Luana un anno dopo 

0 0
Luana D’Orazio, un anno fa. Abbiamo ancora negli occhi il suo bel viso, la sua infinita dolcezza, il suo sorriso. Ricordiamo questa ragazza di ventidue anni, inghiottita da un orditoio mentre lavorava, a quanto pare, in condizioni di sicurezza precaria, per rendere omaggio a tutte le altre vittime sul lavoro, a cominciare da Lorenzo Parrelli, schiacciato a diciott’anni da una putrella d’acciaio durante l’ultimo giorno di stage.
Non è questione di nomi o di numeri ma di vite umane. È la dignità delle persone, infatti, a essere messa gravemente in discussione da questa strage, neanche troppo silenziosa, che qualcuno continua a tingere di bianco mentre di bianco, spiace dirlo, non c’è proprio nulla. Questo martirio è lurido, fosco, nerissimo, una barbarie che non può lasciarci indifferenti. Sono in gioco, difatti, proprio quei “valori occidentali” di cui ci riempiamo continuamente la bocca, salvo poi non fare altro che calpestarli. Siamo al cospetto di quelle che papa Francesco ha definito “vite di scarto”, i meccanismi di un ingranaggio maledetto che non concede scampo agli ultimi, ai deboli, agli esclusi, a chi è costretto a vivere ai margini della società, privo di ogni diritto e prospettiva di un futuro migliore.
Abbiamo citato Luana, ma solo perché il suo nome e il suo volto sono emblematici di un’aberrazione che non conosce sosta, mentre vengono calpestati ogni giorno, sempre di più, l’articolo 1 della Costituzione e lo Statuto dei lavoratori, simboli di una stagione di progresso di cui ormai è rimasto solo il ricordo.

Non sono solo i corpi di questi poveri cristi, uomini e donne, non dimentichiamocelo mai, a suscitare indignazione. È un modello indegno di crescita e di sviluppo sulla pelle di chi non ce la fa, a scapito del paesaggio, del territorio e del nostro atare insieme. È la “globalizzazione dell’indifferenza”, altra espressione del Pontefice, applicata alla fabbrica o al cantiere, là dove non viene più riconosciuto né il diritto a un salario degno di questo nome né il diritto a uscire di casa avendo la certezza di potervi tornare la sera. È lo scempio, lo strazio di un Paese che ha rinunciato al proprio domani e sta colpendo sistematicamente i suoi giovani, i suoi lavoratori, coloro che difficilmente finiscono sulle prime pagine dei giornali e di cui si ricorda solo quando vanno ad allungare l’elenco dei caduti di una guerra dichiarata dal capitalismo selvaggio ai danni di chi da questo sistema ha solo da perdere. E a rimetterci è la stragrande maggioranza delle persone, con la conseguente disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni, il populismo che monta, il collasso dei corpi intermedi e la distruzione del nostro stare insieme. È un conflitto con un solo vincitore, l’avidità dei soliti noti, e uno sconfitto altrettanto sicuro, tutte e tutti noi. Peccato che questo modello sia talmente insostenibile che anche i “vincitori” stanno pagando da tempo il prezzo altissimo del loro “trionfo”.
Roberto Bertoni Bernardi
P.S. Cinque anni fa ci diceva addio un grande giornalista, uno straordinario polemista, un vero uomo di sinistra e una splendida persona. Ci manchi tanto, compagno Valentino Parlato!

Iscriviti alla Newsletter di Articolo21