“Ricostruiamo l’Italia tenendoci per mano”. Intervista con Francesca Puglisi

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Francesca Puglisi dall’autunno del 2009 è la responsabile Scuola del Partito Democratico. La incontro un martedì mattina di inizio dicembre, nel suo ufficio in via del Tritone. Iniziamo a discutere, a ragionare insieme e la conversazione si trasforma rapidamente in uno stimolante confronto generazionale. Le sue riflessioni sono profonde e ricche di entusiasmo, al pari della sua ferma volontà di ripudiare gli anni Ottanta – il decennio nel quale è stata adolescente – col loro carico di neo-liberismo, egoismo, individualismo, edonismo reaganiano e morte sociale e civile di quel principio di comunità aperta e solidale che le è tanto caro. Francesca Puglisi esorta instancabilmente la nostra generazione a coltivare la propria passione civile, a scendere in piazza e a dedicarsi attivamente alla politica. Per ricostruire l’Italia, l’Europa e il mondo, creando un nuovo vocabolario ed un nuovo modello di sviluppo sostenibile. È un’ambizione enorme, la sua: l’ambizione di chi sa che questo Paese può uscire rafforzato dalla crisi solo se avrà il coraggio – come ribadisce in ogni intervista – di tornare a tenersi per mano.

Vorrei iniziare con una domanda molto triste, riguardante la storia di un insegnante di Disegno e Storia dell’arte, Carmine Cerbera, che un mese fa si è tolto la vita, afflitto dalla mancanza di prospettive e di certezze per il futuro. Cosa ne pensi di questa drammatica vicenda e del precariato che sta distruggendo la scuola italiana?
Quello dei precari è un vero e proprio dramma: il dramma di persone che vivono in condizioni di estremo disagio e insegnano nelle scuole oramai da molti anni. Questa era la storia di Carmine Cerbera, sulla quale non bisogna assolutamente speculare, come purtroppo, talvolta, la politica fa; credo che essa debba rendere ciascuno di noi – soprattutto chi è impegnato ai massimi livelli istituzionali – cosciente del fatto che la grave crisi economico-sociale che stanno patendo intere famiglie non può essere affrontata con leggerezza. L’annuncio dell’innalzamento a ventiquattr’ore dell’orario di lavoro degli insegnanti aveva gettato nello sconforto decine di migliaia di persone, certe che avrebbero perso qualsiasi speranza di lavoro nella scuola perché, con questa riforma, si sarebbero cancellati con un colpo di spugna circa centodiecimila posti di lavoro in un solo anno. Su questo il Partito Democratico si è opposto con grande forza perché non era assolutamente un provvedimento di riforma della scuola italiana ma semplicemente l’ennesimo taglio e l’ennesima botta alla scuola. Quel provvedimento ha gettato nello sconforto quella persona, sicura che a quarantotto anni, da insegnante di Storia dell’arte – materia che tra l’altro dovrebbe essere valorizzata in tutte le scuole superiori e invece è stata brutalmente tagliata dal governo della destra che diceva chiaramente, attraverso i suoi ministri, che la cultura non si mangia e per questo l’ha tagliata anche dall’insegnamento nelle scuole –, avrebbe perso con certezza il proprio lavoro e non avrebbe avuto più la possibilità di mantenere i propri cari. Probabilmente, quell’annuncio ha peggiorato una condizione di già grave fragilità e ha causato questo atroce gesto che ha colpito moltissimo tutti noi. Ci vuole un profondo senso di responsabilità quando si governa.

Nelle ultime settimane, sia Monti che Profumo, entrambi ospiti della trasmissione di Fabio Fazio, hanno espresso delle critiche. Monti se l’è presa con il “corporativismo” degli insegnanti; Profumo con i partiti, rei – a suo dire – di non avergli presentato le proprie proposte e la propria visione della scuola. Qual è la tua opinione in merito all’operato dell’attuale governo nel settore dell’istruzione? Quali sono stati i miglioramenti rispetto al passato e quali sono, invece, gli aspetti che maggiormente avversi?
Dopo gli insulti a reti unificate mossi dal governo della destra contro gli insegnanti “fannulloni”, i dirigenti scolastici che hanno i fondi in cassa ma chiedono i contributi volontari ai genitori, i collaboratori scolastici che sono più dei carabinieri e gli studenti che stanno in classe troppo e imparano poco, noi avevamo chiesto un cambio di marcia al nuovo governo tecnico e, innanzitutto, la richiesta della ricostruzione di un clima di fiducia all’interno della scuola pubblica. Dopo un buon inizio, invece, si è continuato esattamente con le stesse campagne denigratorie. Ora il nuovo insulto, nell’era Monti, è “corporativi”. Gli insegnanti non sono corporativi; gli insegnanti sono stanchi del fatto che, da diversi anni, lo Stato non dedica loro una sola risorsa ma fa cassa, risparmiando l’ottantasei per cento della spesa statale sulla pelle viva della scuola e, nonostante questo, vengono pure additati come corporativi e poco inclini al cambiamento. Non è così: gli insegnanti sono disponibili al cambiamento se si fa vedere che lo Stato, il Paese, crede nella scuola pubblica e intende restituire dignità agli insegnanti. È grazie agli insegnanti se la scuola pubblica sta in piedi, a dispetto dei tagli e dei più bassi stipendi d’Europa. Se non si hanno risorse da destinare in questo momento di grave crisi, che almeno la si smetta con gli insulti: se il governo tecnico non intende tagliare altrove la spesa statale per tornare ad investire, come faremo noi, nella scuola, nell’università e nella ricerca, almeno attui una moratoria sugli insulti.

Tra le forme d’investimento delle quali si avverte maggiormente il bisogno non c’è solo l’aspetto economico ma anche quello, non meno importante, di carattere morale. Pensiamo al caso del ragazzo romano che si è impiccato perché schernito dai compagni in quanto considerato omosessuale, pensiamo all’educazione al rispetto delle donne e delle pari opportunità ma anche a concetti come l’uguaglianza, la parità dei diritti, la valorizzazione delle differenze, il multiculturalismo e la società multietnica. Come si possono integrare, in concreto, questi argomenti all’interno dell’attività didattica? Qual è il progetto del Partito Democratico in merito?
Il progetto del Partito Democratico è, per l’appunto, quello di ricostruire il Paese nelle scuole, dopo vent’anni di berlusconismo che hanno lasciato macerie morali ed etiche. Sarà un’opera di ricostruzione molto lunga. Ricostruire un Paese unito, un Paese che rispetti le differenze, un Paese che, per esempio, faccia diventare subito cittadini italiani i bambini e le bambine, figli di genitori stranieri, che nascono e studiano in Italia: quest’opera di ricostruzione può essere fatta solo e soltanto nelle scuole, ma la scuola non può essere lasciata sola in questo; la scuola dev’essere sostenuta in quest’opera di ricostruzione perché, purtroppo, troppo spesso sulla scuola viene scaricato ogni peso. Al contrario, dobbiamo sostenere la scuola e gli insegnanti, per esempio anche attraverso un massiccio investimento nella formazione in servizio dei docenti, tenendo le nostre scuole aperte anche il pomeriggio per permettere al ricco mondo associativo di entrarvi all’interno, di fare attività con i nostri ragazzi, di vivere la scuola come se fosse la casa dei nostri figli. Solo così potremo aiutare ed educare tutti, non uno di meno, al rispetto delle differenze. La lotta all’omofobia deve partire dalle scuole. Quel “ragazzo con i pantaloni rosa” dev’essere difeso dallo scherno non solo dagli insegnanti; sono gli studenti che, a volte, hanno genitori che hanno vissuto in questi anni incollati ad uno schermo della tivù e debbono poter ricostruire a scuola il proprio senso civico e morale. Il rispetto delle differenze è qualcosa di molto serio che dovremo introdurre nel nostro Paese, se vogliamo farlo diventare davvero un Paese libero.

Smetto per un attimo i panni del giornalista ed indosso quelli dello studente universitario. In questi giorni, abbiamo assistito a numerose ed intense manifestazioni studentesche e talvolta non ti nego di aver avuto l’impressione che quei ragazzi fossero molto più avanti del legislatore, sia nelle richieste che nelle proposte. Come rispondi a questi ragazzi, non tanto nella tua veste di Responsabile Scuola del Partito Democratico quanto in quella di genitore, anche per evitare che si ripetano episodi di violenza?
I ragazzi e le ragazze sono scesi nelle piazze dando un bellissimo segnale: quello di una grande consapevolezza, che non sempre i ragazzi e le ragazze hanno quando decidono di scioperare, ed invece, ribadisco, è tornata una grande consapevolezza perché purtroppo i tagli li hanno patiti sulla loro pelle. Se vivono in classi sovraffollate ogni oltre limite di decenza e di sicurezza, lo patiscono appunto sulla loro pelle; se hanno scuole che cadono a pezzi e in cui, quando entrano, non si sentono davvero sicuri, questa cosa la sono andati ad urlare in piazza. Un’altra cosa molto bella è che questi ragazzi e queste ragazze siano scesi in piazza anche per difendere i loro insegnanti: due generazioni diverse che si sono tenute per mano nelle piazze del Paese. Per quel che riguarda la violenza, non è né ammissibile né accettabile ma credo che ci siano state infiltrazioni di gruppi violenti all’interno delle manifestazioni. La violenza va, ovviamente, respinta con fermezza. Tuttavia, la politica ha il compito e il dovere di ascoltare quelle richieste: richieste di ragazzi e ragazze consapevoli che invocano una scuola pubblica di qualità che torni ad investire su una nuova didattica e su una scuola aperta che sappia anche far diventare le scuole davvero il cuore di interi quartieri e di intere città. Sarebbe una bellissima rivoluzione che parte dal basso se permettessimo alle nostre scuole di cambiare veramente, lavorando con serenità.

Proseguendo in questo confronto generazionale, è in corso un interessantissimo dibattito sui modelli socio-culturali di riferimento della nostra generazione. Alcuni commentatori sostengono, in pratica, che noi staremmo ripudiando il modello Reagan-Thatcher, basato su liberismo, individualismo, distacco, indifferenza e disincanto, con tutte le nefaste conseguenze che abbiamo visto in seguito, e abbracciando un nuovo modello di socialità e di comunità solidale. Tu hai avuto la nostra età negli anni Ottanta: ripudi, a tua volta, qualcosa di quel decennio?
Assolutamente sì. La mia generazione, quella dei quarantenni, è cresciuta con il “reflusso del Sessantotto”, in una stagione di restaurazione rispetto ai grandi ideali del Sessantotto. In quegli anni in cui facevo il liceo (il “Pasteur” a Roma), i ragazzi e le ragazze venivano tenuti lontani dalle piazze e, quindi, c’è stata la crescita esasperata di un individualismo deleterio e – come dicevo – di una sorta di stagione di restaurazione che ha nuociuto profondamente alla mia generazione. Tra l’altro, siamo cresciuti in una scuola che ci educava comunque ad un mondo conosciuto, noto: noi non siamo cresciuti con le nuove tecnologie, non abbiamo avuto la spinta e la curiosità di navigare in rete che hanno oggi i nostri figli. Ora, però, credo che noi abbiamo un compito: costruire le condizioni di uguaglianza delle opportunità in questo Paese, affinché i ragazzi e le ragazze, i bambini e le bambine crescano con la consapevolezza che sono loro a dover salvare la Terra, sono loro a dover salvare l’Italia, sono loro a dover ricostruire un mondo che sarà completamente diverso quando loro saranno adulti-decisori e sono loro, infine, a dover ricostruire nuove condizioni e nuovi equilibri di sostenibilità, dando nuove priorità. Mi piace molto ciò che scrive Hessel insieme a Edgar Morin: adesso non dobbiamo invocare la crescita ma il governo di una nuova crescita e anche di una decrescita perché devono crescere, per esempio, l’economia sociale, l’economia verde, l’Europa e la cessione di sovranità all’Europa mentre devono decrescere il consumismo sfrenato e la stupida competitività esasperata. Dobbiamo sostenere i bambini e le bambine di oggi perché sappiano davvero creare, loro, una nuova agenda. Il compito della mia generazione credo sia molto ristretto, molto limitato: la mia generazione avrà una vita politica molto breve e dovrà ricostruire quelle istituzioni democratiche, a partire dalla scuola pubblica, che il governo delle destre ha demolito nel nostro Paese per consentire ai nostri figli di crescere come cittadini consapevoli e, quindi, ricostruire loro davvero un nuovo vocabolario e nuovi valori su cui rifondare il mondo.

In conclusione, so che nelle recenti Primarie del centrosinistra sei stata una fervente sostenitrice di Pierluigi Bersani. Cosa hanno rappresentato per te queste Primarie? Cosa ti aspetti da Bersani se riuscisse a diventare presidente del Consiglio?
Le Primarie sono state una grande occasione democratica: l’occasione, che ho vissuto anche personalmente, per incontrare in tutta Italia migliaia di persone guardandole in faccia e l’opportunità di raccontare anche ciò che il partito ha fatto in questi quattro anni, prima di opposizione al governo Berlusconi, poi di sostegno, da partito che ha offerto sempre proposte, al governo tecnico per restituire credibilità al nostro Paese. È stata, dunque, una grande opportunità per colmare il divario che c’è tra cittadini e politica. Il cambiamento che mi aspetto da Pierluigi Bersani quando governerà questo Paese, io ne sono certa, è quello di ricostruirlo assieme, sapendo coinvolgere le migliori energie che ci sono nella società italiana e ce ne sono davvero tante.

Come dici tu: tenendosi per mano.
Esatto, tenendosi per mano.


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