Marini Versus Rodotà – il caffè di Corradino Mineo, 18 aprile 2013

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“Marini Presidente. Ora le grandi intese”, titola Il Giornale. “B&B inciucio sul Colle. Marini sfascia il Pd”, fa eco il Fatto Quotidiano. E poi “Intesa su Marini. Pd spaccato”, Corriere della Sera. “Bersani candida Marini. Si spacca il Pd”, Repubblica.
Come si è arrivati a questo? Dopo aver incaricato i capi gruppo Zanda e Speranza, di consultare deputati e senatori, Bersani si è messo alla ricerca delle larghe intese, “perché lo chiede la Costituzione, che prevede nei primi tre voti la maggioranza dei due terzi”. Ha privilegiato candidati con un profumo di casa, “perché è il Pd che sfiora ad avere più grandi elettori”. Ha selezionato dei “politici”, basta con la contrapposizione di una “società civile” sempre buona a una politica, per definizione, cattiva. Dal cappello è così uscita “la rosa” : Mattarella, Amato, Marini. I mal pensanti diranno che Bersani ha seguito anche un altro criterio: ha proposto candidati che non venissero, come lui, dal  PCI – Ds – PDS,  per non perdere le speranze di ottenere per sé l’incarico di formare il  governo. È quello che insinua Matteo Renzi, quando dice: “Pierluigi lavora per sé” .
Consultazioni. Scelta Civica chiede un nome condiviso anche dal PDL. Berlusconi tuona in piazza contro Romano Prodi, poi, in camera caritatis, boccia Mattarella, di cui non si fida. Intanto i 5 stelle rifiutano ogni incontro con il Pd, ma dopo aver ventilato le candidature di Gabanelli e Strada, annunciano che voteranno Stefano Rodotà.  Che nasce in politica con Pannunzio, viene eletto tre volte con il PCI, poi una quarta con il PDS, diventa Garante della Privacy in Italia, se ne occupa in Europa, è un giurista stimato e è speso in difesa della Costituzione e dei diritti dei cittadini. Un uomo che parecchi (io da molto tempo) considerano un candidato ideale per la sinistra democratica.

E veniamo all’assemblea di ieri sera al cinema Capranica. Colpo d’occhio impressionante. La crisi della destra e la legge maggioritaria hanno dato alla coalizione “Italia bene comune” un numero veramente grande di Senatori e di Deputati. Sguardi, parole smozzicate, si capisce subito che la “bella novità” di Bersani lascia l’amaro in bocca.

Parlano contro Tocci, un paio di amici di Renzi, Vendola, Orfini, Civati, Mineo, a titolo personale la portavoce di Prodi, Crocetta. A favore, Franceschini, Epifani, Nencini, un esponente del Centro Democratico, Fassina. Il Presidente d’assemblea, Luigi Zanda, insiste perché si voti, non c’è più tempo per ulteriori pause di riflessioni. Si vota se votare. Maggioranza risicata. Poi, ad alzata di mani, “sulla proposta del Segretario”: 222 sì, 90 no, 21 astenuti. Fuori un gruppetto di contestatori e un folla di telecamere.
Dunque, il candidato del Pd può contare sul sostegno quasi entusiasta del PDL  ma suscita una forte resistenza nel suo stesso partito. Contro, un candidato a 5 stelle che molti del Pd avrebbero voluto fosse il loro candidato.

Massimo Franco la spiega così. “Si coglie (dietro la candidatura Marini) l’istinto di sopravvivenza di partiti corrosi da potenti forze centrifughe e sfibrati da una lunga e sterile contrapposizione”. “Ma le elezioni di febbraio non hanno restituito legittimità alla politica: semmai gliene hanno tolta. E l’idea di usare il Quirinale per blindare lo status quo potrebbe rivelarsi un’illusione”

Infine, cosa penso io. Ieri ho visto il tentativo, che avevo considerato generoso e innovatore,  di Bersani infrangersi contro una cultura politica che, purtroppo, è anche la sua. O almeno dei suoi più stretti collaboratori. Una cultura che sovrappone “unità della nazione” e “patto tra forze politico parlamentari di destra e di sinistra”. La stessa cultura che induce Napolitano a proporre le intese del 1976. Dimenticando che non ci sono più né DC né PCI, che in Italia la crisi del regime è diventata organica, che è caduto il muro di Berlino, e la destra ha continuato, sì, a controllare  potere economico e politico ma sfilandosi sempre di più, cioè alimentando la convinzione che sia venuto il tempo di distruggere il welfare, partiti, sindacati. Infine, che questo rifiuto iper liberista, della cosiddetta casta, si esprime ormai anche per bocca di leader che appaiono distanti dagli interessi economici della destra. Mi riferisco a Beppe Grillo e a Matteo Renzi. 
Temo che Bersani stia procedendo lungo il piano inclinato che fu di Gorbaciov. Ieri lo hanno difeso i “socialisti” Fassina, Epifani, Nencini. Non Vendola, nonostante gli abbia espresso affetto e gratitudine. Lo hanno lasciato solo gli uomini di Prodi, ma mi sembra anche quelli di D’Alema e di Veltroni. Non ho visto a sorreggerlo, neppure il suo vice, Letta.

Renzi, intanto, si attribuiva il merito di aver affondato per primo Marini. E lui che aveva chiesto più dialogo con Berlusconi  “perché non è decoroso inseguire Grillo”, ora sceglie anche lui Rodotà. C’è molta confusione sotto il cielo. Ma non ho più l’età per rispondere: dunque la situazione è eccellente. Mi limiterò a un: domani è un altro giorno, si vedrà.


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