Qualche giorno prima del 25 aprile stavo riguardando alcune parti dell’ultimo libro di Gianfranco Pasquino In nome del popolo sovrano. Potere e ambiguità delle riforme in democrazia (Egea, gennaio 2025). E ho potuto leggere, il 23 aprile, il suo settimanale articolo sul quotidiano Domani. Un articolo con un titolo che mi ha fatto dire, come spesso mi accade quando lo leggo, in quotidiani o libri, Bravo Pasquino! Il titolo. Il 25 aprile non è la festa di tutti. Nessun fascista lo può festeggiare. Una affermazione netta, senza sfumature, chiara e, ai miei occhi, storicamente e culturalmente assai fondata. Estranea a un certo ambiguo, e spesso bugiardo, mainstream, che cerca di mettere in discussione o annebbiare i fatti della storia, di tentare una pacificazione sulla pelle dei morti, che sarebbero tutti uguali e che ci chiederebbero solo azioni non divisive, perché il popolo è uno, la Nazione è una, e gli interessi di chi è nasce in Italia non possono che essere gli stessi. E chi confligge è un nemico della patria, o come preferiscono, della Nazione.
Ma Pasquino, ben più di altre considerazioni lette in questi giorni, mette in chiaro, in questo Ottantesimo anniversario della Liberazione, che questa festa, che ha visto, quest’anno, una partecipazione eccezionale, in tutte le città, e non solo a Roma e a Milano, in una misura mai vista prima, è sicuramente la festa di un popolo, ma di un popolo antifascista. Antifascista è una definizione nettamente politica, e ha in sé un portato che va ben oltre il dirsi italiani. Se vogliamo partire dal nostro essere italiane e italiani, dobbiamo conoscere – onestà intellettuale e civile lo richiede – quale è la storia che ha visto il fascismo nascere in Italia, fenomeno inedito che, partendo dall’Italia, ha viaggiato parecchio in Europa. L’Italia porta questo primato, non dimentichiamolo. Un primato che ci ha portato, sul finire della seconda guerra mondiale, ad una vera guerra civile. Fascisti e antifascisti, italiani, armati, si sono combattuti. Altro che popolo uno. Una tragedia nazionale che va conosciuta, studiata e non nascosta sotto il tappeto o sotto fitti veli di ipocrisia. Nel 1945 vinsero gli antifascisti, donne e uomini. I fascisti se la legarono al dito. Nel 1946 erano già organizzati in partito, con il compito di riportare il fascismo in Italia. E, in questi quasi ottanta anni di storia repubblicana, per chi ancora è, si sente, si dichiara, fascista, il 25 aprile non è una giornata di festa, ma di rancore. Ci sono stati, anche in questi giorni, sindaci fascisti che il 25 aprile non lo hanno voluto festeggiare, cercando anche di impedire ad ANPI di esserci e di prendere parola. Chi, come è il mio caso, vive in Romagna, sa bene come a Predappio fascisti orgogliosi di esserlo spesso vadano in ardente pellegrinaggio, con tutti i riti dovuti all’indimenticabile, per loro, DUX. In realtà, neppure noi, antifascisti, donne e uomini, lo dimentichiamo, Mussolini, non dobbiamo dimenticarlo e alla gioventù da poco comparsa nel mondo, è una storia da fare conoscere, e molto bene, con taglio storico, analitico, critico. Guardiamo quindi con un certo stupore alla Disneyland fascista di Predappio, costellata di negozi, di cimeli, di gadget fascisti pieni di nostalgia. E’ una situazione che non riesco a comprendere bene. E’ del tutto estranea alla lettera e allo spirito della nostra Costituzione. Pochi giorni fa, non pochi fascisti, a Predappio, si sono ritrovati per l’anniversario della morte di Mussolini. Un giorno luttuoso, come, per loro, è luttuoso anche il 25 aprile. Questo è un dato di fatto, a conferma delle parole chiare di Pasquino, che aggiunge “Il 25 aprile è senza ombra di dubbio festa di libertà”. Quella libertà che il fascismo negò e che la nostra Costituzione afferma in modo netto. Tanto netto da consentire ai fascisti di circolare e dire. Ma l’impunità di cui spesso i fascisti hanno goduto, e ancora, non di rado, godono, questo la Costituzione non lo consente. Però, lo spettacolo continua.
Sul fascismo non può esserci memoria condivisa, afferma quindi Pasquino. I morti di Salò hanno una storia opposta ai morti della Resistenza antifascista. Quindi, non può essere la festa di tutti, ma di chi sa che senza Resistenza antifascista l’Italia non sarebbe diventata una Repubblica né avrebbe avuto la Costituzione antifascista che ha. Una Costituzione spesso oggetto di studio da parte di Pasquino che, con molti suoi interventi e libri, ci ha aiutato ad approfondire e a comprendere la portata, storica e politica, della Costituzione, che, disse Calamandrei, è la rivoluzione promessa rispetto alla rivoluzione mancata che molti partigiani, combattendo, si auguravano di compiere. E non solo i partigiani socialisti o comunisti. Anche i partigiani azionisti intendevano rivoluzionare lo stato delle cose di un passato da superare. Non solo il fascismo. Anche la monarchia tiepidamente liberale, tanto debole e contraddittoria da avere accolto il fascismo, facendolo crescere in un ventennio che solo la guerra ha interrotto. Per non dire della rivoluzione portata dalle donne resistenti, che diventarono cittadine, con il voto, e, nella Costituente, portarono la loro rivoluzione. Certo, con compromessi, fra democristiane e laiche, ma unite nella consapevolezza di essere finalmente cittadine, dotate di voto, di parola, elettrici e elette, con la possibilità di scrivere leggi e di ottenerne l’approvazione. Una finalmente libera e piena cittadinanza.
Altra grande novità è nell’art. 1 della Costituzione. L’Italia – non la Nazione – è una Repubblica fondata sul lavoro, non su una Monarchia dinastica. E la sovranità appartiene al popolo. Il popolo sovrano che compare, appunto, nell’ultimo libro di Pasquino, che si interroga su come, in questi decenni, chi ha tentato di riformare la Costituzione con l’argomento che sarebbero state riforme che miglioravano la vita del popolo sovrano, non abbia condotto un buon gioco. Alcune riforme costituzionali sono state fermate dal popolo sovrano, altre, come il taglio del numero dei parlamentrai, sono passate, ed è una brutta storia, con l’astensionismo in crescita e la sfiducia nelle Istituzioni. Indebolire le Istituzioni, anziché farle abitare, come più volte Pasquino ci ha detto nel corso del tempo, dalle donne e dagli uomini migliori, pur nel necessario pluralismo, che è libertà. Veramente una brutta storia, quella di tagliare il Parlamento, come se il Parlamento voluto dalla Costituente fosse un banale e volgare poltronificio. Non lo è neppure oggi, dove, possiamo dire, solo in piccoli numeri siede il fior fiore del nostro paese.
Il libro di Pasquino è da leggere, anzi, da studiare. E con una certa urgenza, dovuta al fatto che il presidente del Consiglio, con parole recentissime, ha ribadito che la riforma delle riforme, che rivolterà l’Italia come un calzino, non solo non è archiviata, ma è una priorità. L’elezione diretta del presidente del Consiglio, una sorta di presidenzialismo all’italiana, modello inesistente altrove, sottolinea Pasquino, un modello che, inoltre, introduce un lauto premio di maggioranza, togliendo così forze all’opposizione, alla dialettica parlamentare e al ruolo del Parlamento. Fin dall’inizio della storia repubblicana, nei programmi del Movimento Sociale Italiano era presente il presidenzialismo. Anche nel programma di Fratelli d’Italia. E’ probabile che Meloni abbia poi cercato di indorare la pillola, affermando che il Presidente della Repubblica non si tocca, e si rafforza solo chi governa. Figuriamoci che ruolo di efficace super partes avrebbe il Presidente della Repubblica, accanto all’ “eletto direttamente dal popolo”. La sovranità popolare non più conferita a un Parlamento ricco di pluralità politica, ma a un “singolo”, che potrebbe essere espressione anche di una non maggioranza del popolo, a quel punto molto debolmente sovrano. Non dimentichiamo, poi, che da tempo, nonostante modifiche, si continua a votare, in Italia, con una legge elettorale incostituzionale, come il cosiddetto Rosatellum. Una delle cause, non l’unica, della crescente disaffezione al voto.
Per chi intende non rinunciare alla partecipazione, nonostante i tempi bui, e non solo in Italia, i libri di Pasquino sono un toccasana. Non sono consolatori, non semplificano, non rincorrono, non vogliono “piacere”. Ci mettono di fronte a responsabilità, in quanto parte del popolo sovrano che, per esercitare la sovranità, ha il dovere di conoscere la storia da cui proviene, e la realtà in cui si trova. Lamenti, inutili. Indignazioni, tutte le volte che sono necessarie. Sogni? Meglio speranze, da ancorare, però, a voci autorevoli che sanno darci voce. Come la voce di Pasquino, che continua il suo magistero politico anche oltre le aule della sua Università.