“Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”

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Francesca Albanese, Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, dopo la pubblicazione del Rapporto vede intensificate le minacce. Mentre gli USA ne chiedono la rimozione

Alle minacce era già abituata, nonostante tempo fa in alcune interviste ne denunciasse l’intensificazione e la sua preoccupazione per un generale clima di ostilità.

Oggi, all’indomani della pubblicazione del Rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” nel quale analizza e denuncia il coinvolgimento globale (politico, culturale, aziendale) nella guerra Israele-Palestina, una guerra che nessun ha interesse ad interrompere per i vantaggi economici che sta portando, quelle minacce sono aumentate ulteriormente. E quella mancanza di sostegno di una certa politica è divenuto pubblico dissenso. Come quello chiaramente espresso dagli USA. Arriva da lì, infatti, la richiesta di rimozione della Albanese dal suo ruolo: “Nelle ultime settimane – affermano i funzionari statunitensi – Albanese ha intensificato il suo virulento antisemitismo e il suo incessante pregiudizio anti-israeliano, che dura da anni, inviando lettere minacciose a decine di entità in tutto il mondo, tra cui importanti aziende americane». L’idea è che Albanese con le sue azioni porti avanti “un’inaccettabile campagna di guerra politica ed economica contro l’economia americana e mondiale”.

Ma di cosa parla il rapporto? Perché ha suscitato tanta preoccupazione? Chi va a toccare spingendo chi ne è colpito principalmente a rinnovare quelle accuse di antisemitismo secondo un strategia messa in atto da mesi e che colpisce la Albanese e tutti coloro che hanno deciso da che parte stare: in difesa dei diritti umani e degli innocenti.

Questo rapporto indaga sui meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano di sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei territori occupati. Mentre leader politici e governi si sottraggono ai propri obblighi, troppe entità aziendali hanno tratto profitto dall’economia israeliana di occupazione illegale, apartheid e, ora, genocidio. La complicità denunciata da questo rapporto è solo la punta dell’iceberg; porvi fine non sarà possibile senza chiamare a rispondere il settore privato, compresi i suoi dirigenti. Il diritto internazionale riconosce diversi gradi di responsabilità, ognuno dei quali richiede esame e rendicontazione, in particolare in questo caso, dove sono in gioco l’autodeterminazione e l’esistenza stessa di un popolo. Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il sistema globale che ha permesso”.

È quanto scrive Francesca Albanese, Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, nel sommario al Rapporto presentato pochi giorni fa. Dopo una analisi della situazione politica e storica, si legge “dopo l’ottobre 2023, i sistemi di controllo, sfruttamento e espropriazione di lunga data si sono trasformati in infrastrutture economiche, tecnologiche e politiche mobilitate per infliggere violenza di massa e immensa distruzione. Le entità che in precedenza hanno permesso e tratto profitto dall’eliminazione e dalla cancellazione dei palestinesi all’interno dell’economia di occupazione, invece di disimpegnarsi, sono ora coinvolte nell’economia del genocidio”.

E proprio partendo da questo la Albanese mostra come “otto settori chiave, operanti separatamente e in modo interdipendente attraverso i pilastri fondamentali dell’economia coloniale di sfollamento-sostituzione, si siano adattati alle sue pratiche genocide”.

Il settore militare

I produttori di armi israeliani e internazionali hanno sviluppato sistemi sempre più efficaci per cacciare i palestinesi dalle loro terre. Collaborando e competendo, hanno perfezionato tecnologie che consentono a Israele di intensificare l’oppressione, la repressione e la distruzione. L’occupazione prolungata e le ripetute campagne militari hanno fornito terreno di prova per capacità militari all’avanguardia: piattaforme di difesa aerea, droni, strumenti di puntamento basati sull’intelligenza artificiale e persino il programma F-35 guidato dagli Stati Uniti. Queste tecnologie vengono poi commercializzate come “collaudate in battaglia”. Il complesso militare-industriale è diventato la spina dorsale economica dello Stato”.

E ancora: “Le partnership internazionali che forniscono armamenti e supporto tecnico hanno rafforzato la capacità di Israele di perpetuare l’apartheid e, di recente, di sostenere il suo attacco a Gaza. Israele beneficia del più grande programma di approvvigionamento di difesa di sempre – per il caccia F-35, guidato dalla statunitense Lockheed Martin, insieme ad almeno altre 1600 aziende, tra cui il produttore italiano Leonardo S.p.A, e otto Stati”.

Il lato oscuro della “Start-up Nation”

La repressione dei palestinesi è diventata progressivamente automatizzata, con le aziende tecnologiche che forniscono infrastrutture a dual use per integrare la raccolta di dati di massa e la sorveglianza, traendo profitto dall’esclusivo banco di prova per la tecnologia militare offerto dal territorio palestinese occupato. Alimentate dai giganti della tecnologia statunitense che stabiliscono filiali e centri di ricerca e sviluppo in Israele, le rivendicazioni di Israele sulle esigenze di sicurezza hanno stimolato sviluppi senza precedenti nei servizi carcerari e di sorveglianza, dalle reti CCTV, alla sorveglianza biometrica, alle reti di checkpoint ad alta tecnologia, ai “muri intelligenti” e alla sorveglianza dei droni, al cloud computing, all’intelligenza artificiale e all’analisi dei dati a supporto del personale militare sul campo”. Tra le aziende citate Microsoft, IBM, Google, Amazon, Spyware Pegasus.

Israele, in quanto “nazione delle start-up”, incentivato dal boom globale della cartolarizzazione post-11 settembre, ha ricevuto un impulso significativo durante il genocidio. Si è classificato al primo posto a livello mondiale per numero di start-up pro capite, con una crescita del 143% delle start-up nel settore della tecnologia militare nel 2024 e con la tecnologia che ha rappresentato il 64% delle esportazioni israeliane durante il genocidio”.

Civilian guise: macchinari pesanti al servizio della distruzione coloniale

Le tecnologie civili sono state a lungo utilizzate come strumenti a duplice uso per l’occupazione coloniale (…). In collaborazione con aziende come IAI, Elbit Systems e RADA Electronic Industries di proprietà di Leonardo, Israele ha trasformato il bulldozer D9 della Caterpillar in un armamento automatizzato e comandato a distanza, fondamentale per l’esercito israeliano, impiegato in quasi tutte le attività militari dal 2000, ripulendo le linee di incursione, “neutralizzando” il territorio e uccidendo palestinesi. Dall’ottobre 2023, è stato documentato l’uso di attrezzature Caterpillar per effettuare demolizioni di massa – tra cui di case, moschee e infrastrutture di supporto vitale – irruzioni in ospedali e schiacciamento a morte di palestinesi. Nel 2025, la Caterpillar si è assicurata un ulteriore contratto multimilionario con Israele”.

Una distruzione a cui si accompagna la ricostruzione

Mentre gli attori aziendali hanno contribuito alla distruzione della vita palestinese nei territori palestinesi occupati – si legge -, hanno anche contribuito alla costruzione di ciò che la sostituisce: la costruzione di colonie e delle relative infrastrutture, l’estrazione e il commercio di materiali, energia e prodotti agricoli, il trasporto di visitatori nelle colonie come se si trattasse di una normale meta turistica. Dopo l’ottobre 2023, queste attività hanno sostenuto una crescita senza precedenti dell’attività degli insediamenti, con entità aziendali che continuano a trarre profitto e a creare condizioni di vita studiate per distruggere la popolazione palestinese, anche attraverso la quasi totale interruzione di acqua, elettricità e carburante”.

Per quanto riguarda le risorse naturali “dal 1967, Israele ha esercitato un controllo sistematico sulle risorse naturali palestinesi, costruendo infrastrutture che hanno integrato le sue colonie nei sistemi nazionali israeliani e consolidato la dipendenza palestinese da esse”.

Anche il settore del turismo risulta non immune: “Le principali piattaforme di viaggio online – si legge – sono utilizzate da milioni di persone per prenotare online alloggi, trarre profitto dall’occupazione vendendo turismo che sostiene le colonie, esclude i palestinesi, promuove le narrazioni dei coloni e legittima l’annessione. Booking Holdings Inc. e Airbnb, Inc. affittano proprietà e camere d’albergo nelle colonie israeliane”.

Per quanto riguarda il settore finanziario “canalizza finanziamenti critici sia verso gli attori statali che aziendali che stanno dietro l’occupazione e l’apartheid di Israele, nonostante molte aziende del settore si impegnino a rispettare i Principi per l’investimento responsabile e il Global Compact delle Nazioni Unite”.

Si legge: “Dal 2022 al 2024, il bilancio militare israeliano è cresciuto dal 4,2% all’8,3% del PIL, portando il bilancio pubblico a un deficit del 6,8%. Israele ha finanziato questo bilancio in crescita aumentando le sue emissioni obbligazionarie, inclusi 8 miliardi di dollari a marzo 2024 e 5 miliardi di dollari a febbraio 2025, insieme alle emissioni sul suo mercato interno dello shekel. Alcune delle più grandi banche del mondo, tra cui BNP Paribas e Barclays, sono intervenute per rafforzare la fiducia del mercato sottoscrivendo questi titoli del Tesoro internazionali e nazionali, consentendo a Israele di contenere il premio del tasso di interesse, nonostante un declassamento del credito”.

E non sono immuni neanche le compagnie assicurative globali, tra cui Allianz e AXA, che “investono grandi somme in azioni e obbligazioni implicate nell’occupazione e nel genocidio, in parte come riserve di capitale per le richieste di risarcimento dei titolari di polizze e per i requisiti normativi, ma principalmente per generare rendimenti”.

A questi settori economici si aggiunge anche la cultura: “In Israele, le università – in particolare le facoltà di giurisprudenza, i dipartimenti di archeologia e di studi mediorientali – contribuiscono all’impalcatura ideologica dell’apartheid, coltivando narrazioni allineate allo Stato, cancellando la storia palestinese e giustificando le pratiche di occupazione”. A livello globale “molte università hanno mantenuto i legami con Israele nonostante l’escalation successiva all’ottobre 2023”. A tal proposito “l’Università di Edimburgo detiene quasi 25,5 milioni di sterline (31,72 milioni di dollari) (il 2,5% del suo patrimonio) in quattro giganti della tecnologia – Alphabet, Amazon, Microsoft e IBM – centrali nell’apparato di sorveglianza israeliano e nella continua distruzione di Gaza. Con investimenti sia diretti che indicizzati, si colloca tra le istituzioni finanziarie più intricate del Regno Unito. L’Università collabora anche con aziende che supportano le operazioni militari israeliane, tra cui Leonardo S.p.A. e la Ben Gurion University tramite un laboratorio di intelligenza artificiale e scienza dei dati, condividendo ricerche che la collegano direttamente agli attacchi contro i palestinesi”.

Alla luce di tutto questo la Albanese invita “a imporre sanzioni e un embargo totale sulle armi a Israele, compresi tutti gli accordi esistenti e i beni a duplice uso, come la tecnologia e i macchinari pesanti civili; a sospendere/impedire tutti gli accordi commerciali e le relazioni di investimento e imporre sanzioni, tra cui il congelamento dei beni, a entità e individui coinvolti in attività che potrebbero mettere in pericolo i palestinesi; a rafforzare la responsabilità, assicurando che le entità aziendali affrontino le conseguenze legali per il loro coinvolgimento in gravi violazioni del diritto internazionale.

Il Relatore Speciale esorta le entità aziendali a: cessare tempestivamente tutte le attività commerciali e porre fine ai rapporti direttamente collegati, che contribuiscono o causano violazioni dei diritti umani e crimini internazionali contro il popolo palestinese, in conformità con le responsabilità aziendali internazionali e il diritto all’autodeterminazione; a pagare riparazioni al popolo palestinese, anche sotto forma di un’imposta patrimoniale sull’esempio del Sudafrica post-apartheid. Il Relatore speciale esorta la Corte penale internazionale e le magistrature nazionali a indagare e perseguire dirigenti aziendali e/o entità aziendali per il loro ruolo nella commissione di crimini internazionali e nel riciclaggio dei proventi derivanti da tali crimini.

Il Relatore Speciale esorta le Nazioni Unite: a conformarsi al Parere Consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2024; a includere tutte le entità coinvolte nell’occupazione illegale israeliana nel database delle Nazioni Unite (che sarà accessibile sul sito web dell’OHCHR). Il Relatore Speciale esorta sindacati, avvocati, società civile e cittadini comuni a fare pressione per boicottaggi, disinvestimenti, sanzioni, giustizia per la Palestina e responsabilità a livello internazionale e nazionale; insieme possiamo porre fine a questi crimini indicibili”.

Questo rapporto – conclude – è stato redatto all’alba di una profonda e tumultuosa trasformazione. Le atrocità di cui si è testimoni a livello globale richiedono urgentemente responsabilità e giustizia, il che richiede azioni diplomatiche, economiche e legali contro coloro che hanno mantenuto e tratto profitto da un’economia di occupazione diventata genocida. Ciò che verrà dopo dipende da tutti noi”.


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