Leggiamo ciò che siamo e leggiamo sempre meno. A dilrlo, già nel maggio scorso durante il Salone del libro di Torino l’Associazione Italiana Editori (AIE) che aveva rilevato come l’andamento dell’editoria stesse subendo un calo importante delle vendite, quasi un milione di copie in meno rispetto all’anno precedente. L’impennata post pandemica ha lasciato spazio all’inquietudine e all’incertezza del futuro che, sempre più presente nelle famiglie e nelle difficoltà del quotidiano, si esprime nel minor potere d’acquisto di beni di prima necessità che non sempre possono includere i libri.
La diminuzione di certe letture sembra direttamente proporzionale all’impoverimento della mente, esasperata da un governo che sovente, con appelli ultimamente disumani, non sostiene la cultura e il pensiero critico dei cittadini. La correlazione tra cosa leggiamo e come pensiamo è insita in questa regressione antropologica, un’involuzione auspicata, pericolosamente prevista per ritardare la consapevolezza individuale e collettiva.
La comprensione del Sé è allora messa all’angolo dalla spossante ricerca di evasione. Nel mondo che oggi abitiamo sembra più eloquente rifugiarsi nel genere romance e nel fumetto, piuttosto che lasciarsi coinvolgere dalla sapiente narrativa, dalla colta poesia, dai riflessivi approfondimenti legati all’attualità. L’abbondanza priva di qualità, del tutto sinonimo del nulla, ci mette di fronte a un distillato di mediocrità che invece di essere rivelato è legittimato dall’autorità. Persuaso, al mendace nemico narrato viene nascosta la possibilità del cambiamento tanto che nell’ambiente che lo attrae gli conviene assorbire la paura dell’altro, del suo linguaggio, del suo pensiero. E’ così che i libri vengono bruciati, ritirati, modificati. Per rinascere diventano clandestini, disobbediscono alle regole, pongono domande e rimettono al centro la civiltà.
Ecco che giunti a questo punto della storia la responsabilità collettiva da sovvertire ha un prezzo da pagare che è in ogni caso altissimo: restare in un realismo spesso opprimente, oppure ritagliarci spazi di libertà mentale e politica?
