Mordi e fuggi: Bertante racconta la nascita della lotta armata 

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“… e poi c’ero io, che non avevo una visione ideologica precisa ma mi lasciavo trascinare dalla voracità dei vent’anni e dall’urgenza dell’azione.” 

In una Milano di fine anni ’60, agitata dalle occupazioni nelle università e dalle tensioni nelle fabbriche, Alberto Boscolo, ventenne iscritto alla Statale, decide di rompere con la sua famiglia – né ricca né povera, ma ai suoi occhi comunque borghese – e col movimento studentesco che ritiene  inconcludente. Alberto vuole di più, vuole agire, cambiare qualcosa radicalmente: “leggevo di tutto, assorbivo tutto, infatuandomi di pensatori diversissimi tra loro come Marcuse e Sun Tsu, Guevara e Marighella, cercando di vivere la propaganda armata come momento politico principale e, in qualche modo fondante, della mia visione rivoluzionaria”. 

Abbandonato il movimento studentesco, passa da un gruppo all’altro. Decisivo sarà il suo ingresso nel Collettivo Politico Metropolitano e, più in particolare, l’attentato di Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969. Di fronte ai morti e ai feriti provocati dall’esplosione della bomba nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, e al successivo (presunto) suicidio dell’anarchico Giuseppe Pinelli – ritenuto l’artefice dell’attentato – il quale diventerà ben presto simbolo evidente della repressione in atto – Alberto e altri come lui rompono gli indugi. 

Le Brigate Rosse nascono così nell’estate del ’70, con il convegno di Costaferrata, un piccolo paese dei colli emiliani. Ad organizzarlo è Alberto Franceschini, detto il Mega, figlio e nipote di partigiani e per questo capace di procurarsi le armi nascoste alla fine della Seconda guerra mondiale. Per l’occasione sono presenti, oltre ad Alberto, Renato Curcio e sua moglie Margherita Cogol detta Mara. Nonostante alcuni gesti dimostrativi compiuti dalle BR: alla Pirelli e alla Sit-Siemens con il sequestro lampo – “Mordi e fuggi” da cui prende spunto il titolo del libro – di Idalgo Macchiarini (il primo, di una serie di rapimenti, a firma Brigate Rosse che, unitamente alle rapine di autofinanziamento, avrebbero segnato la storia di questo Paese) il senso di insoddisfazione non si placa. Egli decide così di rompere con gli amici, che non vogliono impugnare le armi, abbandona la comune, e presto, dopo essere sfuggito casualmente ad una retata della Digos mentre si recava ad una importante riunione della cellula milanese, si rifugia in un’umida mansarda in preda all’alcol e alla paranoia. Successivamente abbandonerà anche Milano, in attesa che le acque si calmino, e inizierà a ripensare agli ultimi 3 anni della sua vita, alle rinunce che ha dovuto fare e a quel suo vecchio amico che aveva militato nelle file repubblicane durante la guerra antifranchista, il quale aveva definito quella brigatista come una ‘rivoluzione immaginaria’. L’abbandono della lotta armata gli apparirà dunque come una logica conseguenza del suo travaglio interiore, ancor prima che le BR diventassero uno dei gruppi eversivi più sanguinari del recente passato. Con “Mordi e Fuggi. Il romanzo delle BR” – in libreria dal 20 gennaio scorso con Baldini + Castoldi (206pp, 17 euro), Alessandro Bertante dà vita a pagine dense e affannose, che trasudano una vicenda umana tumultuosa e vibrante. L’abilità dell’autore è notevole e il risultato è una narrazione magistrale che alterna cronaca e fiction in un racconto orchestrato in prima persona. Un romanzo durissimo e affascinante, dal ritmo incalzante, che non fornisce risposte ma apre nuove domande su uno dei periodi più drammatici della nostra storia recente. 


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