Perché Genova non sia mai dimenticata. Intervista con Fréderic Paulin

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Fréderic Paulin aveva ventotto anni nell’estate del 2001. Era a Genova e ha visto con i suoi occhi la devastazione e la sconfitta di un movimento che avrebbe voluto cambiare il mondo e, per questo, è stato combattuto con una violenza che tuttora lascia sgomenti. Da allora, “La notte è piombata sulle nostre anime” (“La nuit tombée sur nos âmes”), come recita il titolo del suo libro. Una notte senza fine, in cui è venuta meno la politica e la passione civile, in cui si è sempre più soli e non ci si crede più. L’Italia, la Francia, l’Europa nel suo insieme: l’estrema destra avanza, irrefrenabile, e la sinistra rimane in silenzio, assente, mentre una nuova generazione di attiviste e attivisti si mobilita e lotta per rivendicare un avvenire migliore, quell’altro mondo possibile e necessario di cui abbiamo bisogno come l’aria.
Quest’intervista per non dimenticare e per immaginare, nonostante tutto, un futuro diverso.
È uscito il libro “La nuit tombée sur nos âmes”. Perché hai avvertito il bisogno di scriverlo? Di che opera si tratta? 
Nel luglio 2001 ero a Genova tra gli oppositori del G8 che si svolgeva in zona rossa. All’epoca, stavo facendo un dottorato sui movimenti della sinistra extraparlamentare, ma ero soprattutto molto preoccupato per la piega che stava prendendo il mondo, per quella che allora si chiamava “globalizzazione”. Sono stato vicino a circoli di estrema sinistra, ho avuto amici tra i trotskisti della LCR, tra gli ecologisti e nelle file autonome, quello che verrà chiamato Black Bloc. Quello che ho visto a Genova, in quei cinque giorni di controvertice, l’ho conservato in me per vent’anni. Certo, mi è capitato di parlarne, di raccontarlo al mondo, a tutte queste persone che come me ci credevano, ma anche la violenza degli agenti, il cinismo del governo italiano. Questo romanzo mi ha permesso, forse, di fare qualcosa con questa esperienza: il romanzo in generale può riuscire a impedire che eventi e individui vengano definitivamente dimenticati.
Ai tempi dei fatti di Genova avevi ventotto anni. Cosa ha rappresentato quel G8 per la tua generazione? 
Ora posso dire che Genova ha segnato la fine della mia giovinezza. Ho lasciato qualcosa lì. Non so esattamente cosa, forse una certa innocenza, l’idea che noi possiamo influenzare il corso delle cose, che la moltitudine possa piegare otto governi. Non ci credo più. Nemmeno io so cosa significhi Genova per la mia generazione. Oserei sperare che in Italia sia diverso, ma in Francia chi si ricorda davvero cosa accadde quell’estate a Genova? Chi si ricorda di Carlo Giuliani? Chi si ricorda la scuola Diaz? Chi si ricorda il carcere di Bolzaneto? Quando è uscito il mio romanzo, ho incontrato molte persone nelle librerie o nelle biblioteche: la maggior parte dei lettori non ricordava, o solo vagamente, il controvertice di Genova. Non sono sicuro che Genova 2001 sia un momento fondante per gli attivisti di sinistra e di estrema sinistra. Temo che anche loro l’abbiano dimenticato.
Come è cambiato il tuo approccio alla politica e alla vita dopo quella vicenda? In cosa ti senti diverso rispetto ad allora? 
Al ritorno da Genova ho cominciato ad avere attacchi di panico. Non sono stato ferito o imprigionato, ma quello che ho visto, i poliziotti senza ritegno, il governo italiano che trattava i manifestanti come criminali, e forse anche la disorganizzazione del movimento anti-globalizzazione, mi ha profondamente colpito. Oggi posso dirlo perché all’epoca non facevo collegamenti diretti. Oggi so che questa violenza di Stato ha fatto emergere in me la violenza familiare. Mi ci sono voluti quindici anni di psicoanalisi per abbozzare questa certezza. E ci è voluta l’uscita de “La nuit tombe sur nos âmes” per accettarlo. Genova mi ha cambiato profondamente. Non ricordo chi ha detto (un romanziere italiano, credo) che tutti quelli che andarono a Genova quell’estate tornarono trasformati. Da allora diffido dei politici “professionisti”, quelli che fanno carriera, ancor più quelli che con la politica si guadagnano profumatamente da vivere. Diffido della loro promessa. Prima di Genova non ci credevo ma da Genova mi fanno arrabbiare. Vent’anni di rabbia sono tanti…
Fra le prime donne arrestate e portate a Bolzaneto c’era la francese Valérie Vie. Nei giorni successivi ci furono manifestazioni molto dure a Parigi. Cosa ha rappresentato Genova per la Francia? Quanto la deriva liberale di Jospin ha influito sulla clamorosa sconfitta dei socialisti alle presidenziali del 2002, quando per la prima volta Jean-Marie Le Pen arrivò al secondo turno?

Ricordo le manifestazioni per la liberazione di Valérie ma non hanno lasciato traccia.
Infatti, pochi mesi dopo Genova, era l’11 settembre 2001 e non si trattava più di interrogare Genova e la polizia italiana, Berlusconi e i suoi esecutori. Lì stavamo andando incontro a qualcosa di serio: il mondo libero era sotto attacco, la democrazia era in pericolo, era una guerra di civiltà, tutte quelle stronzate in cui viviamo ancora. L’ultra-securitarismo e l’estrema deriva a destra delle società, tutto viene da lì, dall’11 settembre. Allora, Genova e la sua violenza chi se la ricorda?

Mélenchon ha usato lo slogan “Un altro mondo è possibile”, lo stesso del movimento alterglobal. Qual è il suo valore vent’anni dopo? Qual è il mondo possibile oggi? 

Certo che un altro mondo è possibile, ci credo ancora. Ma non ho più l’età per fare ciò che andrebbe fatto. E poi, ho dei figli, non posso dimenticarmene. Credo, tuttavia, che solo un nuovo equilibrio di potere possa cambiare le cose. Non parlo di attentati o spargimenti di sangue, ma bloccare un Paese con gli scioperi, tenere le piazze come hanno fatto le Tute Bianche e come fanno a volte i Black Bloc, usando la disobbedienza civile e il boicottaggio, sono strumenti che, maneggiati dal maggior numero possibile di persone, possono pagare.

Per l’Italia, Genova ha segnato una svolta. I partiti e, in particolare, la sinistra sono scomparsi. Come ci vedete oltralpe?

Sono interessato alla politica internazionale. Quando una persona alla guida di un partito post-fascista viene eletta presidente del Consiglio in Italia, cerco di capire, di informarmi. So che non tutti gli italiani sono fascisti, che voi resistete anche se la sinistra parlamentare è scomparsa. Ma temo che con Giorgia Meloni, d’ora in avanti, l’Italia sarà percepita come un paese fascista. Ripeto: non ci credo. E crederlo significherebbe dimenticare un po’ in fretta che in Francia ottantotto deputati provengono da una formazione chiamata Fronte nazionale, fondata da ex Waffen-SS e revisionisti. Sarebbe anche dimenticare che le azioni dei nostri ministri e dei nostri agenti di Polizia non hanno nulla da invidiare alle vostre. E poi la Meloni è solo la versione italiana di quello che sta accadendo in tutta Europa e nel mondo: l’estrema destra vive di miseria economica e paura del futuro. E dell’assenza di proposte di una sinistra morente.

La reazione della Polizia italiana, a Genova e non solo, è stata sproporzionata, violentissima. Potrebbe accadere in Francia? Potrebbe rimanere in servizio, nel tuo paese, un agente che inneggia a Pinochet?

È successo in Francia vent’anni dopo: quando i gilet gialli hanno bloccato il Paese, il governo non ha preso i guanti. Ci sono stati morti e molti accecati e amputati nelle file dei manifestanti. Qui, come a Genova, l’opposizione politica, peraltro non rappresentata in Parlamento e non guidata da partiti o sindacati, è stata criminalizzata.

Quanto all’inneggiare a Pinochet, non so se sia già avvenuto in Francia. Non molto tempo fa, tuttavia, il presidente Macron ha affermato che il maresciallo Pétain è stato un grande soldato durante la Prima guerra mondiale. È un modo per rendere omaggio al nostro Pinochet nazionale, no?

E poi, ci sono molti rappresentanti politici francesi che ritengono che la colonizzazione sia stata una buona cosa per l’Africa e che l’educazione nazionale abbia torto a parlare di questo periodo come di un orrore. La Francia non ha nulla da invidiare all’Italia…

Molte speranze si sono perse, molti sogni sono stati traditi. Tu cosa ti auguri per il futuro? Prevale in te l’ottimismo o il pessimismo? 

Sono pessimista, non lo nego. Sto invecchiando e nel 2002, quando milioni di persone scesero in piazza quando Le Pen corse al secondo turno delle elezioni Presidenziali, non credevo che saremmo arrivati ​​dove siamo oggi. Genova è stata per me un’esperienza terribile ma quello che è successo nei vent’anni successivi non mi permette di essere ottimista. Mi sembra di scrivere dalla parte dei perdenti, di una sinistra che non riesce a unirsi contro una destra sempre più conservatrice.

Susan George disse che quello di Seattle e di Genova era il primo movimento che non chiedeva nulla per sé ma solo la salvezza per l’umanità e per il pianeta. Cosa ne pensi? Come valuti i ragazzi e le ragazze di Greta Thunberg?

Questo è ciò che ci manca: non chiedere nulla per noi stessi, ma solo la salvezza dell’umanità. Questa è in realtà la vera differenza tra il liberalismo e la (vera) sinistra. Spero che i miei figli rifiutino questo ordine costruito sul denaro e sull’egoismo. Andiamo ragazzi, fate un casino!


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