“Adagio” – di Stefano Sollima. Un noir urbano in cui la vera protagonista è Roma. Una città in cui non c’è pietà, non c’è salvezza

0 0

La periferia di Roma è in fiamme. La città, semideserta, è popolata da anime perse che sopravvivono a sé stesse, in cui l’unica cosa che conta è il potere rappresentato dal dio denaro, che tutto alimenta e tutto giustifica. Una città che si fa periferia di sé stessa, senza futuro, dai continui e incessanti black out elettrici, dal caldo insopportabile, pronta ad essere divorata dalle fiamme che incombono su di essa; metafora di una vita senza speranza vissuta in attesa che qualcosa di tragico debba accadere da un momento all’altro.

E’ questa la sensazione che si ricava dai primi fotogrammi del film di Stefano Sollima, “Adagio”, con Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Gianmarco Franchini, per citarne soltanto alcuni, nelle sale italiane dal 14 dicembre con Vision Distribution, già presentato in concorso alla 80^ Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.

Un noir urbano in cui la vera protagonista è la città. Una città in cui non c’è pietà, non c’è salvezza. “In Adagio c’è la Roma meno vista, come potresti raccontare Los Angeles. È una città dove la gente si muove. E poi ci sono elementi distopici, ma estremamente realistici. Solo dopo c’è una funzione drammaturgica che mette in scena la storia… Il tema del film va al di là del contesto. È un gangster noir sentimentale e intimo. Sullo sfondo c’è una situazione criminale, ma poi troviamo il rapporto padre figlio. Un momento determinate. Che non passa attraverso il denaro, che comanda il mondo criminale. Ecco l’atto d’amore” ha dichiarato il regista.

Un film che sembra voler chiudere un ciclo, quello inaugurato con “Romanzo criminale – La serie” (2008-2010), e proseguito con “Suburra” (2015), ma questa volta il racconto si fa più lento, quasi sussurrato, adagio, appunto! Lontano dai ritmi incalzanti che hanno contraddistinto i primi lungometraggi su Roma. Con ‘Adagio’ il regista ritorna a raccontare gli antieroi capitolini, ma essi sono oramai alla deriva, vecchi e malandati, vinti, retaggio di un passato oramai remoto, che vivono in luoghi bui e fatiscenti, simili a celle: il “Cammello”, un Pierfrancesco Favino irriconoscibile, “Daytona”, un Toni Servillo che è chiamato a recitare il doppio di sé, personaggio e maschera, “Paul Newman”, un Mastandrea nel ruolo di un convincente non vedente, i quali, in un capovolgimento di ruoli, questa volta si trovano a combattere con i veri cattivi, carabinieri corrotti il cui unico scopo è cercare di sopravvivere in un mondo dove tutto è al servizio del denaro. Molto convincente la performance di Adriano Giannini, un maresciallo della benemerita, padre affettuoso e assassino senza scrupoli. Ma veniamo alla trama.

In una Roma deserta troviamo il giovane Manuel – un ragazzo della periferia come tanti – che, in una notte spettrale, sotto il ricatto di carabinieri corrotti, è costretto ad intrufolarsi in una festa, a base di sesso e droga, per fotografare un famoso politico da incastrare, ma, dopo un po’, sentendosi ingannato, con il terrore di essere scoperto, decide di scappare e di rifugiarsi presso una vecchia conoscenza del padre, un ex criminale che saprà cosa consigliargli: “Paul Newman”. Lui di sicuro lo proteggerà.

Da qui l’avvio di una vera e propria caccia all’uomo, con, da una parte, i cacciatori, i carabinieri corrotti che gli avevano affidato il citato incarico, dall’altra, la preda, Manuel, che sa troppo, ha visto troppo, e non può sopravvivere. E’ dunque l’inizio di un viaggio crudele, in cui ogni speranza sembra perdersi in un caldo soffocante.

E’ così che le forze dell’ordine corrotte e gli ex delinquenti al tramonto si affronteranno, con una sorta di inversione dei ruoli, in uno scontro senza vincitori né vinti in cui gli ex sconfitti, oramai relegati alla cronaca nera di un tempo, sembrano avere un ultimo sussulto di vitalità, questa volta a fin di bene, aprendosi alla speranza di una vita migliore da affidare alle generazioni future.

Al di là del contesto e del genere di appartenenza, considero Adagio la mia versione di un film intimista. Lo sfondo è dato dalla situazione criminale da film gangster e noir, ma al centro ci sono le relazioni umane, il rapporto padre e figlio. All’inizio l’unica cosa che conta sembra essere il denaro, che macina e distrugge qualsiasi tipo di relazione, sia essa familiare o amicale. Invece, a un certo punto, l’avidità lascia il posto a un semplice atto d’amore che non necessita nulla in cambio. In questo senso, dico che Adagio è un film, anche rispetto ad altri che ho fatto, più intimo, più sentimentale” ha dichiarato il regista.

Un noir di grande impatto emotivo e dalla evidente forza narrativa, i cui personaggi, dal forte spessore, sono assolutamente credibili e capaci di coinvolgere lo spettatore.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21