Agli orrori della guerra non si risponde con la guerra

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La guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra cultura; […] garantire la pace mondiale dev’essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo molto più importante della scelta tra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo”. Così si esprimeva Hans Kelsen nella prefazione al suo libro Peace Through Law, scritto nel 1944.

Le immagini e le notizie che ci giungono da Bucha, da Borodyanka, da Irpin, al di là dell’orrore, ci confermano ancora una volta la verità di questo assioma. In questo contesto di assassinio di massa, esistono degli episodi ancora più oltraggiosi che offendono la coscienza dell’umanità intera, oggi Bucha e altri luoghi in Ucraina, ieri My Lay in Vietnam (16 marzo 1968). Ora come allora centinaia di persone innocenti, compresi i bambini e le donne sono state, torturate, stuprate ed uccise. Ha scritto il direttore dell’Avvenire (5 aprile) “Impariamolo una volta per tutte: i corpi straziati di Bucha non sono un’eccezione atroce, sono il volto e il corpo della guerra, Questa è il mostro, e quella è la ferocia. Sempre.

La guerra, ogni guerra scatena sempre una vertigine di atrocità che l’esile barriera del diritto bellico umanitario non riesce a contenere e le atrocità – sia pure con gradi differenti – riguardano tutte le parti coinvolte in questa procedura di assassinio di massa. Ci è stato insegnato che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale (Antonio Cassese). E tuttavia in un’epoca in cui era ancora viva la speranza di costruire un ordine internazionale pacifico, è stato concepito il disegno di una Corte penale internazionale, con lo scopo di rafforzare quelle norme del diritto internazionale che, da Norimberga in poi, interdicono quelle atrocità che turbano profondamente la coscienza dell’umanità (il genocidio, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità). Lo Statuto della Corte penale internazionale (CPI) non a caso fu firmato a Roma il 17 luglio del 1998 perché all’epoca l’Italia era ancora capace di iniziative autonome nel campo della politica internazionale. Il Trattato è entrato in vigore il primo luglio del 2002, ma non vi hanno aderito gli USA, la Russia, la Cina, la Turchia, Israele, cioè i paesi più a rischio di incorrere nelle sanzioni della Corte. A differenza di altri paesi, gli Stati Uniti non si sono limitati a non aderire al Trattato, ma si sono attivati per boicottare l’attività della Corte penale internazionale con atti improntati a crescente ostilità nei confronti della CPI, e diretti a interferire con la piena operatività dei suoi organi, a partire dall’ufficio del Procuratore, o ad indebolire il sistema di cooperazione tra Stati previsto dalla parte IX dello Statuto di Roma. Tutto ciò al fine di impedire che la Corte giudicasse gli eventuali crimini dalle forze armate americane in Afganistan e quelli commessi da Israele a Gaza.

A questo punto è importante che in Ucraina intervenga un organo di giustizia imparziale come la CPI che conduca sul campo le indagini appropriate per accertare i crimini internazionali, da chiunque commessi, e le responsabilità individuali dei loro autori. L’intervento di una giurisdizione internazionale è indispensabile per evitare che la reazione a questi orrori alimenti vendette o punizioni collettive. A questo riguardo le esternazioni di Biden che qualifica Putin come criminale di guerra e chiede che venga condotto dinanzi ad un Tribunale internazionale non agevolano il lavoro della Corte perchè così facendo tolgono autorevolezza agli organi della giustizia internazionale, trasformandoli in meri strumenti dell’offensiva di una parte politica contro un’altra parte. Se gli USA volessero veramente valorizzare la giustizia internazionale per prima cosa dovrebbero ratificare lo Statuto di Roma della CPI, invece che boicottarne l’attività. Di fronte allo sdegno e all’emozione suscitata dalla diffusione dei filmati e delle informazioni sulle atrocità compiute a danno della popolazione ucraina, cresce la richiesta di inviare armamenti sempre più sofistificati e distruttivi per consentire all’Ucraina di resistere a lungo e logorare le forze armate dell’aggressore e cresce la nostra propensione a partecipare – sia pure indirettamente- al conflitto diventando cobelligeranti. Non è questa la strada giusta. In realtà lo sdoganamento del tabù della guerra è la risposta più sbagliata e controproducente che si possa immaginare per reagire agli orrori che sono sotto i nostri occhi. Bisogna rendersi conto che la punizione di questi orrori non si può compiere attraverso la guerra, cioè attraverso un assassinio di massa perché è proprio la guerra che genera i crimini di guerra. Per questo la guerra va fermata subito, non alimentata, altrimenti “ ci renderemo colpevoli della moltiplicazione delle tante Bucha, Mariupol, Mykolaiv…della morte di tante altre donne, uomini, bambini…quei bambini che non ci toglieremo mai più dagli occhi. Mai più…” (Anna Falcone). Il fatto che Biden da Varsavia e poi Stoltenberg ci abbiano avvisato che la guerra sarà lunga, lascia chiaramente intendere che gli USA puntano ad alimentare il conflitto e incoraggiano Zelensky a non accettare nessun compromesso che possa porre termine rapidamente alla guerra. Di fronte all’afasia dei leaders dei principali paesi europei, incapaci di dissociarsi da questa corsa al disastro, deve mobilitarsi la società civile, i popoli europei per chiedere la pace e l’immediata fine del conflitto in Ucraina. Un conflitto mondiale, devastante, definitivo è alle porte, solo la forza dei popoli può impedirci di precipitare in questo baratro della Storia.


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