Intervista a Paola Vita Finzi a proposito di Donne ebree protagoniste tra il XIX e il XX secolo

0 0

Donne ebree protagoniste tra il XIX e il XX secolo è il titolo di un volume a più voci che raccoglie gli interventi di un seminario tenutosi a Milano nel 20221. I 12 saggi che lo compongono sono dedicati ad alcune straordinarie figure femminili del mondo ebraico italiano e tracciano una sorta di biografia collettiva, imperniata sui temi dell’istruzione, della solidarietà e dell’emancipazione. La comune connotazione ebraica delle donne, di cui si scrive, appare subito come un dato significativo perché sottolinea la loro condivisa esperienza di una secolare condizione di emarginazione e persecuzione. Oltretutto doppia, come ebree oltre che come donne. Ognuna di loro, forte anche di questa sensibilità, si proiettò con passione e pragmatismo verso iniziative volte a riscattare le donne dalla loro condizione di subalternità culturale, economica e sociale, approfittando del nuovo status di eguaglianza giuridica che, unificandosi, il Regno d’Italia aveva garantito agli ebrei. Il nuovo orizzonte di impegno allora apertosi consentì una fioritura prodigiosa di idee e progetti, di creatività culturale e politica che questo libro ripercorre ispirandosi metodologicamente anche ai gender studies. Non si tratta di storie tutte a lieto fine, tutt’altro! In alcuni dei profili qui ripercorsi irrompono la brutale cesura delle leggi razziali volute nel 1938 dal regime e poi la persecuzione nazifascista degli anni della seconda guerra mondiale. Fuga, esilio, deportazione e morte si affacciano in queste pagine ricche di chiaroscuri, che solo in qualche caso raccontano della ripresa di attività nell’Italia repubblicana e democratica.

Ne ho discusso in una conversazione con Paola Vita Finzi, una delle due curatrici dell’opera.

D. Cominciamo dall’attributo che compare nel titolo: donne protagoniste. Nell’etimologia della parola, in greco composta da primo e da combattente, troviamo già un riferimento semantico inusuale per soggetti femminili. Se poi guardiamo ai significati più comuni – nell’azione teatrale il personaggio principale – e a quello estensivo – chi ha un ruolo di primo piano nelle vicende della vita reale – ci imbattiamo ancora in connotazioni storicamente poco attinenti alle figure femminili, che furono assai raramente protagoniste, se si eccettuano le classiche eccezioni delle regine, delle sante o delle streghe. Dunque, in che senso queste donne sono protagoniste?

R. Grazie di questa puntualizzazione sulla dicitura “donne protagoniste”. Le donne che abbiamo voluto ricordare anche per farle riemergere dal passato sono dei personaggi che sulla base delle loro idee anticonformiste, antifasciste e di impegno sociale si sono battute al fine di diffondere la cultura tramite la lettura, di trovare il modo di formare le giovani ragazze addestrandole al lavoro in diversi settori. Hanno lavorato con impegno senza mai mettersi in mostra. Spesso queste donne a causa delle leggi razziste hanno dovuto lasciare il lavoro, nascondersi, emigrare. Sono certamente protagoniste combattenti. Purtroppo anche altre avremmo dovuto ricordare ma questo è perlomeno un inizio.

D. Come è nata l’idea di questo libro?

R. Quando Marco Fiorentino ha pubblicato il libro su sua nonna si è pensato di farne una presentazione, ma si è ritenuto che sarebbe stato importante ricordare anche le altre

donne che, a fine Ottocento e inizio Novecento, si erano attivate a favore dell’educazione e dell’emancipazione delle giovani. Così, il 3 novembre 2022 a Palazzo Morando a Milano si è tenuto un convegno dal titolo “Emancipazione e Istruzione, donne ebree a cavallo tra XIX e XX secolo” in cui hanno parlato studiose che si sono occupate dei problemi femminili in quell’epoca e delle vite di queste donne che per altruismo, anticonformismo e una visione socialista hanno creato delle metodologie per supportare le giovani donne, diffondere la cultura.

Le relazioni erano tutte così interessanti e portavano alla luce persone spesso dimenticate che si è ritenuto di raccoglierle in un libro che può essere di supporto ai

Centri sugli Studi di Genere.

Molte università si sono dotate di questi Centri che spesso raccolgono dati sul numero

delle studentesse che si iscrivono alle diverse lauree, sulla carriera delle donne nei

diversi settori universitari, tecnici amministrativi ecc. Si riesce così a valutare come le ragazze siano ottime studentesse ma che, una volta laureate, hanno difficoltà per inserirsi nel mondo del lavoro, che le donne che intraprendono la carriera universitaria sono più numerose nei livelli bassi che in quelli alti. Insomma, dall’inizio del Novecento il mondo è molto cambiato ma le donne continuano a fare molta fatica per far riconoscere il loro valore.

D. L’arco cronologico prescelto su cui si allineano le biografie di una dozzina di pedagogiste, filantrope, emancipazioniste, scrittrici e personalità politiche si stende dalla metà dell’800 alla metà del secolo successivo. Ossia, se ho bene inteso tra due eventi-chiave: la svolta dell’emancipazione ebraica, sancita tra il 1861e il 1870 nel Regno d’Italia, e il primo voto delle italiane nel 1946. Due emancipazioni che scandiscono, la prima, la pienezza dei diritti degli ebrei italiani e la seconda, l’avvento della popolazione femminile italiana nel perimetro della vita politica. Il concetto di emancipazione mi pare percorra trasversalmente tutto il libro.

R. Hai ragione su quello che dici dei due eventi di partenza: la svolta dell’emancipazione ebraica sancita nel 1861 dal Regno d’Italia e completato nel 1870 dalla conquista di Roma capitale con la fine della segregazione ancora praticata nello Stato della Chiesa, ma poi in pratica ci fermiamo alle leggi razziste. Alcune di loro sono sopravvissute e hanno avuto la soddisfazione di poter votare e di vivere dopo la fine della guerra in una Italia democratica.

D. Un cono d’ombra. Alcune delle donne biografate nel libro – penso alla ferrarese Rina Melli che pubblica “Eva” dal 1901 al 1903, promuovendo il riscatto femminile attraverso l’istruzione e l’organizzazione, o ad Aurelia Josz, che inventa nel 1902 la Scuola femminile d’agraria di Niguarda, tuttora attiva, e viene deportata e uccisa ad Auschwitz nel 1944, o, ancora al percorso di Olga Lombroso, dall’ insegnamento nelle cattedre ambulanti d’agricoltura alla scuola Trotter di Milano, esempio unico di scuola all’aperto, infine alla scuola Zaccaria Treves, prima di rifugiarsi in Svizzera per sfuggire alla persecuzione nazifascista – ecco tutte queste figure sono oggetto di una sorta di invisibilità presso il grande pubblico, anzi la loro opera sembra due volte misconosciuta, come donne e come ebree. Perché i loro nomi sono quasi ignoti?

Aurelia Josz (1869-1944)

R. Un esempio classico è Aurelia Josz che ha fondato Scuola pratica agricola femminile una iniziativa innovativa che si basava sull’idea che le ragazze dovessero studiare ma anche avere la possibilità che i loro studi fornissero la possibilità di avere un lavoro. Una iniziativa apprezzata anche da Mussolini che la invitò ad aprirne una nel Lazio prima di destituirla. La Scuola è sopravvissuta ad Aurelia Josz e si è trasferita nel Parco di Monza, seppure cambiando metodologie. Dalla fine della guerra si è cercato di poterla intestarla ad Aurelia. Non è stato possibile per la contrarietà di persone e di politici. L’anno scorso la Scuola le è stata “dedicata”: non mi è chiaro cosa significhi. Però poco tempo fa il Comune di Monza all’unanimità ha deciso di intestare ad Aurelia Josz la stradina che porta alla Scuola. A Milano nel 2015 è stato inaugurato il “Museo botanico” nella zona di Niguarda dove si era stabilita la Scuola. ed è stato intitolato ad Aurelia Josz, che finalmente è stata ricordata per una iniziativa, che doveva essere molto utile se dura ancora oggi. Olga Lombroso Fiorentino e la sua grande attività nel sociale e nell’istruzione è tornata alla luce solo perché suo nipote Marco Fiorentino ha pubblicato recentemente un libro con la sua biografia affinché venisse ricordata. Altre donne che insegnavano alle giovani nel settore del tessile sono riemerse per gli studi effettuati da Luisa Levi sulle donne ebree. Fra l’altro dagli studi sulle diverse vicende si è anche capito che queste persone si conoscevano pur lavorando in settori diversi. Di Rina Melli avevo sentito parlare causalmente a Pavia da sua nipote Margherita Balconi, che ha seguito lo studio di Susanna Garuti con grande interesse.

D. Un comune denominatore tra le figure qui ricordate è l’impegno educativo: l’istruzione, la lettura, la preparazione professionale sono da loro intese come leve per un riscatto dall’emarginazione e dalla subalternità economica, sociale, di genere. Credo che tale consapevolezza derivi dall’importanza che nell’ebraismo si attribuisce allo studio e che rende la popolazione ebraica da sempre più alfabetizzata di quella italiana. Nel 1861 l’analfabetismo era censito per il 64,5 % degli italiani e solo per il 5,8 per la componente ebraica. Sei d’accordo? Quali sono i nessi cruciali tra mondo ebraico e istruzione, a tuo parere?

R. Hai ragione: nell’ebraismo lo studio e la cultura sono sempre stati basilari. Anche quando per le ragazze non c’erano molte possibilità di andare a scuola tutte imparavano a leggere e scrivere. Quando poi si poté andare a studiare molte donne si iscrissero all’università e talvolta furono le prime donne a laurearsi in alcuni settori.

D. Paola Lombroso, figlia ribelle di Cesare e creatrice del “Corriere dei piccoli”, Anna Kuliscioff, «il migliore cervello politico del socialismo italiano» e Amelia Rosselli, scrittrice e madre di Carlo, sono invece piuttosto note. Sono tutte e tre intellettuali di valore, ma gli studi a loro dedicati sono stati innescati anche dalle vicende familiari che hanno vissuto. L’eccezione conferma dunque la regola?

Anna Kuliscioff – Anja Rozenstein (1854?-1925)

R. Anna Kuliscioff e Amelia Rosselli sono forse i nomi più noti ma solamente per i loro rapporti personali. Anna Kuliscioff per essere stata compagna di Filippo Turati, ma dimenticando tutta la sua attività sociale di medico, quanto sia stata attiva per far passare in parlamento una legge per la tutela del lavoro delle donne e il suo apporto al socialismo, e quanto pubblicava sulla “Critica sociale”. Amelia Rosselli è più ricordata per le sue tragedie personali, come l’assassinio nel 1937 dei figli Carlo e Nello per mano dei sicari del fascismo. Eppure fu scrittrice, persona colta che fu attiva nel sociale fino a che, a causa delle leggi razziali del 1938, non dovette lasciare l’Italia con la nuora e i nipoti.

D. Lo sfondo su cui si disegnano le vite delle donne ebree ripercorse nel libro è quello di un’Italia ricca di iniziative filantropiche, di slanci modernizzanti, di battaglie per il progresso sociale e civile. Quali specificità a tuo avviso connotano queste donne in quanto ebree o, in altre parole, quanto ha inciso la plurisecolare storia delle persecuzioni antiebraiche nel motivarle all’impegno sociale, culturale, filantropico?

R. Quando le famiglie ebraiche ebbero, in un certo senso, la libertà di confluire nella popolazione italiana notarono seppure in regioni e situazioni diverse i problemi che avevano in particolare le donne e cercarono di “inventarsi” dei modi per dare un aiuto. In questo ambiente le donne ebree si adoprarono in particolare per migliorare l’istruzione e le condizioni di lavoro delle donne.

D. L’estrazione sociale delle “protagoniste” del libro è molto varia e alimenta modalità d’impegno diverso. In particolare, colpisce tra le donne facoltose la capacità di progettare originali esperienze organizzative e imprenditoriali investendovi impegno e cospicui capitali, come nel caso dell’empowerment femminile nel settore tessileo nella creazione delle Biblioteche scolastiche di Clara Archivolti Cavalieri. Lo stesso slancio di Moisè Loria nel realizzare la Società Umanitaria di Milano?

R. La maggior parte delle donne riportate nel libro appartenevano a famiglie ebraiche benestanti o della borghesia, ma tutte erano certamente anticonformiste. Sono vissute in un periodo in cui si era risvegliato l’impegno per il miglioramento della società. Va anche ricordato che in quel periodo a Milano Ersilia Majno Bronzini con Alessandrina Ravizza avevano fondato prima l’Unione femminile e poi aperto l’Asilo Mariuccia per aiutare le ragazze in difficoltà. Fu istituita l’Opera Maternità e Infanzia finanziata da Ugo Pisa e poi diretta da sua figlia Fanny Norsa Pisa. E ancor prima Mosè Prospero Loria concepì e fondò la Società Umanitaria, che esiste tuttora, per fornire alle classi povere gli strumenti per il loro miglioramento materiale e morale. A Roma dal 1907 al 1913 fu sindaco Ernesto Nathan che riorganizzò la città. Sua moglie Virgilia Mieli Nathan fu la prima ad indirizzare le giovani al lavoro sul ricamo e sul tessile. Purtroppo queste iniziative da parte di persone benestanti non esistono più e dei problemi sociali si occupano delle istituzioni spesso governative che non hanno il giusto sentimento.

D. Nel tuo intervento a conclusione del libro ti soffermi sul contributo femminile ebraico durante la Prima guerra mondiale e su alcune istituzioni come l’Associazione Donne Ebree d’Italia (ADEI). Pensi che siano piste meritevoli di essere percorse e approfondite?

R. Abbastanza recentemente l’Associazione medica ebraica (AME) ha fatto uno studio sui medici e infermieri ebrei che hanno lavorato nella sanità durante la Prima guerra mondiale. Nel libro ho ritenuto di riportare anche i nomi di questi personaggi. Secondo me è interessante sapere che mentre molti ebrei si arruolarono come volontari, soprattutto molti giovani, (compreso mio Papà), le donne lavorarono sia al fronte che negli ospedali: le laureate come medici e molte altre come infermiere (compresa mia mamma a Torino). Per fortuna, dico io, le leggi razziste hanno impedito che gli ebrei dovessero essere arruolati nella Seconda guerra mondiale. Quindi la Prima guerra mondiale è un caso a sé. Per quanto riguarda l’Associazione Donne Ebree d’Italia (ADEI) è una istituzione nata in Italia nel 1927 e rinata nel 1945 dopo le persecuzioni nazifasciste. Dunque una presenza di lunga data nel mondo associazionistico femminile italiano e nella storia della nostra Repubblica.

La scelta dell’interlocutrice di questa intervista non è affatto casuale, perché Paola Vita Finzi è per suo conto una “donna protagonista” dell’Italia d’oggi. Commendatore della Repubblica italiana, emerita dell’Università di Pavia, ove dal 1980 ha insegnato Chimica organica, Paola Vita Finzi è stata a lungo pro-rettore dell’ateneo, e dunque, in tempi nei quali tali esperienze erano ancora piuttosto rare, è stata impegnata nella vita accademica con ruoli di grande responsabilità scientifica e non solo. Anche Paola Vita Finzi da bambina ha conosciuto la persecuzione antiebraica: a Milano e Venezia ha frequentato le scuole ebraiche create nel 1938 per far fronte all’espulsione di tutti i bambini di famiglia ebraica dalle scuole del Regno. Dopo l’8 settembre del 1943 con la sua famiglia si è rifugiata in Svizzera, Paola fu separata dai genitori e, insieme alla sorella, accolta in un campo per bimbi profughi: ne è tornata a guerra finita con un bagaglio non lieve di ricordi tristi, ma anche di slancio fervido verso una nuova vita in un’Italia anch’essa rinata alla libertà e alla democrazia.

Attualmente si occupa del “Nuovo Convegno”, un attivissimo circolo ebraico di cultura a Milano e dell’Associazione italiana degli amici dell’Università di Gerusalemme. La ringrazio per la disponibilità a questa intervista, progettata nei mesi scorsi e realizzatasi solo ora, in un momento che vede esplodere drammaticamente la conflittualità latente tra Israele e Palestina. Concludo quindi con un indispensabile riferimento all’attualità,

In questa congiuntura tragica che dal 7 ottobre scorso vede vite e luoghi distrutti in Israele e in Palestina, da questa nostra situazione di osservatori impotenti eppure coinvolti, vorrei esprimere l’auspicio che questa spirale di violenza cessi, le vite dei civili, tutti, siano protette e torni la diplomazia a suggerire soluzioni di pace. E a Paola Vita Finzi, come a tutti coloro, inclusa la comunità di art.21, che hanno a cuore quella tormentata parte del mondo, auguro di poter tornare a sperare in un futuro di pacifica convivenza, di cittadinanza condivisa nel rispetto delle diversità, sale del mondo.

1 Donne ebree protagoniste tra il XIX e il XX secolo, a cura di Elisa Bianchi e Paola Vita Finzi, Milano 2023, Guerini e associati ed. , pp.186 con saggi di Monica Miniati, Gabriella Seveso, Marco Fiorentino, Luisa Levi D’Ancona Modena, Sara Ferrari, Mirella D’Ascenzo, Sabrina Fava, Marina Cattaneo, Marina Calloni, Margalit Shilo, Paola Vita Finzi.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21