La grande manifestazione, a carattere regionale, per la giusta, pubblica ed equa Sanità in Calabria, tenutasi il dieci maggio scorso a Catanzaro, ha rappresentato un primo momento importante di presa di posizione, da parte dei cittadini costituitisi in tantissimi Comitati spontanei, associazioni a difesa del territorio, realtà di Terzo settore ed una rappresentanza sindacale confederale: la CGIL.
Come è stato ribadito dal giornalista Massimo Razzi, del Quotidiano del Sud, che ha indetto la manifestazione ed avviato i lavori, la Calabria in realtà era già pronta a questo appuntamento, non il primo in verità di rivendicazione dei diritti alla salute e accesso alle cure che, in questa regione, a differenza del resto del Paese, sono poco o per nulla presenti e non adeguatamente garantiti.
Da molti anni, infatti, tante realtà associative calabresi si battono, con risultati alterni, per la difesa di questi diritti fondamentali che la Costituzione riconosce, ma di fatto disattesi.
Ora ci auguriamo sia giunto il tempo di fare rete, di mettere a sistema anche le lotte, di unire le forze ed intensificare l’azione di controllo nei confronti della politica ed attivare un Comitato di coordinamento regionale, facendoci portatori non più solo di istanze, ma divenendo soggettività proattiva in grado di formulare proposte ed azioni tese al cambiamento reale.
Dopo lunghi anni di promesse disattese dalla politica tout court, di destra, sinistra e centro, ora è giunto il tempo di costruire dal basso, dal civismo, un’alternativa.
Chi oggi decide di attendere alla finestra o disincentiva la partecipazione, si rende complice dei disagi e delle morti, che gridano giustizia da ogni angolo di questa terra, sapendo peraltro che molte di queste vite spezzate, anche giovani, sarebbero state evitabili.
Noi non possiamo più attendere, i cittadini calabresi hanno gli stessi diritti su carta, di qualunque altro cittadino o cittadina italiani, eppure ogni anno per esigenze sanitarie, si spostano migliaia di calabresi e la Regione spende trecento milioni di euro, che finiscono ripartite nelle tasche delle regioni del centro nord. Chi non può partire, anche per incapacità economiche, si ritrova ad avere a che fare con strutture e servizi, ove presenti, che mancano persino dell’essenziale, a cominciare già dalle difficoltà in fase di prenotazione ai CUP.
Sappiamo e, denunciamo da anni, le carenze di personale medico e sanitario che quando presente è carente di qualifiche e formazione aggiornata ed adeguata, tanto da avere a disposizione strumentazioni e macchinari, costati milioni, spesso inutilizzati o sottutilizzati e lasciati a deteriorarsi in reparti, a loro volta chiusi. Non è un mistero che medici e paramedici non sempre sappiano eseguire procedure e metodiche che, in altre regioni sono di ordinaria amministrazione.
Il disagio ed il senso di frustrazione nell’essere cittadini di serie B,
lo abbiamo assaggiato tutti, abbandonati dalle istituzioni anche di fronte alle necessità di assistenza extraospedaliera, per acuzie e cronicità.
Non esiste una medicina del territorio e le famiglie, anche quelle con maggiori difficoltà, perché in presenza di familiari affetti da gravi patologie ed handicap, non trovano quella “appropriatezza” ed “uniformita” di cura e assistenza, previste dalle leggi di Stato.
Solo a spot e spesso in fase di campagna elettorale, si assiste alle promesse, che da decenni sottendono alla malagestione nel governo del sistema sanitario calabrese, a cui su sono aggiunti i commissariamenti, a loro volta disastrosi, che non ci hanno consentito di capire come sia stato approntato l’ultimo bilancio, in assenza dei precedenti – cosa sulla quale forse dovrebbe intervenire la Corte dei Conti – né avere una fotografia reale ed aggiornata dello stato dei servizi e delle strutture.
La manifestazione del 10 maggio che ha visto la presenza di diversi sindaci e l’adesione di molti altri, ha messo in evidenza molte contraddizioni, non sono mancate le contestazioni, dal palco e dalla platea, circa l’operato di alcuni tra politici, ex sindaci e rappresentanti di partito, e, non si sono fatte attendere le dovute stoccate ai due grandi sindacati assenti, CISL e UIL, che hanno ai propri vertici nazionali come segretari generali, per paradosso, proprio due conterranei della locride. Ed è proprio questa, l’area ionica della provincia reggina, che ha registrato le numerose defezioni degli attuali sindaci e sezioni sindacali. Eppure la vicenda dell’ospedale di Locri e di Siderno, avrebbero richiesto la partecipazione dei primi cittadini, come pure, l’area tirrenica della Piana, qui la mancanza dell’ospedale di Palmi, promesso da oltre quindici anni e mai realizzato, crea un vuoto problematico che si riversa su Polistena e Reggio Calabria.
Presenti invece i cittadini organizzati di Serra San Bruno che rivendicano la necessità di evitare la chiusura dell’ospedale montano, per loro prezioso.
Queste sono condizioni che determinano il collasso degli altri ospedali, sovraccarichi di richieste ed incapaci di farvi fronte, tanto che la Calabria sbalza ai primi posti per overbooking, con un 83% di posti letto occupati oltre il cento per cento e un restante 17% occupati dal settanta al cento per cento (su dati di ricerca della FADOI, la Federazione associazione dirigenti ospedalieri internisti).
Poniamoci una domanda: la Calabria era davvero pronta a reggere la pressione derivante dalla pandemia da Covid, se questa avesse raggiunto i picchi del Nord?
La risposta la conosciamo tutti, certamente no, e siamo preoccupati per l’eventualità di nuove ondate pandemiche.
Inoltre non possiamo non tener conto che c’è chi sta programmando scenari economici ed ambientali, lontani dal tutelare l’ambiente e il territorio, e, lontani dal sentire di buona parte della popolazione, almeno di quella informata; si va dagli inceneritori, ai refrigeratori, agli sbancamenti dei fondali, all’abbattimento di ettari di faggete e alberi secolari, alle praterie di pale eoliche, persino in mare e, non da ultimo, al riesumato fantasma del Ponte sullo Stretto.
Chi ha memoria, ricorda anche altre condizioni di rischio che la Calabria ha affrontato, non sempre informandone i cittadini.
Molti governi fa, ad esempio, venne consentito il passaggio e il trasbordo di una nave carica di iprite, che dal Mediterraneo transitava in acque italiane, e che giunta in Calabria, tra San Ferdinando e Gioia Tauro, avrebbe dato avvio all’operazione in mare, mai realizzata prima, facendo passare il liquido da una nave all’altra, in estrema vicinanza alla costa.
Un rischio senza precedenti, per le popolazioni dei tre comuni limitrofi e per l’ambiente marino-costiero, visto che il processo avrebbe potuto determinare un disastro ambientale, con la fuoriuscita di gas e altri materiali di scarto, potenzialmente letali!
Ebbene, non solo la Calabria acconsentì, ed i sindaci non opposero la dovuta resistenza ma, addirittura, l’unità di crisi che avrebbe dovuto garantire l’intero processo, venne riunita a poche ore dal trasbordo.
Non furono allestite ulteriori camere iperbariche e le pochissime in uso, erano del tutto inadeguate a poter reggere le eventuali popolazioni intossicate, né furono acquistati farmaci e dispositivi, neppure delle semplici mascherine.
Anzi la cittadinanza fu tenuta all’oscuro dei rischi che stava correndo.
Ecco, questa è la considerazione che la Calabria ha avuto, negli anni, dal governo centrale e purtroppo anche dagli amministratori e dai politici locali, senza distinguo possibile di colori!
Di fronte a questi scenari la Calabria si trova del tutto inerme ed impreparata.
Come pure e’ impreparata ad offrire cure ed assistenza ai cittadini più svantaggiati ed in condizione di emarginazione sociale,
come nel caso dei cittadini migranti parcheggiati nelle periferie disagiate o nelle tendopoli, senza assistenza socio-sanitaria alcuna, se non limitata alle pressioni esercitate sulle istituzioni, dal volontariato e dal terzo settore, che via via strappano un’ora di assistenza medica, davanti a un mare di disinteresse.
Ma noi cittadini non ci stiamo, esigiamo un cambio di rotta, non vogliamo più essere né vittime, né complici di questo sistema e ci facciamo promotori, oggi stesso, di cambiamento.
Alla politica chiediamo di prendere atto dei fallimenti e della corruzione che accompagnano e hanno accompagnato l’azione di governo fin qui condotta, e, che ci venga assicurato lo spazio della con-partecipazione, per costruire un nuovo percorso che guardi ai bisogni di salute, secondo un approccio olistico di benessere della persona e dell’ambiente circostante.
Un approccio in grado di tenere assieme una molteplicità di fattori e di istanze, e, che intenda garantire a tutti e tutte l’accesso alle cure e alla assistenza, in ambiente pubblico, ove possibile in regime di gratuita’, e soprattutto con tempi di risposta rapidi e con standard di qualità rispettati.
Sono tante le proposte che saremmo in grado di avanzare, per incidere sul piano delle risorse, del budget di spesa, ma anche della qualità e l’ottimizzazione dei servizi.
Ma tutte queste proposte dovrebbero essere inserite in una cornice che tracci, prima del decalogo programmatico e delle azioni correttive, la visione di futuro, che si vuole, della sanità calabrese. Questa visione non può prescindere dall’essere innovativa, e, non limitarsi solo a scopiazzare modelli e prassi di lavoro di altre regioni, ma cogliere la prospettiva del cambiamento per riformulare protocolli e metodiche o ripensarli da zero, secondo le specificità del territorio e dell’utenza.
Per la Calabria potrebbe essere un’occasione di ambire, non alla rincorsa,
ma a fare da apripista nel panorama nazionale e magari internazionale.
Senza questo tipo di approccio evolutivo, il rischio è quello di scimmiottare realtà nazionali che, all’oggi, faticano per prime a mantenere gli standards che hanno conferito loro, in passato, un’immagine di modelli sanitari ed assistenziali virtuosi e di eccellenza. Diventare attrattivi è una chiave per convogliare nuove energie, anche dall’estero, attraverso i nostri professionisti, medici primari, ricercatori di alto profilo che, alle giuste condizioni, potrebbero offrire il loro supporto, da mettere a sistema con le eccellenze che già possediamo o che stiamo sviluppando.
Certo tutto questo presuppone un aiuto concreto alla ricerca e, in giornate, come queste, di sciopero nazionale dei ricercatori, perché massicciamente precarizzati, si fatica; tuttavia da qui parte la sfida nel Paese, dal dover trovare una quadra tra il contratto di ricerca nazionale, voluto da Draghi, e le prassi per l’ottenimento dei fondi del PNRR, che al momento confliggono.
Le soluzioni non sono mai semplici, quando si tratta di sanità, e questo chiama in causa il grande assente alla manifestazione di Catanzaro: la Regione Calabria e il suo presidente, nonché commissario con deleghe alla sanità, Roberto Occhiuto. Questa assenza è pesata ed auspichiamo possa essere recuperata ai prossimi appuntamenti.
Del resto, è la realtà che ci riporterà tutti con i piedi per terra, dal momento che al prossimo Consiglio dei Ministri, tornerà in auge la questione “autonomia differenziata” per le regioni a statuto ordinario, tra cui la Calabria, visto che sarà presentato il disegno di legge delega per la determinazione dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni).
Un progetto, quello Calderoli, che non tiene conto del milione e trecento mila firme raccolte dai cittadini per fermarlo. E quindi la Calabria e Occhiuto si troveranno ad un bivio, se voler contribuire ad acuire le diseguaglianze tra nord e sud del Paese, tra cittadini ricchi e poveri, tra aree interne, montane, periferiche e disagiate e zone centrali, meglio servite, meglio equipaggiate; oppure se fermare questa mannaia che starebbe per abbattersi sulla nostra regione, senza darci scampo, con un rischio reale di non avere più neppure quel poco, di cui già adesso ci tocca accontentarci.
Il confronto con la Regione non potrà non esserci, anche per porre sul tavolo i dati non incoraggianti circa l’avvio dei servizi di medicina territoriale, a partire dalle case di Comunità e dalle previsioni di spesa dei fondi del PNRR, che si aggirano attorno al due, tre per cento, rispetto all’atteso. Dati davvero sconfortanti che, al di là delle dichiarazioni corroboranti, da campagna elettorale, non lasciano dubbi anche sul fallimento dell’operato di Azienda Zero, così tanto voluta dal presidente Occhiuto.
Pertanto, si deve aprire una nuova stagione, una prospettiva di lavoro che ci veda compatti, anche nell’ingrossare le fila della partecipazione e limitare quella tendenza alla litigiosità, incoraggiando quella tanta parte di cittadinanza delusa, distratta o apatica, che ancora non coglie l’importanza di abbracciare la protesta.
Il Paese Italia, nel suo complesso, sta attraversando una fase difficile e controversa e non stupisce se in Lombardia, si ritrovano a fare i conti con i Nas che firmano un accordo con la Regione, per indagare sul perché delle liste di attesa!..dei non-sense a cui via via ci stanno abituando dalle regie politiche, che a tal punto devono aver perso la bussola, da aver bisogno di scomodare chi di mestiere dovrebbe fare i controlli a posteriori e non entrare in cabina di regia.
E in Calabria non va molto diversamente, si finisce a tu per tu col Prefetto, a portare una piattaforma di lavoro, a cui la politica regionale sembra refrattaria.
Del resto alcune contraddizioni avvicinano il nord al sud, come il ruolo sempre più preminente dei privati, a scapito del pubblico. Certo in Calabria il fenomeno è esponenziale e se domattina si fermassero i privati, il sistema sanitario collasserebbe. Quindi anche il ritorno al pubblico dovrà avvenire con una certa gradualità.
E poi bisognerebbe pretendere l’ottimizzazione dell’esistente, in ottica di efficienza e di qualità.
Dovremmo anche chiedere l’istituzione di uno spazio fisico e virtuale dove poter raccogliere le denunce dei familiari delle vittime, dove offrire assistenza legale e consulenza medica, per decidere di affrontare insieme, delle vere e proprie classi action, contro lo strapotere delle “Aziende” sanitarie ospedaliere, tutto quello che un singolo cittadino non può affrontare da solo.
Bisogna chiudere la stagione dei commissariamenti ed aprire quella della “opportunità nelle scelte” di candidati e rappresentanti, rimettendo l’etica dell’agire al primo posto, senza attendere le sentenze della magistratura e l’azione dei Prefetti.
Il debito accumulato in questi anni di disgraziate gestioni commissariali dovrebbe essere cancellato, visto che non ha portato ad alcun risanamento dei conti, e semmai ha allargato i buchi di bilancio, senza migliorare la qualità dei servizi e delle strutture.
Non ci resta che fissare i prossimi passi, ora che abbiamo alzato la testa.
Nel frattempo andiamo a votare per il referendum dell’8 e del 9 giugno prossimo, perché i Diritti si difendono, partecipando.