Una bella giornata

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Bersani, Vendola e Nencini firmano insieme la carta di intenti e lanciano le primarie. “E’ una bella giornata non solo per noi, ma anche per l’Italia”, commenta il segretario del PD. Speriamo, potrebbero  essere infatti  la coalizione e il metodo per restituire autonomia alla politica e un nuovo spirito pubblico al nostro paese. Prima ci renderemo conto che all’origine dei nostri guai non sta  una “crisi del debito” o più genericamente economico-finanziaria, ma una crisi della politica e della sua autonomia, meglio sarà.

Dagli anni settanta, una volta spogliata di ogni controllo sui flussi internazionali dei capitali, la politica si è avviata lungo un percorso sempre più accelerato di subalternità al capriccio dei mercati. E la finanza da ancella dell’economia ne è diventata padrona. Questa resistibile ascesa (o discesa, dipende dai punti di vista)  in occidente ha finito per coinvolgere tutti, conservatori e anche molti progressisti,  a cominciare da Clinton e Blair. In Italia i liberisti di casa nostra hanno preso a bersaglio, oggi perfino in modo esplicito, l’articolo 41 della Costituzione. L’iniziativa economica privata non sopporta più vincoli, neppure quello di essere “indirizzata e coordinata a fini sociali”. In pratica, l’utilità sociale deve cedere il passo alla distribuzione dei dividendi (Marchionne docet).

Ma se a governare è il mercato globale, la politica è inutile. Una squadra di tecnici basta ad amministrarla. L’inadeguatezza della politica di fronte alla crisi non è altro che la mancanza di autonomia della politica stessa, che abdica alla sua funzione costitutiva di regolazione degli interessi plurimi nell’interesse generale. Se si perde la prospettiva di un’”Italia bene comune”, anche nella politica trionfano gli interessi di parte e il personalismo esasperato. La corruzione seguirà.

Di fatto, la supremazia del privato rispetto al pubblico non è più messa in discussione se non da qualche minoranza critica o da qualche enciclica papale, anche se poi confinata tra le prediche inutili dai comportamenti della Chiesa medesima. Come la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, dove lodevolmente si invita a riflettere sul “senso dell’economia e dei suoi fini” e si esorta ad una “revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo per correggerne le disfunzioni e le distorsioni”.

Un “manifesto per un nuovo spirito pubblico” circola da qualche mese nell’area del PD fiorentino (non c’è solo Renzi). Invito tutti a leggerlo e magari a diffonderlo e sottoscriverlo. Vi si legge tra l’altro che questo “ spirito pubblico” , fatto di senso del limite, servizio e dialogo, “non può affermarsi  veramente se non si ritrova nelle grandi istituzioni politiche e sociali, se non vive in buone e corrette leggi elettorali e in istituzioni , per composizione e funzione, autorevoli e degne di questo nome; se non si riconosce nel modo in cui viene gestito il servizio pubblico radiotelevisivo, e se la scuola pubblica viene abbandonata a se stessa o la giustizia non funziona. I sostenitori del nuovo spirito pubblico sanno che devono dare battaglia per queste riforme”. Le stesse riforme, aggiungo, che né le grandi coalizioni né i governi tecnici riusciranno mai a promuovere e tanto meno garantire.


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