere quanti morti ci sono tra i militari e i civili. Varie bombe hanno colpito la città, facendo almeno quattro morti e vari feriti. Dicono che è una ritorsione del Ruanda: dato che un obice sparato dal Congo sarebbe caduto in territorio ruandese, la risposta dei nostri vicini – che sostengono i ribelli dell’M23 – è stata immediata. Stamattina un’altra bomba è caduta in un quartiere della città e ha ucciso una donna: la gente arrabbiata – contro tutti quelli che hanno detto che la città era sicura – ha improvvisato una marcia con il cadavere verso la frontiera con il Ruanda, da cui sarebbe stata lanciata la bomba. Anche alla messa di stamattina abbiamo pregato per la pace: ci sarà qualcuno che prende su serio il grido che sale dal popolo degli umili di questa regione?

La nostra è una guerra dimenticata, diventata “invisibile” a livello della comunità internazionale. I giornali occidentali parlano spesso dei morti nei conflitti del Medio Oriente – ed è giusto. Ma penso che il numero di uomini, donne e bambini che continuano a morire all’Est del Congo a causa della guerra e delle sue conseguenze (fame, stenti, malattie, marce forzate…) sia terribilmente superiore. Hanno detto, con ragione, che questa guerra lunghissima, iniziata circa 20 anni fa, è stata la più micidiale (si parla di 5 o 6 milioni di morti) dopo la seconda guerra mondiale.

Segni di speranza

La gente qui non ha più fiducia nelle forze dell’Onu, né nelle dichiarazioni del governo: si chiede se il Signore stesso non l’ha dimenticata.

Ma non è così. Da quando si è fatto uomo, il Signore Gesù ha scelto di abitare tra i più poveri. Nonostante la nostra poca fede, ci capita di vederlo, negli avvenimenti ordinari della vita quotidiana.

Lo vediamo nella gioia di bambini che hanno frequentato il centro estivo, e che hanno potuto ricevere qualche bicchiere de latte.

Lo vediamo nel coraggio delle mamme che non si stancano di cercare cibo e una scuola per i propri figli.

Lo vediamo nella fede del popolo che ci circonda: è una fede un po’ fatalista, ma generosa. Abbiamo saputo che l’anno scorso, la diocesi congolese che ha offerto di più per le opere missionarie – per la propagazione della fede – è stata quella di Goma (ha offerto 42.000 $), probabilmente la diocesi in cui la gente ha sofferto di più a causa della guerra e della miseria che la guerra trascina con sé.

Lo vediamo nei numerosi giovani che consacrano la loro vita a servizio del loro popolo. Quest’anno ci sono state a Goma una decina di ordinazioni sacerdotali, tra cui due di salesiani. La Chiesa cattolica è un punto di riferimento a cui guarda la gente per avere un aiuto e un sostegno, non solo materiale.

I bisogni attuali

Malgrado le promesse e le speranze di pace, la situazione a Goma e nel Nord Kivu resta instabile. All’interno, l’insicurezza è spesso quasi totale. Le persone abbandonano i villaggi e le coltivazioni per salvare la loro vita. Nei villaggi protetti, gli sfollati occupano scuole che così non possono funzionare più. La povertà e la miseria aumentano. Lo stesso in città, se la situazione durante la giornata sembra normale, di notte si sentono spesso tiri di armi da fuoco, c’è molto banditismo, il costo della vita aumenta e gli strati popolari fanno molta fatica a sopravvivere.

Al Centro Don Bosco Ngangi, [la missione dove opera padre Gavioli, ndr] i gruppi dei piccoli orfani e dei bambini malnutriti sono aumentati. Alcune mamme vengono a chiederci di aiutarle a nutrire i loro bambini. Abbiamo provato, per ragioni di equilibrio finanziario, di regolare l’accesso alle cure mediche nel dispensario del Centro, ma è difficile restare insensibili ai numerosissimi casi sociali che si presentano per le cure ordinarie, e talvolta anche per operazioni costose. Nella misura delle nostre possibilità, aiutiamo tutti quelli che non possono trovare aiuto altrove. In particolare, cerchiamo di

– accogliere, nutrire e curare i bambini orfani: sono oggi 35 da 0 a 6 mesi e più di 50 da 6 mesi a 2 anni;

– curare i bambini malnutriti: sono un centinaio che frequentano il Centro ogni giorno; dopo tre mesi di complemento nutritivo, ritrovano il loro peso normale e lasciano il Centro, ma sono sostituiti immediatamente da altri bambini che soffrono di carenze alimentari;

– curare nel nostro dispensario le persone vulnerabili (casi sociali), soprattutto i bambini che non hanno mezzi per farsi curare altrove;

– permettere a tutti i bambini di frequentare la scuola elementare: nell’anno scolastico 2012-13, avevamo più di 3000 bambini alle elementari, con classi impossibili di 70-80 scolari. Ma ci sono ancora moltissimi bambini che non vanno a scuola…

Al Centro il Don Bosco, cerchiamo di lavorare perché i diritti di tutti i bambini siano rispettati. Il primo di questi diritti è il diritto alla vita (al cibo, alla salute, al gioco). Poi cerchiamo di offrire ai bambini un’educazione di qualità, perché diventino attori di una società più umana. Con la grazia del Signore, e con l’aiuto di tante persone buone, pensiamo che vale la pena di continuare a fare tutto quello che possiamo.

Ultime notizie

Dal 20 agosto la guerra è ripresa e la situazione rischia di precipitare. I ribelli e l’esercito congolese si sono scambiati colpi di mortaio che sono finiti pure sui villaggi causando numerose vittime. Così è avvenuto anche il 28 con bombe cadute sui quartieri di Mabanga e di Katoy. Fino ad oggi i combattimenti a nord di Goma non sono cessati: notizie certe parlano di cambio di carichi di soldati che dal Ruanda si stanno muovendo verso la frontiera con il Congo. Sembra siano pronti per una guerra su larga scala. Speriamo non sia così.

Pietro Gavioli

da perlapace.it


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