Salento. L’orgoglio e la dignità dei migranti che si sono ribellati alla violenza dei trafficanti di vite

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Ribellione, riscatto, dignità. Cambiare il corso di una storia che pare sempre già scritta, cambiarne la narrazione secondo una nuova prospettiva. C’è tutto questo, e molto di più, dietro quello che è accaduto a bordo del veliero nuovo di pacca, che ha scritto sulle acque del Mediterraneo la traiettoria dell’ultimo sbarco di migranti verso le coste del Salento. A Gallipoli (Le).

C’è che quei disperati hanno aiutato il pool anti immigrazione a individuare gli scafisti. C’è che si sono difesi da angherie e violenze che no, non sono compresi nei 6-7mila euro a cranio pagati alle organizzazioni criminali per ottenere un lasciapassare verso un futuro meno peggio. E si sono fatti giustizia, attraverso la giustizia stessa.

Un passo indietro è necessario per non perdere il filo.

Ne sono arrivati più di 200 di stranieri, in tre diverse ondate, nel giro di 24 ore o poco più, tra Leuca e la Città Bella, nel weekend. Non sono fantocci, storie senza contorno, disperati senza identità. Sono uomini. Persone. Vite. Lo hanno rivendicato proprio loro, in uno scatto d’orgoglio vigoroso come il sale che gli brucia la pelle, dritto come la schiena su cui si muovono. Iraniani e iracheni, tutti uomini, tra cui 11 minori e uno scricciolo di 4 mesi sono approdati sabato sera. Quarantotto più due, gli scafisti di origine kazaka, poi sottoposti a fermo dall’autorità giudiziaria.

Dietro la cortina del fatto di cronaca, un’altra verità. Anzi un altro pezzo, importante, del racconto.

Uno dei due scafisti – Farkhod Alilov, al timone dell’imbarcazione e Nikolai Vorobyov, addetto alle altre attività di bordo ed all’interazione con il gruppo, ha fatto la voce grossa durante la traversata non disdegnando di alzare, oltre a quella, anche le mani e i calci nei confronti di uno o più migranti. Un’azione che non è stata subita in silenzio ed ha invece scatenato la rivolta a bordo. Lo scafista è stato accerchiato, minacciato anche lui e legato a un palo da quella gente che aveva lasciato Iran e Iraq, per scappare rispettivamente dal regime e dalla povertà e criminalità delle milizie.

No, quelle urla, quella violenza, sono un di più che i migranti non erano disposti a pagare per toccare un approdo più solidale. E la dignità corale che ha preso forma e sostanza su quel veliero, insieme alle testimonianze e ai filmati ripresi a bordo, ha portato all’arresto dei due, uno dei quali era già noto per ingresso illegale a Siracusa.

Particolare che apre un’altra piaga dell’universo magno dell’immigrazione.

Traghettare anime è affare che costa tanto denaro e pochi rischi, almeno molti meno che se si traffica in droga o armi. Rischiano un’imputazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina et similia, ma di tratta e traffico di vite è difficile si parli.

Anche se i fatti questo, in sostanza raccontano.

Chiedono la protezione internazionale, quelle persone. Persone, prima che migranti. Molto spesso raggiungono altre parti d’Italia o la Germania o il Belgio, dove qualcuno li aspetta. Nel caso di specie, gli adulti sono stati trasferiti all’hot spot di Taranto, i minori non accompagnati tra Lecce e il Cara di Brindisi.

“In iraq c’è un serio stallo politico che dura da anni, con un leader delle milizie sciite filo iraniane che ha la maggioranza del parlamento e fa il cattivo e brutto tempo – spiega a Gazzetta Barbara Schiavulli, reporter di guerra -. I sunniti che sono una minoranza che prima con Saddam gestivano il paese e oggi sono considerati i reietti. In Kurdistan al nord c’è il petrolio ma anche una situazione difficile dopo la presa di potere dell’Isis, sconfitto poi dalla coalizione. Al tutto si aggiunge la siccità che ha messo in ginocchio qualsiasi produzione. Durante le ultime proteste per il caro vita che per il Covid si sono placate, vennero uccisi più di 600 giovani manifestanti. I ragazzi sentono e sanno di non avere futuro in Iraq”.

Ecco, c’è tutto questo, dietro il colpo di reni dell’altra notte su quel veliero

Fabiana Pacella

Da la gazzetta del mezzogiorno del 18 ottobre 2922


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