Della globalizzazione e degli scenari futuri

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Una sera di molti, ma molti anni fa, ero appena adolescente, mi trovavo con tutta la famiglia in una casa posta, a pochi metri dall’acqua, sulla punta con la quale il Vesuvio entra nel mare, pressoché al centro del Golfo di Napoli. Non so dire se eravamo ancora nel dopoguerra e quindi sfollati, oppure, a pace finalmente raggiunta, in villeggiatura. Ricordo che stavamo cenando e babbo, che contava fra i suoi amici un incredibile numero di ufficiali dell’aereonautica militare (forse 49) parlava di aeroplani, predicendo che da lì a non molti anni, grazie a queste prodigiose macchine volanti, sarebbe stato possibile in uno stesso giorno fare la prima colazione a Roma, pranzare a Parigi piuttosto che a Londra, per cenare a New York.

Mi capitò così di sentire, giovanissimo, il primo annuncio di un mondo che sarebbe stato chiamato <villaggio globale>.

Passarono anni, eravamo nel 1994, mi capitò di partecipare al contro G7 di Napoli, dove andai a presentare un documento che avevamo scritto Alberto Castagnola – un valente economista dell’Ispe, autore fra l’altro di un piano, purtroppo inattuato, per la conversione a scopi civili dell’industri belica – ed io. Ciò mi dette l’opportunità di intervenire più volte in ognuno dei tre giorni di dibattito condotti da due economisti di grido, il francese Serge Latouche, noto per aver indicato nella “decrescita” un prospettiva perseguibile, e Bruno Amoroso, della scuola di Federico Caffè e docente all’Università di Roskilde, in Danimarca.

In quella occasione ebbi modo di stringere un rapporto con Bruno Amoroso, che si trasformò in breve tempo in un sodalizio dal quale ho imparato tantissimo. Ho imparato ad esempio che frutto della globalizzazione non era né sarebbe stato semplicemente il villaggio globale sognato da mio padre, ma che in quel mondo si sarebbero prodotte alcune rudi contrapposizioni: tra i nord ed i sud, tra l’est e l’ovest, all’interno di singoli paesi e tra le classi sociali. Paradossalmente sarebbero enormemente cresciute sia la ricchezza quanto la povertà e si sarebbe configurata un’ <Apartheid Globale>, come Amoroso intitolò un suo libro.

Tutto ciò perché la Globalizzazione, grazie al particolare uso di nuove tecnologie,consisteva anzitutto in un cambio di passo della “logica” dell’accumula-zione del Capitale, che non avrebbe proceduto più per “inclusioni” successive di Paesi e strati sociali come era avvenuto con il ben noto circolo virtuoso della fase fordista dell’espansione capitalistica (aumento degli investimenti che porta all’aumento dell’occupazione che a sua volta produce aumento dei consumi che induce un nuovo aumento degli investimenti e così via). Avrebbe proceduto concentrandosi in alcuni territori (la famosa Triade cioè parte dell’Europa (sulla cartina a forma di banana), l’America del Nord e il Giappone e coinvolgendo in misure molto diverse i differenti strati sociali, producendo quindi esclusioni di Paesi e marginalizzazione di classi.

L’illusione, spesso non del tutto disinteressata, di una “globalizzazione buona” da sostenere, che accompagnasse una “globalizzazione dei diritti” è svanita, sconfessata dai fatti: i diritti sono diminuiti tanto che è aumentato a dismisura il numero di chi non ne ha alcuno; il lavoro non è più l’antidoto della povertà ed ormai si è poveri pur lavorando; l’uno per mille della umanità si è impadronita della metà di tutta la ricchezza esistente sulla faccia della Terra mentre l’altra metà viene spartita in misure abissalmente differenti dal resto dell’umanità.

Bruno Amoroso lo ha denunciato trattando in un suo libro del capitalismo predatorio.

Il lungo, intenso impegno intellettuale di Bruno Amoroso mi è tornato in mente all’annuncio della XVII Edizione del Festival dell’Economia che si terrà a Trento dal 2 al 5 giugno prossimi. Stando all’annuncio si parlerà di come <l’ordine globale che sembrava consolidato> sia stato messo in discussione dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, ma non dei disastrosi esiti della Globalizzazione.

Ci sarà qualcuno a Trento che ricorderà la lezione dell’economista eterodosso Bruno Amoroso, che è prematuramente morto nel 2017, o i nuovi scenari che si prospetteranno continueranno a fondarsi su crescita e sviluppo (termine considerato “velenoso” da Latouche) nonché sulle perverse logiche che hanno prodotto la spirale secondo cui i ricchi si arricchiscono ancora di più ed i poveri non possono che impoverirsi maggiormente? Dureremo così fin quando la Natura violata non porrà fine a questo scempio? Sempre che un soprassalto di saggezza non ci salvi all’ultimo momento.


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