Il sogno di padre Ottavio Fasano è finalmente realtà. Il frate cappuccino piemontese, da cinquant’anni impegnato nella realizzazione di progetti in Capo Verde, in particolare nell’isola di Fogo, è riuscito a concludere una struttura alla quale teneva in particolare. Si tratta della casa di cure palliative, intitolata a Nossa Senhora de Encarnação (Nostra Signora dell’Incarnazione), che si trova nel comune di São Filipe, all’interno del complesso delle Casas do Sol, il resort dei cappuccini.
È stata inaugurata domenica 18 maggio. Il taglio del nastro è stato preceduto da un convegno nell’auditorium “Padre Pio Gottin”, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il padre provinciale dei frati cappuccini piemontesi Roberto Rossi Raccagni, il sindaco di São Filipe, Nuias Silva e, per l’Italia, Valerio Oderda, sindaco di Racconigi (provincia di Cuneo), il dottor Evandro Monteiro, direttore dell’ospedale “A. Neto” della capitale Praia, in rappresentanza del ministro della Salute capoverdiano, la dottoressa Jorgina Silva, direttrice dell’ospedale “San Francesco” di Fogo (altra opera realizzata da padre Ottavio), padre Gilson Frede, presidente Fondazione “Padre Ottavio Fasano”, che gestisce i progetti in loco. Padre Gilson è anche il custode dei cappuccini di Capo Verde. «L’accompagnamento alla morte è una cosa seria – spiega -. La morte ci trova tutti, anche se in maniera diversa. C’è chi soffre molto, non solo fisicamente, ma anche spiritualmente e psicologicamente. E anche se nella nostra tradizione noi siamo abituati che i nostri anziani muoiono in casa, sappiamo che non sempre è possibile. Pertanto, la casa di cure palliative è la giusta risposta. Sentire che c’è qualcuno accanto a te in una prova così difficile, è importantissimo. Gli ospiti potranno contare su infermieri preparati, ma anche sul conforto dei nostri cappuccini. La fede va al di sopra della disperazione».
I relatori hanno raccontato il progetto, la sua storia e l’iter di realizzazione. Iniziato sette anni, con la posa della prima pietra da parte del cardinale Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago di Capo Verde, ora è finalmente realtà. «Architettonicamente, la struttura si ispira alle abitazioni tradizionali dell’isola – spiega il direttore dei lavori, l’ingegner Rocco Montagnese -. Si è inteso ottimizzare l’inserimento ambientale, sfruttando al meglio il dislivello naturale del terreno per creare un piano seminterrato destinato a camera mortuaria, magazzini e centrale tecnica. Il piano principale, interamente accessibile e privo di barriere architettoniche, si sviluppa su circa 470 mq, ed è dotato di un ampio porticato e di un terrazzo coperto con vista sull’oceano. Dall’ingresso principale si accede a un corridoio che conduce alle sei camere di degenza, tutte dotate di servizi igienici per disabili, e predisposte per accogliere familiari o visitatori. All’interno sono anche presenti spazi comuni come soggiorno e sala da pranzo, e aree dedicate ai servizi sanitari, quali farmacia, infermeria, locali per colloqui medici, servizi igienici pubblici, lavanderia e locali per il personale».
Ci vorrà ancora qualche mese per l’apertura; nel frattempo, saranno formati gli operatori sanitari, anche grazie all’aiuto della dottoressa Behnaz Saber, responsabile medico dell’hospice Faro “Ida e Sergio Sugliano” di Torino. Per gestire tutti i progetti ideati per Capo Verde, è nata l’Associazione missionaria solidarietà e sviluppo (Amses), di cui è presidente Luigi Marianella, imprenditore piemontese al quale ventitré anni fa padre Ottavio chiese di porre le sue capacità imprenditoriali al servizio dei poveri. «Realizzare l’hospice per noi è stato davvero uno sforzo importante, direi oltre le nostre possibilità – afferma Marianella -. Dal punto di vista finanziario, dobbiamo ringraziare i tanti donatori, davvero questo progetto è frutto dell’impegno di molti. Goccia dopo goccia. I loro nomi sono scolpiti sulle mattonelle delle pareti dell’hospice, segno della nostra gratitudine». «Nel 1965 ero segretario delle Missioni Estere dei frati cappuccini piemontesi – racconta padre Ottavio -. Quando arrivai a Capo Verde, compresi subito che qui la morte era più vicina che da noi. Vedevo tagliare il cordone ombelicale ai neonati con coltelli arrugginiti, con conseguenze immaginabili. Non era possibile restare indifferente. Da lì tutto è partito». In un rapporto che non è mai stato a senso unico. «Capo Verde ha trasformato profondamente la mia vita di uomo e di sacerdote», conclude padre Ottavio.