Forse ha ragione chi sostiene che a breve, se non è già così, il mondo si dividerà in pro-Trump e anti-Trump, assurto ormai a simbolo globale dell’ingiustizia, dell’esclusione e della crudeltà.
Non sappiamo, ovviamente, che papa sarà Robert Francis Prevost, americano, asceso questa sera al soglio pontificio col nome di Leone XIV. Basta, tuttavia, conoscere un minimo la storia della Chiesa ed encicliche come la “Rerum novarum” per sapere che ha scelto un nome che è di per sé un programma, come del resto Francesco. E come quello di Francesco, anche il programma di Leone XIV parla di pace, lavoro, attenzione degli ultimi, diritti, importanza attribuita al sociale e alle periferie, difesa dell’ambiente dalla distruzione e salvaguardia del Creato. Se volessimo applicare un’antica e nobile categoria comunista, potremmo interpretarlo dunque come un “cambiamento nella continuità”. Certo, Leone XIV i paramenti li indossa tutti, è più riservato e forse meno empatico, non sembra avere la genuinità tipica dei gesuiti e per certi versi è più dottrinario, ma non costituisce un ritorno al passato.
Agostiniano, unisce a una profonda cultura teologica una notevole abilità dialettica e una saggezza diplomatica niente indifferente: prova ne sia la scelta di concedere immediatamente l’indulgenza plenaria, seguendo l’esempio della predicazione francescana su un Dio che non si stanca mai di perdonare.
Tornando all’aspetto più importante, però, non possiamo non rimarcare la sua profonda avversione a Trump, a cominciare dal tema dei migranti. Il che ci induce a riflettere sulla modernità e la tempestività di una Chiesa che, nel momento peggiore della storia degli Stati Uniti, al cospetto di una presidenza sciagurata e isolazionista, decide di affidarsi a un nemico giurato di tutto ciò che il magnate rappresenta, rispondendo con prontezza anche al suo osceno travestimento papale, da molti considerato, non a torto, come un insulto ai limiti della blasfemia.
Ribadiamo: la nostalgia per Bergoglio c’è e per molto tempo si farà sentire; occhio, però, a non dimenticarci che anche lui, all’inizio, fu accolto con discreto scetticismo. Non potendo far conto sullo Spirito Santo, ci affidiamo, da laici, su una consuetudine: il potere e le responsabilità che ne derivano cambiano le persone, talvolta anche in meglio.
Leone XIV diventa papa in un mondo dilaniato dalle guerre, mentre India e Pakistan sono sull’orlo dell’abisso, e parliamo di due potenze dotate dell’atomica, con la mattanza ucraina di cui non si vede la fine (la pace inmediata si è rivelata l’ennesima fandonia elettorale di Trump) e Gaza a un passo della scomparsa, in quello che ormai si configura a tutti gli effetti come un genocidio nei confronti del popolo palestinese. Ebbene, partirà da qui, statene certi. La sua Chiesa, magari, non sarà povera per i poveri e ultima per gli ultimi ma neanche qualcosa di così diverso. Perché il Dio d’Avvento predicato dal predecessore ha seminato nelle menti e nei cuori dei fedeli e persino, se non soprattutto, dei non credenti un’idea di fratellanza universale dalla quale non si può tornare indietro. E nessuno può saperlo meglio di un uomo, prim’ancora che di un pontefice, che viene dalla patria delle disuguaglianze, delle divisioni, delle discriminazioni e delle fratture sociali estreme. Ricucire l’umanità e restituirle luce: Leone XIV significa questo e dubitiamo che possa deluderci.