L’altra metà della Resistenza: l’eroismo delle donne

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L’incipit è il titolo dell’Unità del 25 aprile 2001. Richiama le riflessioni delle donne milanesi svolte in un incontro tra generazioni, sulla via della liberazione femminile, tenutosi a Milano nel novembre 1977 da cui nascerà il libro “L’altra metà della Resistenza”: sostengono che l’esercito di liberazione era composto in maggioranza di donne. Riportano le parole di un comandante partigiano come Arrigo Boldrini «… intorno ad ogni patriota ci sono quindici persone, in grande maggioranza donne».i

Durante la prima guerra mondiale molte donne sostituirono gli uomini nei luoghi di lavoro senza però ricavarne il diritto ad essere lavoratrici. Si era trattato di una situazione di necessità ma anche della prima opportunità verso l’emancipazione: escono dalla casa senza rinunciare al tradizionale lavoro di cura per la famiglia e oltre. La dimensione sociale della donna si evidenzia, quella politica ancora no. L’impegno per il suffragio universale e per i diritti delle donne rallenta; inizia una nuova consapevolezza di sé che si scontrerà subito però con il dopoguerra carico di violenza, che ricaccia le donne nel ruolo tradizionale accentuato dal patriarcato fascista che tuttora pervade, in forme diverse, la cultura italiana. La nuova ideologia non prevedeva solo la restaurazione del ruolo tradizionale della donna ma la sua sottomissione alla strategia del potere (fare figli per la guerra, dare l’oro per la Patria). Molte donne ci credettero o subirono ma molte altre no. Iniziarono prima la resistenza. Le rappresentazioni ufficiali collocavano nell’invisibilità tutte le azioni della resistenza civile, delle donne in grandissima parte, e che si sviluppavano sul crinale pubblico/privato: quello che il fascismo aveva cercato di normalizzare e la guerra aveva reso più fluida. Le donne trasformano le case in centri di resistenza e ogni incontro della vita quotidiana in momenti di aiuto, agitazione e propaganda: una militante politica può diventare una parente sfollata, un ricercato un figlio, marito, fratello … le donne si erano già mosse dando vita a una sorta di maternage di massa, contrapposto sul piano materiale e di valori alla terra bruciata perseguita dagli occupanti.

L’esempio di Camilla Ravera è molto significativo: una maestra che fondò “L’Ordine Nuovo” insieme a Gramsci Togliatti e Terracini, il primo maggio 1919. In una conversazione con Rossana Rossanda che le chiede “perché l’abbiamo chiamata resistenza, questa lotta?” Risponderà: “Quando si è cominciato, e precisamente nel 1922, non si chiamava resistenza; si chiamava antifascismo. Era un termine preciso, diretto, contro il fascismo. E nessuno prevedeva una lotta lunga se non forse alcuni …”ii

Camilla Ravera, che ho avuto l’onore di conoscere, è stata la prima donna nominata senatrice a vita nel 1982 (la seconda è Rita Levi Montalcini nel 2001, più recentemente Elena Cattaneo e Liliana Segre: quattro su 38 nomine). Quando, il 26 gennaio 1982, fece il suo primo ingresso a Palazzo Madama, i senatori, riuniti in assemblea plenaria, l’accolsero tutti in piedi. Camilla è una delle numerose donne che iniziarono la loro resistenza già in quegli anni, prima della fine della prima guerra. A Torino nel 1917 è con le operaie protagoniste dell’insurrezione contro la guerra, per il “pane” con lo slogan chi non lavora non mangia ma chi non mangia non lavora. Anche gli uomini aderiranno alla manifestazione; in quell’occasione sarà arrestata per la prima volta.

Alcune donne scelgono l’impegno antifascista prima e nella resistenza poi, indignate per due eventi tragici, prima dell’inizio della seconda guerra mondiale.

Dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, il 10 giugno 1924, Carla Capponi, partigiana medaglia d’oro al valor militare, una delle 19 donne con questo riconoscimentoiii ha solo sei anni quel giorno. A quindici anni trova un opuscoletto che ne racconta la storia, legge il suo discorso d’accusa contro Mussolini pronunciato in Parlamento, della sua conseguente uccisione, rivendicata da Mussolini. Siamo nel 1934 e Carla deciderà il suo impegno “antifascista e resistente”.

Il 17 novembre 1938 l’Italia approva le leggi razziali, precedute, il 5 settembre 1938, dal Regio decreto n. 1390 che esclude dalle scuole di ogni ordine e grado alunni e docenti ebrei. Nello stesso giorno gli ebrei stranieri arrivati in Italia dopo il 1919 vengono espulsi dal Paese.

La politica razzista del fascismo non dipende soltanto dal consolidamento dell’alleanza con la Germania nazista. Si tratta di provvedimenti che non arrivano d’improvviso. Il regime fascista si serve del razzismo per sostenere l’espansione coloniale e costruire alcuni capri espiatori da individuare come nemici. L’idea di fomentare l’odio, contro un nemico della comunità nazionale, fa parte del pensiero fascista, fa leva sul mito della Grande Guerra; gli squadristi esaltano la violenza richiamandosi agli Arditi, che partivano all’assalto delle trincee austro-ungariche, in particolare contro gli slavi.

Per Bianca Guidetti Serra, scatta la scintilla che la porta al suo impegno antifascista, rafforzando i rapporti con un gruppo di amici ebrei come Primo Levi. Scopre altresì che le donne sono soggette a pesanti discriminazioni nell’accesso all’istruzione e alle professioni. Così per Teresa Mattei che nel 1938 ha solo diciassette anni e sarà espulsa da tutte le scuole del regno per aver interrotto un professore che esaltava le leggi razziali.

La condanna e la denigrazione del “diverso” caratterizzano i rapporti tra l’Italia fascista e le colonie africane, quando, ad esempio, tra il 1935 e il 1937, il Regio Esercito italiano aggredisce l’Etiopia. Il regime sostiene di dover portare la civiltà a un popolo arretrato, nascondendo così le reali motivazioni di quella campagna militare, finalizzata alla conquista e allo sfruttamento delle risorse etiopi. La violenza trova il suo culmine con la strage di Addis Abeba, come rappresaglia a un presunto attentato al generale Graziani, il 19 febbraio 1937. Si parla di decine di migliaia di assassinati, in prevalenza civili, donne e bambini, sui quali si scatena una violenza inaudita che proseguirà, fino a maggio, con i gravi fatti di Debrà Libanòs dove Graziani aveva affidato agli ascari islamici lo sterminio di tutti i preti e diaconi del cuore della Chiesa Etiope, come avvenne. Chissà se la Presidente del Consiglio, oltre a postare una foto abbracciata a due bambini etiopi, avrà chiesto scusa per quelle tragedie.

Liliana Segre apre la XIX legislatura in Senato il 13 ottobre 2022: Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre, nel quale cade il centenario della marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a me assumere momentaneamente la Presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica. Il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente, perché è impossibile, per me, non provare una specie di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco della scuola elementare e oggi si trova, per uno strano destino, addirittura sul banco più prestigioso del Senato. ..”.iv

Con l’8 settembre le donne cessano di essere “invisibili” e diventano importanti, insieme a vecchi e bambini: nascondono i sodati che disertano, sfamano chiunque arrivi alla loro porta, forniscono abiti per nascondere le divise militari e altro ancora con rischi alti. Testimonianze di donne di diverse parti d’Italia, specie nel centro nord, raccontano di essersi improvvisate sarte provette insieme ad amiche e/o con le loro madri. Trasformavano ogni sorta di tessuto, tela o panno, in abiti con i quali rivestire soldati ancora in divisa, sbandati, per sottrarli alla morte o all’arresto. Lavoro che continua e cresce con i partigiani che molte sceglieranno di raggiungere nelle diverse brigate, partecipando anche ad azioni “militari”. Un impegno rilevante che compiono per scelta e non per necessità, come avviene per molti uomini all’inizio, ricercati, e poi “ribelli per amore”, anche loro, per scelta.

Le donne sono protagoniste negli scioperi della primavera 1943. Durante le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) donne e anche ragazzi sono l’anima dell’insurrezione popolare che libera la città prima dell’arrivo degli alleati. L’avvenimento valse alla città di Napoli la Medaglia d’Oro al Valor Militare; le vittime e i feriti hanno coinvolto al 50% civili, donne e bambini.

Il 26 settembre 1944 dopo un furioso rastrellamento tedesco nella zona, 31 giovani antifascisti sono impiccati lungo un viale alberato di Bassano del Grappa. Tina Anselmi è una studentessa diciassettenne dell’Istituto magistrale che viene costretta con i suoi compagni di classe ad assistere a questa scena terribile, che suscita in lei una risposta immediata: non si può restare spettatori della violenza dei nazifascisti senza tradire i valori della libertà e della pace. Di fronte alla morte di quei giovani, Tina non si lascia intimidire, non sceglie di rifugiarsi nella paura, ma sceglie i monti e la bicicletta della staffetta, come faranno molte donne e ragazze con un impegno rischioso ma utilissimo. Non a caso il racconto autobiografico di Tina prende le mosse proprio dall’esperienza di staffetta partigiana, che si rivelerà una preziosa fonte di insegnamenti, una vera e propria scuola di vita. Tina sarà la prima donna ministra della Repubblica.

I Gruppi Difesa della Donna (GDD) nascono il 13 o il 15 novembre 1943 dall’incontro di cinque donne. Si sa per certo che erano presenti: Giulietta Fibbi, detta Lina, 23 anni la più giovane (ho potuto apprezzare la sua passione e anche il suo carattere tosto!) e Angelina Merlin, anche lei detta Lina 56 anni, eletta tra le ventuno madri della Repubblica. Ci fu una vivace discussione sul nome da dare a una organizzazione di donne. Difesa faceva pensare alle donne come soggetto debole; si convenne poi che si trattava di difesa dei diritti delle donne e di conquistarne di nuovi. C’era chi non pensava necessaria un’organizzazione “separata”: una discussione ancora in parte aperta e che testimonia l’acuta modernità di quelle donne. Ada Prospero Gobetti è una di queste, sceglierà di chiamarsi Ulisse e proporrà di sostituire ‘Gruppi Difesa della Donna’ con “Volontarie per la Libertà” anche per le donne. Il nome resterà GDD ma Ada opererà con intensità e, nel primo punto del manifesto, si potrà leggere che i gruppi GDD coinvolgeranno le donne, a non pensarsi solo madri, a partecipare attivamente e coscientemente alla resistenza, oltre la guerra per una società libera e democratica, più giusta per tutti. Dalle drammatiche esperienze di questi anni nascerà il Diario partigiano, pubblicato da Einaudi la prima volta nel 1956 e ristampato nel 1972.

Italo Calvino scriverà: “Questo libro di memorie della Resistenza ha un carattere d’eccezione, più che per l’importanza dei fatti che racconta, per la persona che l’ha scritto e il modo in cui la guerra partigiana viene vista e vissuta. È il libro di una donna la cui vita era già segnata dalla lotta antifascista: Ada Prospero, la vedova di Piero Gobetti, il giovane martire del primo antifascismo italiano, animata da una passione di libertà, da un bisogno di azione, da un coraggio eccezionali. Una madre che va a fare la guerra partigiana insieme a suo figlio di diciotto anni, e con lui divide pericoli e disagi”.

Alla Liberazione Ada Gobetti, medaglia d’argento della resistenza, viene nominata vicesindaco di Torino.

Nilde Iotti dopo l’8 settembre 1943 si era rifugiata con la madre a Cavriago, un piccolo paese della cintura reggiana, e qui aveva aderito al movimento antifascista clandestino dei Gruppi di difesa della donna. Da quella scelta di campo maturerà progressivamente una vera e propria formazione “nuova”: culturale, spirituale, politica e psicologica. Sarà tra le 21 donne elette nella Costituente e la prima donna Presidente della Camera dei Deputati. E sarà Nilde Iotti, d’intesa con il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, a chiamare Tina Anselmi a presiedere la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2.

Ci sono molte donne che, dopo l’8 settembre, aderiscono ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica) e alle diverse brigate di partigiani, come Carla Capponi che diventa “Elena”, per Roma. E non sarà la sola. Un altro esempio è Irma Bandiera che sceglie di entrare nella Resistenza dopo l’uccisione del suo fidanzato. Lo fa col nome di Mimma, a Bologna e nella bassa bolognese. Catturata in combattimento dalle SS tedesche, sottoposta a feroci torture non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata, fu barbaramente violentata e trucidata sulla pubblica via. È insignita della medaglia d’oro al valor militare.

Di queste storie di donne e, più in generale, della Resistenza si incomincia a saperne di più a partire dagli anni ’60. C’è l’eccezione di Renata Viganò che nel 1949 pubblica L’Agnese va a morire. Il primo romanzo della resistenza femminile in cui Agnese è donna “tradizionale” ma che scopre di essere “brava” e di aver imparato molto da questa esperienza. Si sa infatti che si studia, anche: incredibile davvero, si combatte, si soffre ma si studia. Le donne sapranno chi sono Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Anna Kuliscioff, riflettono di emancipazione femminile e anche della rivoluzione russa.

Luigi Meneghello pubblica I piccoli maestri nel 1964 e di queste donne straordinarie scrive: “…alla stazione di Vicenza fummo afferrati e passati praticamente di mano finché fummo al sicuro. Le donne pareva che volessero coprirci con le sottane …”.

Molti anni dopo, nel 1985, esce L’anello forte di Nuto Revelli che, fin dal titolo, rovescia il luogo comune del “sesso debole” raccontando le donne di straordinaria forza, tenacia e resistenza, vere e proprie “madri coraggio”.

Solo negli ultimi decenni anche le protagoniste della resistenza raccontano le loro storie. Perché dopo tanto tempo? Una prima ragione riguarda le partigiane arrestate e torturate; a loro erano riservate violenze sessuali atroci, di ogni tipo, delle quali solo molti anni dopo (e ancora non del tutto) si verrà a conoscenza.v Anche Teresa Mattei, la più giovane deputata eletta nella Costituente, non ha parlato fino a una intervista a Gianni Minà nel 1997/1998 (di cui lui stesso mi raccontò, sorpreso di quanto Teresa gli aveva rivelato solo dopo tanti anni). La violenza è compiuta da nazisti che l’arrestano e la rinchiudono per ore con sevizie di ogni tipo. Teresa capisce che la uccideranno e, non sa dire come, riuscì a fuggire “saltando giù da un muro di tre metri”. Arriva a un convento dove una suora, amica della sua mamma, la cura e la salva.vi Sappiamo che in quegli anni le molestie sessuali, le violenze anche incestuose sono diffuse soprattutto nelle popolazioni più povere. E dunque incrociare tremende violenze in guerra è doloroso, anche per questo non parlano. Tanto sanno che i colpevoli non saranno puniti. C’è il Codice Rocco dal 1930! Ne sappiamo qualche cosa anche ora che la parte che riguarda le violenze è stata modificata solo nel febbraio 1997: fino ad allora lo stupro non era un reato contro la persona.

C’è, nella scelta di ognuna, un terreno comune; la consapevolezza di due sfide: al fascismo e a una struttura patriarcale preesistente. Sanno che libertà e responsabilità sono i due valori forti che hanno segnato una svolta nella propria vita, l’inizio di un processo non solo di emancipazione ma di liberazione. Che le donne lottano non più solo per i propri figli (sebben che siamo donne …) ma per se stesse. L’inverno del 1944, però, col proclama del generale Alexander che chiede ai “patrioti” di cessare la loro attività e di rimanere pronti alla nuova fase al suo comando, mette a dura prova i partigiani e le partigiane. Fame freddo è difficile sopravvivere: anche qui le donne sono la risorsa che fa la differenza con il loro slancio d’amore e di cura, oltre che organizzativo. I successi dell’estate 1944 portano alla conquista di piccole repubbliche come quella dell’Ossola che avrà in Gisella Floreanini una ministra. In nessuna di queste realtà le donne potranno esercitare il diritto di voto nelle elezioni di autogoverno. Un allarme che le donne faranno presente al Comitato di Liberazione Nazionale. I GDD avevano aderito all’UDI, nata il primo ottobre 1945 e che portò avanti la battaglia per il diritto al voto delle donne che davvero votarono la prima volta in alcuni comuni per le elezioni dei consigli comunali e poi al referendum costituzionale del 2 giugno.

E poi, dopo la liberazione, la Repubblica e la nuova Costituzione quella specie di alchimia che si era percepita di cambiamenti della società e della vita rischiava di offuscarsi, bisognava ancora lottare. Le donne ancora di più, per non essere ricacciate nei ruoli tradizionali. La resistenza delle donne non ha ucciso “l’angelo del focolare” che Virginia Woolf, nel saggio pubblicato postumo nel 1942, Professione per le donne, aveva identificato come il fantasma più pericoloso.

Ma senza di loro, senza quelle donne non saremmo giunte fino a qui. Dobbiamo portarle con noi sempre perché non smettano di illuminare la nostra vita, il nostro futuro come avviene in quello strano fenomeno astrofisico della luce delle stelle morte.vii In conclusione le parole di Liliana Segre, senatrice a vita, alla quale siamo grate e a cui vogliamo bene:

“… Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese e devono garantire tutte le parti. … Le grandi Nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date divisive, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 aprile, festa della liberazione, il 1° maggio, festa del lavoro, il 2 giugno, festa della Repubblica? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi. …”

i Da “LE ALTRE” di Rossana Rossanda – saggi Bompiani 1979

ii Si riferisce a un viaggio a Mosca con Bordiga che aveva incontrato Lenin, il quale interruppe Bordiga (che sosteneva che il fascismo sarebbe durato poco) dicendogli: Non fatevi illusioni, il fascismo è il potere della destra più ferma … della borghesia e del capitalismo. Da Le Altre di Rossana Rossanda (Milano, Bompiani, 1979).

iii Sono 19 le donne italiane decorate con la Medaglia d’oro al valore militare (1943-1945) tra cui 15 alla memoria:
Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Livia Bianchi, Gabriella degli Esposti in Reverberi, Cecilia Deganutti, Anna Maria Enriquez Agnoletti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Norma Pratelli Parenti, Rita Rosani, Modesta Rossi Palletti, Virginia Tonelli, Iris Versari.
Le donne decorate in vita: Gina Borellini (1924-2007), Carla Capponi (1918-2000), Paola Del Din (1923 – vivente), Vera Vassalle (1920-1985). La partigiana Paola Del Din ha compiuto 99 anni l’anno scorso. È stata la prima donna italiana a paracadutarsi in tempo di guerra quando gli Alleati le hanno affidato la conclusione della missione speciale Bigelow. È stata insignita del grado di Grande ufficiale della Repubblica italiana.

iv Di Liliana Segre riportiamo un altro passo alla fine

v Sono quasi 5.000 le partigiane arrestate e torturate (ogni luogo aveva la sua stanza dell’incubo); 2750 sono deportate in Germania, 2812 fucilate o impiccate,1070 cadute in combattimento.

vi Dal libro La resistenza delle donne, di Benedetta Tobagi (Torino, Einaudi, 2022).

vii La luce delle stelle morte, di Massimo Recalcati (Milano, Feltrinelli, 2022).


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