Ilaria Alpi quinto e sesto viaggio in Somalia. Sei missioni in 10 mesi

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I due pick up

Ho già avuto modo di sostenere che anche i tempi delle sette missioni di Ilaria Alpi in Somalia non sono casuali ma legati al suo modo di lavorare: studiare conoscere capire verificare raccontare. E soprattutto intrecciare quanto accadeva in Italia e quanto in Somalia: una intuizione sempre presente proprio perchè le storie tragiche erano in qualche modo collegate, come abbiamo spesso raccontato, essendo la Somalia la “nostra ventunesima regione” e non solo. L’ultimo lunedì di luglio abbiamo raccontato due dettagli molto importanti relativi a quanto succede nei primi giorni del duplice delitto a Mogadiscio, nel viaggio di ritorno in Italia e a Ciampino. E poi in relazione alla vicenda del pick up fatto arrivare dalla Somalia tramite Giancarlo Marocchino da Carlo Taormina, presidente della commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria e Miran. La macchina potrebbe essere autentica e anche no. Il confronto per la verifica è avvenuto con le immagini del servizio di Bonavolontà girate a Mogadiscio una ventina di giorni dopo l’agguato, con Marocchino che gli fa da guida: i due pick up appaiono identici. Identiche sono le conclusioni del servizio di Bonavolontà e dell’avvocato Taormina: è la tesi dell’unico proiettile vagante che colpisce entrambi avanzata dall’intelligence di Unosom in ben due documenti ufficiali (24 marzo e 3 aprile 1994) firmati dal responsabile colonnello Fulvio Vezzalini. I due pick up a confronto hanno un dettaglio comune: foderine grigie con evidenti fori di proiettile nel sedile accanto all’autista dove era seduto MIran. Faranno concludere a Taormina che “… Ilaria tutto faceva meno che indagini giornalistiche perchè stava a Bosaso insieme al suo cameramen a prendere un po’ di sole … si è trattato di un tentativo di rapina o di sequestro finito male …”

Ai due pick sono state tolte le foderine rosse del giorno dell’agguato che abbiamo visto tutti dalle immagini dell’ABC e della TV Svizzera italiana: non ci sono fori di proiettile. La trappola aveva cominciato da subito a funzionare.

Dettagli verso la settima missione fatale per Ilaria e Miran e i “peccati capitali”

Raccontiamo qui della quinta e sesta missione, ravvicinate (4 -17settembre; 11 -24 ottobre 1993) e aggiungiamo qualche altro dettaglio.

La settima missione, che le sarà fatale, avverrà dopo cinque mesi. Perchè un tempo così lungo? Forse è anche questo un dettaglio, come quelli già sottolineati, significativo e importante. Di certo voleva mettere insieme tutte le cose che aveva individuato nel suo lavoro in Somalia e in Italia, andare a verificare i possibili collegamenti di traffici di armi e altro con la ex Jugoslavia, lacerata da una sanguinosa guerra che trovò una immane tragedia proprio nei primi mesi del 1994: ricordiamo l’uccisione a Mostar il 28 gennaio 1994 di Marco Lucchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo, della sede Rai di Trieste. Quando Ilaria parte l’11 marzo da Pisa per Mogadiscio, insieme a Miran, sono da poco rientrati dalla ex Jugoslavia appunto (lo hanno sempre confermato anche Luciana e Giorgio Alpi ma alcuni block notes rubati non consentono di stabilire la data esatta. Però ci sono le cassette girate da Miran che confermano). Il viaggio che programmeranno, l’ultimo, sarà concitato, veloce nel suo sviluppo e non comunicato dall’inizio nei dettagli degli spostamenti. Il che potremo verificare nel racconto dettagliato degli ultimi giorni di Ilaria e Miran.

Era in grado Ilaria, dopo sei missioni, di concludere il suo lavoro sui famosi “peccati capitali” raccontati da Ettore Masina nel dossier Somalia che Ilaria conosce fin dal 1991, data di pubblicazione dello stesso e forse anche da prima, dalla voce diretta di Ettore Masina e di altri parlamentari della sinistra indipendente. Nel resoconto della prima missione (20.12.1992/10.1.1993) abbiamo descritto questi peccati capitali riportando brani dei testi originali. Si parla della strada Garoe Bosaso (che Ilaria e Miran andranno a filmare il 15 marzo 1994) e della flottiglia di pescherecci della Shifco donati dall’Italia alla Somalia di Siad Barre, di Mugne e del porto di Bosaso, del sultano/Bogor Abdullahi Bimoussa.

Si tratta di nomi che rintracciamo nel block notes di Ilaria ritrovato o, come quello custodito nel suo studio a Saxa Rubra insieme con l’annotazione più conosciuta: 1.400 miliardi di lire, dov’è finita questa impressionante mole di denaro?… (ripresa da una pagina del Dossier del 1991).

10 aprile 1991 Livorno: La tragedia del Moby Prince e la nave madre della Shifco 21 October2

Abbiamo già ricordato la tragedia del Moby Prince (10 aprile 1991 a Livorno) perchè in quei giorni la nave madre della SHIFCO, la 21 October2, era lì così come i suoi capi. Ilaria si stava già occupando della Somalia perchè il 26 gennaio 1991 Siad Barre era stato messo in fuga ed era iniziata una violenta guerra civile tra i “signori della guerra” con massacri di donne e bambini già provati da violenze, fame, malattie. Ilaria potrebbe essere andata a Livorno per verificare l’accaduto, visto che per quel disastro, una tragedia, 140 morti un solo superstite, si era parlato fin dai primi momenti di movimentazione di navi cariche di materiale bellico mentre era già in corso la guerra nella ex Jugoslavia. Si legge anche nella relazione della commissione d’inchiesta (2017/2018) sulla strage: la vicinanza con la base USA Camp Darby in piena crisi del golfo potrebbe essere la ragione “della presenza di almeno 5 navi militarizzate USA quella sera … E ce ne sarebbero almeno altre due: la 21 October II, e una nave fantasma, “Teresa”, da messaggi intercettati e mai rintracciata.

In Italia il parlamento sciolto il 16 gennaio 1994, dopo le stragi mafiose e sull’onda di tangentopoli non solo italiana, istituisce la commissione bicamerale d’inchiesta sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo, in tempi record il 13 gennaio, nella commissione deliberante!

In Somalia dopo la fuga di Siad Barre ci vorrà più di un anno perchè si organizzi una missione internazionale denominata “Restore Hope”, a cui l’Italia aderisce insieme ad altri 26 Paesi, a guida USA.

Fin dalla prima missione Ilaria lavora sulle conoscenze che già possiede. E quando parte attorno a Natale 1992 ha già in mente quali sono gli itinerari della sua inchiesta: traffici illeciti di armi e altro “contigui” con la ricca cooperazione bilaterale e multilaterale con la Somalia. Prova ne sono i suoi appunti: strada Garoe Bosaso; Shifco società di navigazione, Mugne, sultano Bogor Abdullahi BiMoussa, Farah Omar Viareggio, che forse confonde con Livorno?). E anche la scansione delle sue missioni.

Mettiamo insieme i tanti pezzi di un puzzle in fase di completamento

Stiamo mettendo in fila quanto doveva essere valutato nella sua interezza e non come abbiamo dovuto fare: pezzo per pezzo, interrogatorio per interrogatorio, degli inquirenti (magistrati e commissioni d’inchiesta), documenti prima spariti e poi riapparsi, tantissimi documenti molti dei quali con apposto segreto e “tolto il segreto a gocce e anche però con sbianchettature!”, nelle parti più interessanti!

Questa la tecnica: appena qualcuno scopriva qualche cosa che poteva avvicinare alla verità, c’era chi alzava un gran polverone per depistare insabbiare: pensiamo all’estate del 1997, una fitta trama che porterà alla costruzione del capro espiatorio Hashi Omar Assan (si toglie il caso al dottor Pititto che aveva dato una svolta all’inchiesta, scoppia il caso delle violenze presunte di militari italiani nei confronti di donne e uomini somali, spunta perfino una specie di diario/memoriale di un maresciallo dei carabinieri che viene subito segretato dalla Procura militare …). Si attiva una commissione governativa presieduta dall’esimio presidente della Corte Costituzionale Ettore Gallo. Il depistaggio riuscirà come sappiamo: Hashi sarà condannato definitivamente a 26 anni di carcere, innocente, nel 2000; sarà scarcerato dopo 17 anni dal Tribunale di Perugia perchè innocente, vittima di depistaggi appunto; sarà assassinato a Mogadiscio con una bomba piazzata sotto la sua macchina il 6 giugno 2021.

Lo strazio e il dolore di Luciana e Giorgio non impedisce loro di capire che qualcosa non va

Aveva ragione Giorgio Alpi, il papà di Ilaria, che insieme a Luciana da subito capì che c’era qualcosa che non andava. Lo strazio, il dolore troppo forte non impedisce loro di vedere che:

non c’è nessuna autorità all’arrivo delle bare a Ciampino nella notte 21/22 marzo; i bagagli sono già violati e ancora ci sarà chi ci mette le mani per recuperare le cassette e forse altro (6, dirà Bonavolontà anche se erano 10 almeno; quattro erano relative al viaggio nella ex Jugoslavia di Ilaria e Miran circa un mese prima).

Il trasbordo dei cadaveri dalle bare di alluminio a quelle di legno avviene sempre senza il magistrato o altre autorità e senza la famiglia … altri dettagli sono davvero macabri. Non sarà eseguita l’autopsia ma un esame esterno:” si tratta di ferita penetrante al capo da colpo d’arma da fuoco a proiettile unico sparato a contatto con il capo…” come scrive il dottor Giulio Sacchetti. La perizia balistica invece sosterrà già che si è sparato da lontano forse con un kalashnikov.

Depistaggi

Da qui prosegue il depistaggio esteso e in varie forme e che coinvolge molti soggetti: a partire da chi era presente a Mogadiscio e poi si è occupato qui e là di occultare il certificato di morte stilato sulla nave Garibaldi e altro; falsificare, costruire da subito la storia del proiettile unico sparato da lontano che colpisce prima Miran e poi Ilaria, proprio come scritto nei due documenti di Unosom, negare che l’inchiesta di Ilaria fosse la causa della sua uccisione insieme a Miran come tutte le sentenze confermano. Carte false come l’invenzione che Ilaria andò a Bosaso per caso, versione sostenuta anche da non pochi suoi colleghi. Invece la verità è che Bosaso era la tappa conclusiva della sua inchiesta: ci volle andare subito, appena giunta a Mogadiscio la sua ultima volta,  per verificare quanto aveva già accertato sui due peccati capitali della cooperazione “la shifco i pescherecci e Mugne, intervistare il sultano al quale chiederà di poter salire sul peschereccio sequestrato, la Farah Omar; controllare la strada Garoe Bosaso” e poi tornare subito a Mogadiscio, il 16 marzo per mettere insieme “le cose grosse” come aveva annunciato alla Rai.

Per questo, minacciata di morte e sequestrata per poco tempo, le hanno fatto perdere l’aereo prenotato.

Che cosa succede nei cinque mesi prima dell’ultima missione di Ilaria in Somalia e in Italia?

Mentre Ilaria è in Italia, in ottobre 1993, anche Giancarlo Marocchino lo è: contatta Ilaria per un’intervista che Ilaria non vorrà fare, sa che Marocchino è stato arrestato da Unosom e poi su intercessione italiana liberato, come ci hanno raccontato Luciana e Giorgio. Sarà Carmen Lasorella a intervistarlo per il Tg2 (5/6 minuti forse più). Si scoprirà così il profilo di questo personaggio, un im-prenditore in Somalia dagli anni ’80: sarà lui, nessuna autorità italiana presente a Mogadiscio in quel periodo, a recarsi sul luogo dell’agguato il 20 marzo 1994 (o forse era già lì): avrà e ha un ruolo ambiguo in tutta questa tragica storia. Sarà “collaboratore” in alcune inchieste sull’esecuzione del 20 marzo 1994, mai indagato o interrogato come testimone (se non nel primo processo ad Hashi ma come teste proposto dalla parte offesa, Giorgio e Luciana Alpi; oppure da altre Procure che si sono occupate di traffico di armi e di rifiuti tossici).

Il primo di ottobre 1993 Giancarlo Marocchino viene arrestato a Mogadiscio da Unosom, con l’accusa di traffico di armi e altre attività illecite e gravi; Carmine Fiore è il nuovo generale a capo del contingente italiano dal 6 settembre, dopo il generale Bruno Loi. Su intercessione italiana Marocchino viene liberato, espulso dalla Somalia, portato in Italia e fatto rientrare a Mogadiscio a fine gennaio 1994.  Era anche accusato di complicità coi fatti del 2 luglio 1993: l’abitazione di Marocchino sarebbe stata utilizzata come base di tiro e punto di riarmo contro le forze italiane. Nell’evento, noto come combattimento del check point pasta, vengono uccisi 3 soldati italiani e feriti 22; almeno 67 somali vengono uccisi, oltre 100 feriti.

La Procura della Repubblica di Roma, PM dott. Pietro Saviotti, fascicolo N. 15148/93 R apre un’indagine su Giancarlo Marocchino e sulle accuse nei suoi confronti: i procedimenti saranno archiviati con un decreto il 17/7/1995!! Si sa però, dallo stesso fascicolo, che il 22.12.1993 l’ambasciatore Mario Scialoja fa pressioni sul quartier generale di Unosom2 perchè Marocchino sia autorizzato a rientrare in Somalia, comunicando l’avvenuta archiviazione da parte della Magistratura italiana delle accuse a suo carico. Ma è falso. Già il 18.1.1994 per UNOSOM il generale Howe firma la revoca del provvedimento di espulsione. Marocchino è già a Nairobi, rientrerà a Mogadiscio a fine gennaio 1994.

L’uccisione di Vincenzo Li Causi e della crocerossina Cristina Luinetti

Ilaria il 12 novembre 1993 è in Italia quando apprende dell’uccisione in un agguato a Balad di Vincenzo Li Causi, un maresciallo del SISMI che conosce e che doveva rientrare a Trapani un paio di giorni dopo per testimoniare al processo su Gladio, la struttura segreta dell’intelligence militare di cui era responsabile e collegata probabilmente con l’inchiesta sull’uccisione di Mauro Rostagno il 20 settembre 1988. Le circostanze dell’agguato sono incerte, si parla di “fuoco amico”, anche per lui non si eseguirà l’autopsia. Il 9 dicembre 1993 Cristina Luinetti è assassinata in circostanze complesse non del tutto chiarite, fuoco amico? Ilaria la conosceva: la mattina del 14 marzo del 1994, parteciperà a Johar (a nord di Mogdiscio) all’affissione di una targa in sua memoria, subito dopo partirà per Bosaso dove arriverà la sera.

Africa 70, una ONG che lavora a Bosaso direttamente col Ministero degli esteri dall’autunno 1993

Altra vicenda importante e inquietante che vede ancora protagonista l’ambasciatore Mario Scialoja  e non solo è quella riferita al progetto di cooperazione Africa 70 di cui certamente Ilaria era a conoscenza (fu l’ultima sua tappa). Nessuna indagine ha approfondito ruolo e storia di questa ONG, con la considerazione che Bosaso era un posto “insignificante, poco importante”.  Ma Ilaria la pensava diversamente dato che troviamo nei suoi scritti un appunto di luglio ‘93:”350 marines sbarcano a Bosaso nel quadro di un’operazione con la quale l’ONU mira ad estendere il proprio intervento fino al golfo di Aden”. E ancora frasi che indicano da Bosaso come questa città sia un porto importante e il centro economico e finanziario di tutta la regione del nord est della Somalia “Sono la pesca e le tasse portuali i maggiori introiti della città… proprio per questo negli ultimi mesi si è scatenata una specie di pirateria, giustificata all’inizio come lotta della pesca di frodo “: qui si interrompe il testo.

Si sa che Africa 70 è un’associazione che lavora con il Ministero Affari Esteri (MAE) dalla seconda metà degli anni ’80 ma che a Bosaso fu inviata per la prima volta tra agosto/settembre 1993 insieme a Yusuf Ismail detto Bari Bari, rappresentante in Italia del SSDF (Somali Salvation Democratic Front) come contatto del MAE ufficio DGCS: era appena finita la guerra con gli integralisti. Si tratterà di un “progetto di emergenza” finanziato con un miliardo e 300/400 milioni di lire”. Saranno ascoltati diversi cooperanti di Africa 70, a loro dire, per la prima volta dalla commissione d’inchiesta 2004/2006 presieduta dall’avvocato Carlo Taormina.

Ilaria forse non conosceva ancora la storia di questa ONG e nemmeno saprà mai che l’aereo che le faranno perdere il giorno 16 marzo è lo stesso che riporta da Gibuti tutto lo staff di Africa ’70 dopo che fu costretto a lasciare Bosaso da una diffida, una espulsione, il 19 gennaio 1993, delle autorità del luogo con pesanti accuse di appoggiare la pesca clandestina. Una questione che aggrava la situazione a Bosaso, spacca il SSDF sull’accordo con la Federpesca (potremmo dire la Shifco italiana): molto più che di pesca si tratta quindi.

Il sequestro della nave Farax Omar sulla quale forse Ilaria aveva chiesto di andare

Il sultano Bogor Mousse chiede ad Africa 70 di rientrare a Bosaso mentre la Farax Omar (uno dei pescherecci di Mugne) il 3 marzo sarà sequestrata in mezzo a torbide vicende e dichiarazioni confuse e gravi del capitano italiano del peschereccio, Nazareno Fanesi, dell’ambasciatore Mario Scialoia che in quei giorni si recò a Bosaso, alludendo anche a Ilaria Alpi nella sua audizione. Una vicenda di cui si occupa anche il generale Carmine Fiore, come racconterà già nel 1995 alla Commissione bicamerale d’inchiesta a proposito di una nave sequestrata davanti a Bosaso. Non ricorda il nome della nave ne la proprietà (era la Farax Omar della Shifco di Mugne); aveva però progettato di andare a liberare il capitano della Farax Omar di cui non conosceva il nome (si trattava di Nazareno Fanesi, con altri tre uomini)! Un sacco di non ricordo, non so, ma non poteva non sapere. E comunque il suo progetto non si realizzò, disse, ma continuò a non ricordare e a raccontare bugie come hanno fatto in tanti partecipando alla costruzione di una trama che impediva di arrivare a verità e quindi giustizia.

Ci sono davvero volute “menti raffinatissime” come diceva Giorgio ricordando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e il filo rosso di sangue che ha percorso l’Italia a partire da Portella della Ginestra.

Giorgio e Luciana non ci sono più: stanno insieme a Ilaria, forse su “Una Stella di nome Ilaria Alpi”: la stella iA_V1 l’ultima scoperta dal Marsec (Marana space explorer center): si trova nel gruppo delle pleiadi, costellazione del toro. La luce della stella di nome Ilaria illuminerà il cammino della comunità #NoiNonArchiviamo che diventerà sempre più grande e continuerà l’impegno determinato per giustizia e verità.

Tra due mesi saranno trent’anni dalla duplice esecuzione: completeremo un dossier che stiamo costruendo.

 

 


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