Se i saggi del Quirinale
proponessero una “leggina”

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Come capita agli stati, anche la repubblica italiana è arrivata al punto di bere la minestra o buttarsi dalla finestra. Essa ha: 1) un presidente che sta per lasciare il Quirinale; 2) un governo che è stato costretto a dimettersi ma è ancora in piedi (e che farà nuovi provvedimenti urgenti in settimana, come ha preannunciato Monti); 3) un vincitore relativo delle elezioni, Bersani. che ha avuto solo un pre-incarico esplorativo, senza poter preventivare numeri certi, ma non dimissionario, e quindi tutt’ora pre-incaricato; 4) partiti come sempre animati dalla migliore volontà di scannare se stessi e il paese, come le truci fazioni fiorentine (e non solo) dei Comuni e delle Signorie.

Noi crediamo, ma la nostra opinione conta uno, che da questo ingorgo istituzionale il presidente sarebbe potuto uscire realizzando alla lettera l’articolo 1°, comma 2, della Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Poiché il popolo si era espresso per un vincitore relativo, il capo dello stato, riportando la centralità dal Quirinale al Parlamento, avrebbe forse potuto mandare a Montecitorio e Palazzo Madama non un esploratore di “numeri certi”, ma un incaricato, che vi cercasse una maggioranza. Secondo la formula non inedita.

Il presidente, invece, nell’incomunicabilità di quattro fazioni, pronte a sbudellarsi pur di non cedere al vincitore relativo la poltrona di palazzo Chigi (e soprattutto il salvacondotto contro le sentenze o il fascino della superguerra megagalattica di Casaleggio. Leggete Salfaro sull’Espresso), ha preferito trattenere i quattro partiti in camera di decompressione, nella speranza di un rinsavimento momentaneo. E ha ripercorso, come nell’Atene del 7°-6° secolo aC, la via dei Sette Saggi, che nel frattempo sono diventati dieci. Ma. come allora, non hanno donne fra sé, e, soprattutto, non hanno né Solone né Talete, che suggerirono buoni consigli. Quei consigli che oggi farebbero impazzire i destinatari: lo stato migliore è quello che 1) non ha troppi poveri né troppi ricchi, 2) dove chi governa sia per sua natura come lo vogliono le leggi, 3) dove i cittadini temono più una riprovazione che le guardie, 4) dove non è possibile che i disonesti governino e gli onesti no, 5)  dove si ascoltino le leggi, non gli oracoli. Roba da pazzi.

Per tornare a robe da poveri savi (vero o presunti), il presidente e i suoi dieci, se non trovassero un accordo fra i quattro moschettieri sulla terapia d’urgenza da praticare alla Morente, dovrebbero suggerire a Monti, sfiduciato ma in carica, di varare i decreti economico-finanziari e anche il decreto “invarabile”: Quello sull’abolizione del Porcellum. Il parlamento si assumerà la responsabilità di convertirlo o no in legge; e il nuovo presidente della repubblica prenderà le decisioni di sua competenza. Per ora, suggeriamo ai saggi di ricordare il consiglio del nostro (e loro) maestro Spadolini, presidente del senato, che trovava possibile l’abolizione della legge elettorale per decreto nemine contraddicente, cioè nel caso che nessuno vi si opponga. Se i matti fossero tutti in manicomio, che però è stato chiuso, nessun  dubbio che anche Grillo non dovrebbe esser contraddicente. Il  Grillo che un giorno disse di voler abolire il porcellum. Ma un Grillo ricorda oggi quel che disse ieri, se per caso non gli convenga più? In fondo, è anche lui un italiano.

D’altra parte, se non ci fossero contraddicenti, non ci sarebbe bisogno nemmeno del decreto; ma, come diceva Parisi quando, con Barbera, lanciò il referendum per l’abolizione del porcellum, basterebbe una leggina ordinaria da votare entro qualche giorno in parlamento, e consentire al nuovo capo dello stato di rispedirci alle urne. Oggi ci troviamo senza referendum (1 milione e 200 mila firme) non avendo la corte costituzionale ammesso un referendum che per un verso abroga una legge elettorale (dunque improponibile) ma per l’altro dà luogo a una “reviviscenza”, cioè al ritorno in vita della Mattarellum. Sicché da abrogativo si trasforma in costitutivo. Chapeau alla corte, ma i saggi potrebbero e dovrebbero proporre a Monti di forzare la mano al parlamento col suo decreto: se – nessuno dissenziente – va in porto, ok, se non ci va, penserà il nuovo presidente a sciogliere le Camere o a consentire a Bersani di provare a trovare in esse quella maggioranza di governo che sulla carta non c’è ma nella realtà potrebbe esserci. E se non ci fosse ci sarebbero le urne. (In fondo, è da 164 anni, proclama di Moncalieri, che hanno aiutato l’Italia contro gli oltranzisti).


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