Cittadinanza a Julian Assange. Roma nun fa la stupida

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Incredibile dictu. La città eterna, Capitale in cui ai tempi dell’Impero romano un non cittadino poteva assurgere alle massime istituzioni, sta frenando all’ultimo passaggio il riconoscimento di civis a Julian Assange.

Cicerone avrebbe dedicato una delle sue Filippiche al sindaco Roberto Gualtieri, cui spetta il via libera finale o, meglio, la semplice scelta di non opporsi alla delibera specifica. Quest’ultima fu approvata, pure con l’appoggio degli Atenei del territorio, in seno alla Commissione Roma Capitale lo scorso 15 gennaio. Lo stesso testo derivava dalla mozione votata pressoché all’unanimità dall’assemblea del Campidoglio pochi mesi fa, il 17 ottobre dell’anno passato.

Se mai vi fossero stati dei dubbi, sarebbe stato allora che andavano dipanati. L’atto formale ancora manchevole è stato preceduto da un confronto che sembrava essere stato esauriente. Così apparve alle consigliere e ai consiglieri capitolini assai impegnati sul tema. Così ugualmente sembrò (dagli applausi che si levarono dopo quel voto) a coloro che assistettero al dibattito, all’interno e all’esterno.

Risulta, quindi, inspiegabile l’eventuale freno proprio nella volata finale in vista del traguardo, come avrebbe esclamato Sergio Zavoli nelle sue cronache del Giro d’Italia.

Non sarebbe simile eventualità né condivisa né compresa. Calerebbe una nube foriera di tempesta.

Non rimane che sperare di far peccato per eccesso di pessimismo, ma le voci di dentro sono costanti.

Il manifesto ha sottolineato numerose volte la gravità della vicenda che opprime il fondatore di WikiLeaks. L’associazione Articolo21 ha rivolto un appello al primo cittadino.

Si terrà una conferenza stampa ospitata proprio dall’Ordine. Le accuse pendenti non sono mai state discusse nel merito, mentre dal 2010 continua il calvario.

Se vi fossero dubbi in merito sarebbe consigliabile la lettura di due libri importanti: Il potere segreto (2021) opera della persona che scrive puntualmente dall’inizio Stefania Maurizi, nonché Il processo a Julian Assange (2023) dell’ex relatore speciale delle Nazioni Unite contro la tortura Nils Melzer. Tra l’altro, proprio l’accademico svizzero descrive con rigore il mutamento dell’approccio vissuto studiando il dossier: da una diffidenza iniziale, all’appassionata convinzione dell’innocenza di Assange. Si appalesa via via nelle carte processuali la trama istruita a tavolino da Stati Uniti, Svezia, Gran Bretagna e (in parte) Ecuador contro colui che aveva messo il naso negli arcani delle Cancellerie e nei misfatti orrendi delle Guerre, dall’Iraq all’Afghanistan.

La creazione artificiale del nemico è un classico degli studi sulle politiche criminali: l’affare Dreyfus ci ammonisce che la ricerca del capro espiatorio a costo della menzogna è una pratica non insolita. In Italia ci si ricorda dei giorni tristi delle accuse inventate a Valpreda e Pinelli.

Il ricorso alle fake di Colin Powell per giustificare l’attacco all’Iraq è una sequenza purtroppo indimenticabile: un ammonimento sull’assenza di qualsiasi moralità di poteri che non rispettano le stesse regole che formalmente si danno.

Non c’è tempo. Il prossimo e vicino 20 febbraio sarà il giorno X della storia.

Sotto il fumo di Londra, le Corti decideranno se accogliere o respingere l’ultimo appello del collegio di difesa (cui partecipa la moglie avvocata del presunto colpevole Stella Moris). In caso di diniego, Scotland Yard potrebbe trasferire immediatamente Assange su un aereo diretto al competente tribunale della Virginia, su cui ha influenza la Central Intelligence Agency (CIA) che non per caso voleva uccidere una persona soggetta a prassi tipiche della tortura.

Eppure, l’Ordine dei giornalisti italiano aveva conferito la tessera ad honorem all’inquisito. E ben 19 sindacati professionali in Europa (e nello stesso Regno Unito) hanno aderito ad una lotta di libertà.

Non si tratta di valutare pregi o difetti, simpatie o antipatie: quando è in gioco un diritto, è quest’ultimo a prevalere su tutto il resto.

La cittadinanza di Roma parlerebbe al mondo, come esempio di democrazia e di civiltà. Se no, il buio.


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