Toc Toc. questa volta sono i giornalisti che scrivono al Presidente dell’Ordine Enzo Iacopino

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Se ti muovi tra i colleghi di tutta Italia, pubblicisti e professionisti ti dicono: ma perchè dobbiamo pagare più di 100 euro all’anno per un Ordine dei Giornalisti che non ha senso, che non si riforma, vecchio. Un ordine che sulla formazione ha difficoltà a fare cose importanti. E poi. Un ordine, questo lo aggiungo io, che costa quasi 700 mila euro all’anno per il suo funzionamento, tra gettoni di presenza ed altro. Un Ordine che ha un parlamentino che ha una decina di membri in meno del Folketing, il parlamento della Danimarca, piccolo Stato sì, ma che ha comunque 5 milioni e mezzo di abitanti rappresentati da 179 parlamentari. L’ordine ne ha 160 (più o meno) per rappresentare 110mila iscritti. E quanti di questi 110 mila sono davvero colleghi (pubblicisti e professionisti) che scrivono? O magari c’è chi in passato qualche articolo l’ha scritto ma poi oggi stop, fa altro. E, per legge, dovrebbero essere cancellati dall’albo perchè non fanno più la professione. Ma Iacopino fa passare una delibera con cui chiede la moratoria per sospendere la revisione degli albi. Illegittimo e ai margini della legalità, visto che è un obbligo di legge. Ma ogni iscritto in più per l’ordine nazionale è il 50% della quota che arriva. Ogni anno quasi 6 milioni di euro (fate i conti, 50 euro per 110mila iscritti). E di quei soldi quanti ne vengono utilizzati davvero per noi giuornalisti, magari per i meno garantiti, i più deboli o per la formazione.

Iacopino promette la riforma. Lo fa da due mandati. La riforma c’è ma non si sa se, come e a chi è stata spedita. Certo, non ha il coraggio dei senatori che hanno deciso il loro scioglimento. Poi lui che farebbe? Iacopino fa la riforma poi si guarda bene dal sollecitare il Parlamento dal prenderla in esame. Dal chiedere un’audizione. Mentre da fuori il mondo della comunicazione, io comincio a dire giustamente (ma che c’entra, io andai a votare al referendum per abrogare l’Ordine dei Giornalisti), protesta per l’antistoricità di un albo che quando è chiamato a difendere la deontologia o a esprimere un giudizio su qualche collega che si macchia di cose grave al posto di essere intransigente sospende e poi reintegra. Anche i giornalisti che facevano le spie.

Insomma, L’Ordine dei Giornalisti esiste solo per dimostrare l’esistenza in vita di un Presidente che sui temi della professione fa poco. Su quelli che gli spettano da statuto. Nell’arco degli anni ha permesso il proliferare autorizzazioni a corsi giornalistici universitari e non in giro per la penisola. Così ha creato dei disoccupatifici. Fa Toc Toc agli iscritti ma non può offire alcune risposte. Anzi, ora che la Rai bandisce una selezione (non un concorso) per 100 nuove assunzioni fra colleghi che questa professione la fanno già, Iacopino comincia a dire che la sede non va bene, che agevola alcuni e via dicendo. Iacopino cavalca la tigre, si riprepara alle elezioni. Ma io dico, a questo punto, non se ne può più. Chi ha un ruolo e lo esercita solo per le cose che tornano comode non fa del bene alla professione.

Si è atteso tanto per questa selezione, il sindacato ha forzato affinchè si facesse. Ma le regole le mette l’azienda. Sarebbe servito più preavviso? La sede sarebbe dovuta essere più comoda? Ci sarebbe dovuta essere una selezione delle domande prima della prova? Tutte domande legittime. Ma in epoca di crisi 100 posti di lavoro restano una manna e per chi è presidente di un Ordine che su 110mila iscritti ha solo 16mila attivi dovrebbe essere una gran cosa. Invece? Invece butta fango. Così un gruppo di giornalisti Rai, tra cui il sottoscritto, gli risponde e parte una raccolta di firme sui social. A Iacopino poniamo delle domande.

1. Signor Presidente, non crede sia curioso per una platea di giornalisti professionisti dichiarare insufficiente un preavviso di 3 settimane per partecipare a una selezione? I candidati saranno valutati per le competenze professionali maturate negli anni, e non sulla base di un preciso programma d’esami. Se, ad esempio, un candidato non conosce l’inglese, come potrebbe impararlo in due/tre mesi?

2. Signor Presidente, perché si “dimentica” che la Rai è obbligata a seguire procedure di appalto regolate dalla legge e che la location della selezione è stata individuata con un bando di gara? E perché si ostina a far passare la sede d’esame scelta come disagiata, visto che si trova a 17 km da Perugia e a 9 da Assisi, peraltro servite efficacemente da treni e autobus?

3. Signor Presidente, perché grida all’inciucio e sottolinea inesistenti legami tra la Scuola di giornalismo di Perugia e la selezione Rai? In che modo la scelta della sede di Bastia Umbra favorirebbe gli allievi della Scuola, peraltro esclusi – come lei ben sa – dalla selezione perché non ancora professionisti al momento della chiusura del bando?

4. Signor Presidente, perché oggi si meraviglia e grida allo scandalo se alla selezione Rai è stata ammessa una collega pensionata di 68 anni visto che in un post su Facebook del 10 settembre 2013 rivendicava come una sua conquista l’aver convinto il Dg Rai Gubitosi a non porre limiti d’età nel bando del concorso? Avrebbe gridato lo stesso allo scandalo se la candidatura della collega fosse stata respinta?

5. Signor Presidente, non le sembra che le sue energie e il suo tempo sarebbero meglio impiegati se rivolti a promuovere una riforma dell’Ordine che restituisca alla categoria un Istituto utile, meno dispendioso e più adeguato ai tempi, piuttosto che gettare discredito sull’unica selezione indetta da oltre due decenni in un Paese dove la categoria sta affrontando la peggiore crisi di sempre con licenziamenti di massa e precarizzazione selvaggia?
E soprattutto, può indicarci in che data ha spedito la riforma, se alla Camera o al Senato, a quale destinatario o presidente di commissione, se ha avuto certezza che sia arrivata e se ha mai incontrato deputati o senatori per illustrarne i contenuti e spingerne l’esame?

Io penso che la vicenda non debba finire qui. La professione e la fase che stiamo attraversando ha bisogno di tanta trasparenza e chiarezza. Per tutti gli istituti professionali. Serve la riforma dell’Ordine o la sua chiusura come serve la discussione sul futuro dell’Inpgi e della Casagit.

Serve anche un sindacato forte che affronti temi quali i diritti di informare ed essere informati e le leggi sul lavoro che rischiano di far diventare anche il giornalismo a tutele crescenti e sempre meno libero, capace di difendere il servizio pubblico e di affrontare la crisi con proprie proposte innovative senza immaginare di respingerla conservando uno status quo inconservabile. Serve una solidarietà diffusa e trasversale tra vecchie e giovani generazioni. Serve davvero una rivoluzione riformista, che parta dal basso. Che riparda dalle redazioni, dai CDR, dai più giovani che ancora non si rendono conto di quanto sia utile un sindacato a difesa dei propri diritti. Sereve di tornare ad un tempo ehe sia pieno di capacità politica e meno di slogan strillati. Ecco, Iacopino rappresenta l’epoca dello slogan, così strillato da essere addirittura distorto.

* Consigliere Nazionale Federazione della Stampa


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