Corri ragazzo, corri

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di Nadia Redoglia

Dicevamo Mennea e ci brillavano gli occhi. Era il trionfo italiano per portare in trionfo il nostro Paese come prima i nostri nonni facevano con il binomio Coppi- Bartali. Per 17 anni ha mantenuto il record dei 19’’72 conquistato alle Universiadi del 1979 nei200 metri, ma per 60 anni e qualche mese ha mantenuto un record che pochi sanno conservare: la capacità di sapersi offrire a chi ha bisogno, senza vendersi o barattarsi. A lui, atleta adolescente, le Porsche servivano per allenarsi nelle colline pugliesi: gli correva dietro. A lui, studioso per tutta la vita, la laurea non serviva per tirarsela: ne aveva quattro.

Per lui, collezionista di ori, argenti, e bronzo, l’orgoglio più profondo era giusto racchiuso nelle cinque consecutive partecipazioni olimpiche, compresa l’ultima del 1988 prima di tutto perché alfiere portabandiera italiano. Per lui, i cui muscoli, tendini, il corpo tutto si rivelavano tirati al massimo solo nella spinta suprema del filo di lana e non anche nelle foto gossipare della sua vita privata, fu doveroso dare vita alla “Fondazione Pietro Mennea” col preciso obiettivo, oltre all’assistenza sociale e medico-scientifica,  di diffondere lo sport e i suoi valori, promuovendo la lotta al doping che lui considerava cancro a stadio terminale. In tal senso è anche scrittore di circa 20 libri.

Londra, tra le fermate della metropolitana intitolate ai campioni delle Olimpiadi, l’anno scorso ha ritenuto doveroso onorare anche il nostro Pietro Mennea dedicandoglila Kensigton High.

La sua terra natale, a fronte dell’ estera garbata sensibilità, dovrebbe (come minimo) a lui e per lui, lavorare affinché la sua determinazione a non fermarsi mai sia d’esempio a noi e per tutti noi…


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