Giornalismo sotto attacco in Italia

Rinascimento felliniano o il latte del rinoceronte

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Il 31 ottobre a mezzogiorno di 32 anni fa si spegneva Federico Fellini e, come mi è capitato più volte di ripetere, sembrava che fosse scomparsa una Nova, ingoiando con sé il suo alone di luce sfolgorante, l’immensa energia sulla quale ci eravamo abituati a poter contare in ogni circostanza. Improvvisamente venivamo privati di un presidio e un nutrimento essenziale.

Ieri su RAI Storia è stato ritrasmesso un servizio di 30 minuti, a cura di Paquito del Bosco, concepito come un intreccio di interviste, dichiarazioni, commenti, affascinanti e rapinosi, che Federico aveva disseminato sul film E la nave va, in uscita nel 1983, dieci anni prima della sua morte.

Era la storia di una crociera, ambientata nei primi anni del Novecento, dal fior fiore della musica lirica del tempo, che si imbarca sulla Gloria N per spargere nel mar Egeo le ceneri di Edmea Tetua, il più grande soprano mai esistito. Il funerale della celeberrima artista apparve la metafora di un intero mondo che stava scomparendo, travolto dallo scoppio quasi accidentale di una guerra disastrosa. La motonave viene affondata e tutti i passeggeri muoiono. Tranne uno, il giornalista Orlando, che la scampa su una lancia di salvataggio in compagnia di un rinoceronte femmina. Il cronista della bizzarra crociera, guardando dritto in macchina, si rivolge proprio allo spettatore, comunicandogli con felice stupore che il rinoceronte fornisce un latte buonissimo. La vicenda visionaria (e profetica) raffigurava la fine dell’armonia, ma indicava anche uno spiraglio di speranza: c’era ancora possibilità di sopravvivenza abbeverandosi a quell’alimento insostituibile di un animale, un pachiderma preistorico apparso sulla Terra milioni di anni fa.

In tanti si sono esercitati a scoprire il significato di quell’enigma sfidante del regista, e Fellini stesso ne aveva suggerito una sua lettura personale. Che però, a pensarci bene, non è poi così complicata: l’essere umano può salvarsi se non mette pericolosamente da parte i sogni, l’arte, l’inconscio, le pulsioni, cioè quel deposito irrinunciabile di sapienza irrazionale senza la quale l’uomo sarebbe ridotto a una macchina, a un replicante, a uno schiavo.

L’arte, che rappresenta il sogno collettivo dell’umanità, è la nostra garanzia di sopravvivenza. Un raggio di luce, come quello a cui il regista ricorre alla fine del film Intervista; o anche il bisbiglio dei pozzi di cui parla ne La voce della luna, invitando a porgere orecchio ai messaggi che risalgono dal profondo dell’esistenza, e che il rumore del nostro mondo sta sommergendo, soffocando: “Se facessimo un po’ più di silenzio qualcosa forse riusciremmo a capire”.

In ogni suo film – ripensateci – Fellini ha lanciato questo messaggio di redenzione, a iniziare da Lo sceicco bianco e proseguendo in tutti i successivi ventidue film e mezzo. Uno spiraglio di fede che ci riconduce addirittura alla nostra natura divina, interpretata da Michelangelo nel gesto con cui Dio tocca con il dito indice l’indice di Adamo trasformandolo da un opaco corpo inanimato in una creatura ultra umana.

Il tema è stupendo e ne sto scrivendo proprio in questi mesi, riflettendo sull’evidenza che, a tre decenni dalla morte, ancora si moltiplicano gli studi, le iniziative, i convegni, gli articoli, i saggi, e incessantemente le testimonianze di tanti artisti di ogni latitudine e nazione, che continuano ad ispirarsi al suo mondo poetico. Ciò vuol dire che Fellini non è morto, al contrario è vivissimo, e la sua opera non soltanto non è svanita, ma resiste a ogni smemoratezza, incredibilmente vitale e attuale. Dunque potrebbe aiutarci non poco, come ci insegna Orlando a bordo di quella famosa scialuppa della Gloria N.

Vengo chiamato frequentemente a parlare di Fellini, non solo nei luoghi deputati, università, scuole, accademie, ma anche nelle manifestazioni più impensate; spettacoli di piazza e persino feste paesane, quanto di più improbabile considerati i tempi. E il pubblico ne riemerge beato, avvolto nella favola di questo presunto vitellone diventato re del cinema mondiale.

Avverto pertanto che è giunto il momento di riproporre in una nuova ottica la sua figura, i suoi film, il suo pensiero, la sua arte, in modo che il nostro Paese si ingegni a recuperare integralmente un artista di tale grandezza, che il mondo ammira e ci invidia, per inaugurare un Rinascimento felliniano.

Il prossimo anno si celebreranno i cinquanta anni del Casanova di Fellini, un capolavoro intramontabile, l’apice figurativo raggiunto dall’autore nella sua piena maturità; una confessione quasi privata e una rappresentazione visionaria del mondo che ci circonda. La vicenda del celebre amatore veneziano, seduttore di centinaia di donne, che alla fine danza abbracciato con l’unico amore della sua vita, una bambola meccanica, sulla laguna ghiacciata della Serenissima, basterebbe da sola a farci comprendere a quale grado di profondità espressiva fosse giunto il genio riminese.

Se nel 2026 prendendo lo spunto dal Casanova, le scuole, le università, le accademie, gli istituti culturali, le associazioni, la RAI, le varie reti televisive, accogliessero l’idea di proiettare il film, magari insieme ad altre opere di Fellini a piacere, si creerebbe un circuito virtuoso, che potrebbe chiamare “umanesimo felliniano”; nel quale ricominciare a parlare del nostro cinema passato e presente, degli autori, delle prospettive ancora da immaginare e realizzare.

Un discorso culturale da impugnare con forza e fiducia, soprattutto a beneficio dei giovani, un Rinascimento Felliniano che riesca a inaugurare una nuova stagione di eccellenza del nostro Paese, sensibilizzando anche la politica, il governo, e stimolando il ministro Valditara a introdurre nel sistema scolastico l’insegnamento stabile della storia del Cinema.

Chissà che non si diffonda un vero contagio virale positivo e irresistibile. Un’utopia? Certamente, Federico il grande Mago ce lo insegna: “Nulla si sa, tutto si immagina”. L’illusione è la nostra migliore risorsa: dobbiamo imparare a bere il latte del Rinoceronte.

 


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