Giornalismo sotto attacco in Italia

Pace, disarmo, emancipazione femminile. Le battaglie di civiltà di Paolina Schiff

0 0

Le guerre sono «inutili sprechi di vite e di denaro […] Più di ogni altro capiscono questo le donne, le madri. Gli eserciti armati che pesano sull’Europa come un incubo, spogli dell’elmo e della divisa che li divide da noi, sono composti dai figli e fratelli nostri, messi lì alla disposizione della prepotenza».

Così in una conferenza a Milano nel 1888 Paolina Schiff affrontava il tema della pace e della guerra da un punto di vista originale, chiedendosi se le donne potevano influenzare il fenomeno bellico e in che modo. Non era un’esercitazione astratta la sua perché proprio in quel torno d’anni il Regno d’Italia stava muovendo i primi passi per conquistarsi qualche briciola del bottino coloniale africano, già in parte spartito tra le grandi potenze europee. Quello italiano nel Corno d’Africa fu un colonialismo improvvisato e spericolato e Paolina Schiff lo stigmatizzava con lucidità come un sopruso, sottolineando la responsabilità storica italiana di «portare la guerra in casa altrui, presso un popolo che mai erasi dato la briga di molestare l’Italia».

L’anno precedente a Dogali le truppe del Regno d’Italia avevano conosciuto una drammatica sconfitta, ma non era bastato per convincere il governo ad archiviare le sue ambizioni coloniali destinate invece con Crispi a conoscere sviluppi sanguinosi e fallimentari e ad alimentare nel corso del Novecento altre aggressioni e dominazioni criminali fino all’ “imperialismo straccione” di Mussolini in Etiopia.

È in questo contesto che Paolina Schiff, tedesca per nascita, ma italiana d’adozione, (1841-1926), diventa una voce significativa dell’ancora esile movimento pacifista italiano, intrecciando le riflessioni su pace e guerra con quelle sull’emancipazione femminile nella società, nel diritto, nella politica. Pace e donne, guerra e diseguaglianza tra i sessi diventano binomi cruciali nei suoi scritti e interventi pubblici, ancora oggi attuali per originalità e impegno anche teorico.

Due anni più tardi al Ridotto della Scala, sempre a Milano, Schiff tornava a frequentare lo stesso tema capovolgendo il quesito e domandandosi se la pace poteva giovare alla donna. Sfrondando i due discorsi del ridondante ricorso alla letteratura e dell’architettura retorica che li sorregge, necessari requisiti per incontrare i gusti del pubblico dell’epoca, rimangono interessanti e per nulla scontate le considerazioni proposte che si discostano consapevolmente da più di un luogo comune. A cominciare dall’assunto che le donne sarebbero strutturalmente estranee alla guerra per la loro connaturata sensibilità e gentilezza d’animo. Questo idealtipo della donna come creatura angelica è, secondo Paolina Schiff, un prodotto dell’immaginazione artistica, peraltro controproducente, per il destino sociale della donna. Relegandola concettualmente in una dimensione astratta e irraggiungibile, si alimentava nella realtà una condizione concreta e rovesciata, di schiavitù e subalternità, senza che i due piani s’influenzassero tra loro.

(Il frontespizio della Conferenza del 1890 pubblicata a Milano)

Schiff traccia invece un ritratto realistico delle donne, anch’esse animate, a seconda delle occasioni storiche e dei contesti di formazione, da volontà di prevaricazione e perciò fautrici di guerre e conflitti. «Molte, spinte da ambizione personale, da gelosia, da vendetta, da spirito di predominio e di casta, da falsi ideali creati da una falsa educazione, furono bellicosissime, e non tralasciarono di aizzare gli uomini che potevano o sapevano influenzare […] Non poche perché usurpate divennero usurpatrici».

Alla casistica cui pensa Schiff, probabilmente legata a personaggi femminili delle dinastie regnanti nel passato, possiamo aggiungere altri episodi a conferma del fatto che l’avversione alla guerra non è affatto un dato costitutivo della personalità femminile. Basti ricordare la più cruenta battaglia aereonavale combattuta dopo la seconda guerra mondiale, ossia la guerra delle isole Falkland o Malvinas, che contrappose nella primavera del 1982 Argentina e Gran Bretagna. Non fu certo una paladina del disarmo e della pace Margaret Thatcher, prima donna nella storia inglese elevata alla carica di primo ministro. L’epiteto di Iron Lady che l’accompagnò nei suoi undici anni consecutivi a Downing Street, si dovette, tra l’altro, alla determinazione con la quale spinse per una immediata risposta in armi alla sfida della dittatura militare argentina, che aveva rivendicato la sovranità sulle isole. Una guerra brevissima e inutile, costata la vita a un migliaio circa di militari tra le due parti, vide Margaret Thatcher trionfare nella riconquista delle isole e ottenere uno straordinario consenso popolare, nel solco di un mai sopito orgoglio imperiale britannico. «There is no alternative» fu un argomento frequente nel discorso pubblico della premier, proprio al contrario di quanto sostenne Paolina Schiff oltre un secolo prima di lei. Le alternative esistevano eccome, a suo avviso, ed erano il disarmo e l’arbitrato internazionale.

Non aveva ancora trent’anni quando era entrata a far parte del consiglio direttivo della Lega di libertà, fratellanza e pace, animata tra gli altri da Anna Maria Mozzoni e nei decenni successivi si sarebbe sempre riconosciuta nell’obiettivo di un contemporaneo e graduale disarmo di tutti gli Stati e nell’istituzione di una Suprema corte di arbitrato per dirimere i conflitti internazionali.

«La smania pugnatrice di dati individui – affermò ancora nella conferenza del 1890 -, una scaltra politica che avvinghia lentamente, non è amor di patria. Ma l’affettuoso vincolo che lega l’uomo alla sua terra, la giusta fierezza di non sottomettersi ad insolenti oppressioni, sarà ben più tutelato da un vicendevole arbitrato, a cui concorrono i più insigni per mente e per cuore, anziché coll’affidarsi alla fortuna delle armi, incerta giustiziera, ma certa fomentatrice di nuovi attacchi». Dunque la guerra le appare «almeno ai giorni nostri un fatto contestabile, non più una necessità organica assoluta».

Rileggere queste considerazioni non sarebbe inutile per chi come la “Presidente” del Consiglio Meloni ripropone in Parlamento ai giorni nostri – giugno 2025 – il logoro cliché del si vis pacem para bellum, allineandosi, obbediente agli ordini che da oltre oceano intimano all’Europa di spendere di più, molto di più in armamenti.

L’argomentazione cardine del discorso di Schiff, sviluppato nelle due conferenze citate, è la difesa della vita, un valore connaturato alla maternità. Quest’ultima è evocata, anziché come naturale, doverosa e esclusiva funzione biologica delle donne, come fonte dei loro diritti inalienabili fondamentali e esperienza formativa di attitudini speciali, quali il pragmatismo, la capacità di mediazione, il senso pratico, tutti fattori cruciali per un approccio originale alla politica interna e internazionale, capace di neutralizzare il militarismo e i suoi esiti nefasti. Ma tali capacità femminili sarebbero potute venire alla luce e dare i loro frutti soltanto se e quando alla componente femminile dell’umanità fossero concessi gli stessi diritti degli uomini:

«Se la donna sarà messa in condizioni tali da allargare la necessaria sua influenza, molto guadagnerà ogni causa civile, e moltissimo quella che si è presa per compito di non lasciare che il militarismo disponga del destino dei popoli. Mercé la collaborazione sua, entrerebbe assai più presto in realizzazione un ordinamento, se non totale, ma molto più allargato, basato sulla giustizia».

Possiamo tacciare di ottimismo questa riflessione a cento e più anni di distanza, verificando come anche laddove si siano conquistati diritti politici e sociali per le donne, scritti in costituzioni e codici, la guerra non sia stata debellata grazie al loro impegno pacifista. A maggior ragione però conviene sottolineare la lucidità e l’attualità tuttora non affievolita della connessione qui discussa tra pace e impegno femminile, specie perché consentì allora ad un piccolo gruppo di pacifiste e consente ancora di criticare dalle fondamenta i valori dominanti nella politica e nelle relazioni internazionali, prefigurando una cittadinanza femminile non omologata a quella maschile e una società fondata sul rispetto della vita e non sul suo sacrificio sull’altare dei nazionalismi, dei pregiudizi etnici, culturali, religiosi.

Convinta che la pace andasse costruita lottando contro privilegi e ingiustizie, Schiff intrecciò dunque tenacemente l’impegno per la pace e quello per l’emancipazione femminile ed è giustamente considerata pioniera e ispiratrice del «femminismo pacifista». «Le donne qui da noi, sono messe all’indice […] giuridicamente ed economicamente all’indice» scrisse, additando nel mondo del lavoro, nella famiglia, nell’accesso all’istruzione i contesti nei quali la donna doveva affermare i suoi diritti e sviluppare liberamente i suoi talenti.

Anche a questo proposito non si trattava di enunciazioni astratte: le idee di Schiff presero forma nella cofondazione nel 1883 di una delle prime società operaie femminili, la Lega delle orlatrici in calzature, nonché nel suo impegno dieci anni più tardi nella Lega per la tutela degli interessi femminili, cui aderì insieme ad Alessandrina Ravizza, Fanny Zampini Salazar, Ersilia Majno Bronzini e Linda Malnati.

Tra le battaglie di civiltà cui si lega il suo nome due meritano almeno un cenno: l’istituzione della cassa di maternità per le lavoratrici e l’abolizione dell’articolo 189 del codice civile vigente che vietava le indagini sulla paternità naturale. Schiff fu segretaria del Comitato centrale di propaganda per la ricerca della paternità e collaborò con giuristi, medici e riformatori liberali, radicali e socialisti per eliminare lo stigma sociale riservato alle madri nubili e ai nati illegittimi, richiamando tutti al dovere prioritario di una comune responsabilità genitoriale.  Solo nell’Italia repubblicana e con la riforma del diritto di famiglia del 1975 si sarebbe giunti a codificare la svolta che Schiff chiedeva all’inizio del ’900.

Straniera, ebrea, laica, animatrice di movimenti femministi, intransigente pacifista e democratica: con questa identità di militante anticonformista non stupisce che Paolina Schiff abbia avuto vita difficile nell’Italia monarchica e conservatrice della seconda metà dell’800 e dei primi decenni del ’900. Semmai depone a suo merito l’aver conseguito, sia pure a prezzo di un’estenuante battaglia burocratica, la libera docenza in lingua tedesca e l’insegnamento relativo svolto, all’Università di Pavia presso la facoltà di Lettere, ma anche a Scienze matematiche, fisiche e naturali e a Farmacia. Nell’ateneo ticinese Schiff insegnò infatti per più di trent’anni, dal 1891 al 1924, risultando una delle rare eccezioni nel mondo accademico italiano rigorosamente maschile e misogino.

Furono anni nei quali si affermò con forza il prestigio scientifico tedesco in molte discipline – dalla filologia alla filosofia, dalla chimica alla biologia Germania docet! –  e si alimentò un flusso significativo di studiosi desiderosi di perfezionarsi nelle università del Reich. La padronanza della lingua divenne dunque un requisito indispensabile per l’accesso alle istituzioni tedesche di alta cultura e di ricerca. Paolina Schiff, nata a Mannheim nel 1841 e giunta in Italia, a Trieste e poi a Milano, ancora fanciulla fu l’efficace tramite per quella acquisizione.

Ma non fu lineare la traiettoria che la portò dall’insegnamento di fatto, ossia quale “insegnante privato di corsi liberi con effetti legali”, all’insegnamento con un pieno riconoscimento giuridico ossia allo status di libero docente universitario di lingua tedesca. Ci volle un’istanza al Ministero nel 1890, la convocazione di una commissione esaminatrice ad hoc all’Università di Torino, nella facoltà di Lettere allora presieduta da Arturo Graf e un responso parzialmente favorevole, che, da un lato, negava la sua adeguatezza all’insegnamento della letteratura tedesca, ma, dall’altro, ne avallava la competenza nella lingua tedesca, peraltro già affinata con la traduzione del romanzo La malattia del secolo del sociologo e giornalista ungherese Max Nettlau, pubblicata nel 1888.

(Una lettera di Paolina Schiff al Rettore dell’Università di Torino)

Una libera docenza, per così dire, dimezzata, quella che nell’ottobre 1891, finalmente Paolina Schiff ottenne e che divenne l’asse professionale della sua vita. D’altronde scorrendo la bibliografia che la stessa Schiff pubblicò negli Annuari dell’Università a corredo della sua attività di docente, accanto ai suoi scritti sul dramma tedesco, su Goethe e su questioni della sociologia tedesca, ci imbattiamo in titoli che suonano poco intonati al clima dell’accademia quali I diritti del fanciullo; Il fenomeno del femminismo; La femme dans le Mariage; La posizione giuridica della donna italiana nel diritto privato e pubblico; Kinder und Mutterschutz. Mutterschaftskassen in Italien etc. e che dovettero far inarcare qualche sopracciglio ai colleghi.

Alla sua linea di pacifismo intransigente Schiff rimase fedele non solo all’epoca della guerra di Libia voluta da Giolitti, ma anche quando, con l’inizio del primo conflitto mondiale, tante defezioni si registrarono nei movimenti italiani per il disarmo e nelle sue animatrici e animatori più noti, come Teodoro Moneta divenuto patriotticamente interventista.

Schiff, già anziana, non partecipò alla conferenza internazionale pacifista che si tenne all’Aja tra il 28 aprile e il 1° maggio 1915, ma inviò un messaggio che stigmatizzava i conflitti, riconfermava la sua fiducia nel diritto come principio regolatore tanto delle controversie sulla scena internazionale che delle discriminazioni di genere nella società e adombrava la prospettiva della federazione europea.

(Nella foto di apertura Paolina Schiff  (Mannheim 1841- Milano 1926)

 

  • Paolina Schiff, L’influenza della donna sulla pace. Conferenza tenuta in Milano il 6 maggio 1888, Milano, Bellini e C., 1888.
  • Eadem, La pace gioverà alla donna? Conferenza tenuta a Milano al Ridotto della Scala, stampata per cura di un gruppo di umanitari, Milano 1890, Milano, Galli, 1890.
  • Eadem, Istituzione di una cassa d’assicurazione per la maternità : conferenza tenuta a Milano nel Teatro Lirico il 9 giugno 1895 , Milano : Tipografia Agostino Colombo, 1895
  • Eadem, Relazione sull’abolizione dell’Art. 189 codice civile, che vieta la Ricerca della paternità naturale, Pavia, Bizzoni, 1908
  • Ylenia Gambaccini, « Those spring days». La primavera oratoria di Margaret Thatcher nella guerra delle Falkland, “DNA.Di Nulla Academia. Rivista di studi camporesiani” vol.5, n.1, 2024,
  • Stefania Bartoloni, Donne di fronte alla guerra, Bari, Laterza, 2017

 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21

Articolo21
Panoramica privacy

Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.