Con la testimonianza della sua vita, Francesco De Notaris ci aiuta a dare un senso alla nostra

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Ho incontrato per la prima volta Francesco De Notaris nel settembre del 1994 quando sono diventato membro della Commissione difesa del Senato nella XII legislatura e mi sono immediatamente trovato in sintonia con lui come se ci fossimo conosciuti da sempre. Una sintonia profonda, da cui è sgorgata una amicizia spontanea, alimentata dal suo carattere amabile e dalla sua ironia gioviale, un’amicizia che è rimasta salda e si è prolungata negli anni, e adesso è per sempre. Questa sintonia nasceva dal fatto che, anche se in realtà diverse e senza conoscerci, avevamo entrambi attraversato le passioni, le ansie, le speranze, lo stupore di un tempo straordinario, il 68.

C’era una grande effervescenza in quel periodo nel mondo della cultura, della scuola, delle organizzazioni sociali, dei partiti e persino nella Chiesa, reduce da un Concilio che l’aveva riconciliata con il mondo moderno ed aveva aperto la strada ad una ricerca di autenticità. Erano i tempi in cui un Papa tormentato, come erano tormentati i tempi in cui agiva, Paolo VI, il 26 marzo 1967 lanciò al mondo il suo grido di dolore attraverso l’enciclica Populorum Progressio, che poneva il dito nelle piaghe del mondo contemporaneo, la fame, l’ingiustizia, la violenza, il nazionalismo, il razzismo, la guerra e chiamava all’impegno di tutti gli uomini di buona volontà per la costruzione della pace attraverso la giustizia: “Voi tutti che avete inteso l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista ed amata per sé stessa, ma l’economia al servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente della fraternità e segno della Provvidenza”.

Ha scritto Aldo Morrone, un medico che ha dedicato tutta la sua vita alla promozione ed alla tutela della salute degli ultimi (specialmente dei migranti), riferendosi all’effetto suscitato dalla Populorum Progressio “Allora avevo solo 13 anni, ma l’entusiasmo, lo stupore ed, oserei dire, l’incredulità che si percepivano erano contagiose. A scuola se ne discuteva e si creavano dibattiti accesi.”

Io immagino che attraverso questi dibattiti accesi, attraverso la passione che animava la speranza di un mondo nuovo, di un’umanità finalmente riscattata dalle ingiustizie e dal flagello della violenza, si siano formate le scelte che hanno orientato il percorso di vita di Francesco e hanno dato sostanza alla sua avventura umana.

Paolo VI amava ricordare che “la politica è la più alta forma di carità”, dove carità vuol dire amore per l’altro, a prescindere dalla religione professata, dalla propria cultura, dal colore della pelle, dalla lingua con cui si esprime. Questa definizione si attaglia perfettamente alla testimonianza di vita dell’uomo politico Francesco De Notaris. Francesco ci ha fornito la testimonianza di un impegno politico fondato sull’amore per gli altri, mettendo il suo ministero a servizio del bene comune, cioè dei diritti e della vita degli esseri umani assunti nella loro dimensione concreta.

E’ la dimensione dell’amore che lo portava a riconoscere il valore della non violenza, a rifiutare la logica delle armi e a contrastare la corsa agli armamenti. Non è per caso che fu assegnato alla Commissione Difesa, una commissione normalmente frequentata da parlamentari che, per ragioni varie, avevano interesse a tutelare il complesso militare-industriale. De Notaris andò in Commissione difesa per ragioni opposte, non per tutelare gli interessi delle industrie che producevano armi, ma per tutelare i diritti fondamentali delle persone che rifiutavano le armi e di quelle persone la cui vita veniva minacciata dalla diffusione delle armi.

Non è per caso che uno dei suoi primi atti politici nella XII legislatura fu la presentazione, il 2 giugno del 1994 del DDL “Nuove norme in materia di obiezione di coscienza”. Con questo disegno di legge riprendeva il percorso della riforma dell’obiezione di coscienza, già approvata dal Parlamento nella X legislatura, il 16 gennaio 1992 ed assassinata da Cossiga, che la rinviò alle Camere il 1° febbraio, poche ore prima di decretarne lo scioglimento anticipato.

Cossiga rivendicò una sorta di diritto di veto assoluto che la Costituzione non gli consentiva. Nel suo messaggio Cossiga, l’uomo di Gladio, ebbe l’ardire di affermare che il problema dell’obiezione di coscienza: “può trovare soluzione soddisfacente solo liberandolo dall’ipoteca di una certa cultura della paura e della resa, che non ha mancato tra l’altro in questi anni di tentare di travestire la viltà con i panni della virtù, la resa con quelli della tolleranza, l’accettazione della violenza con quelli dell’impegno di pace, concorrendo così a determinare i fattori per una progressiva de-nazionalizzazione del Paese.”

L’XI legislatura aveva messo di nuovo mano alla riforma ma lo scioglimento anticipato ne impedì l’approvazione definitiva. De Notaris ripropose la riforma, ritenendo essenziale conseguire due obiettivi politici, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto soggettivo, come un diritto umano fondamentale e la smilitarizzazione della gestione del servizio civile, come scriverà nella relazione introduttiva. Nella Commissione difesa l’esame della riforma fu oggetto di un confronto durissimo, essendo la Commissione divisa esattamente a metà: 10 contro 10. La destra, incarnata dal senatore generale Luigi Ramponi era fieramente contraria e pretendeva di far passare degli emendamenti che avrebbero stravolto completamente il senso della riforma, rendendo gli obiettori materiale di scarto per l’esercito. Il Governo Berlusconi era rappresentato dal sottosegretario Lo Porto che Francesco scherzosamente chiamava “Lo porto d’armi”. Ci fu anche il fuoco amico che consentì l’approvazione di un emendamento del governo che modificava la definizione degli obiettori di coscienza, eliminando nell’art. 1 l’inciso “opponendosi alla violenza delle armi”, sostituito dal più neutro “opponendosi all’uso delle armi”. La riforma riuscì a superare indenne i lavori della Commissione Difesa e la discussione in aula, venendo approvata il 14 marzo del 1995. Alla Camera i lavori vennero rallentati e si attese la fine della legislatura per evitare che la riforma venisse approvata. Finalmente nella XIII legislatura la riforma venne definitivamente approvata con la legge 8 luglio 1998 n. 230, nel testo che De Notaris aveva proposto e difeso appassionatamente durante la sua esperienza parlamentare. Si trattava di una riforma talmente innovativa, da risultare indigeribile alla cultura militarista e ai vertici politico-militari, al punto che, per sbarazzarsi dell’obiezione di coscienza, si preferì abolire il servizio militare di leva.

In coerenza con questa sua sensibilità umana per la vita e i diritti delle persone De Notaris presentò, il 1° luglio del 1994, una mozione che impegnava il Governo a ratificare il protocollo n.2 della Convenzione dell’ONU del 1980 sul controllo dell’uso delle mine, per non vendere le mine all’estero, per cessarne la produzione. La mozione fu approvata il 2 agosto 1994 con 162 si, 7 no e 9 astenuti. Dato l’ampio consenso ricevuto potrebbe sembrare che la mozione sfondasse una porta aperta. In effetti non fu così, non era per niente scontato un pronunciamento del parlamento per la messa fuori legge delle mine antiuomo perché l’Italia negli anni 90 era uno dei maggiori produttori mondiali di mine antiuomo e vi fu chi accusò De Notaris di demagogia, osservando che altri paesi sarebbero subentrati all’Italia nella produzione delle mine, occupando gli spazi di mercato da noi lasciati liberi. Affari contro diritti. Francesco non ebbe mai alcuna esitazione, non era certo per demagogia o perché affascinato da qualche ideologia pacifista, no, il suo era un impegno a difesa della vita di persone concrete, in carne e ossa, soprattutto i civili, le donne ed i bambini che sono quotidianamente vittime di questi ordigni anche molti anni dopo la fine dei conflitti armati: un impegno dettato solo dall’amore per gli altri.

Quella mozione sulle mine non rimase lettera morta, già nella XII legislatura il Governo dispose una moratoria sulla produzione delle mine, che venne definitivamente vietata con la legge 29/10/1997 n. 374, mentre sul piano internazionale il 18 settembre 1997 veniva firmata ad Ottawa la Convenzione sul divieto d’impiego, di stoccaggio, di produzione e di trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, ratificata dall’Italia con la legge 26 marzo 1999 n. 106. Infine solo pochi giorni fa è stata approvata definitivamente dal Parlamento le legge che contiene misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo.

Sul processo politico che ha portato a questo risultato in Italia, dobbiamo essere grati a Francesco De Notaris, che ha posto la prima pietra.

Proprio questa sua sensibilità alla vita e ai diritti fondamentali delle persone lo spinse a sollevare lo scandalo dell’uso delle munizioni ad uranio impoverito da parte delle Forze Armate. Fu cofirmatario con me dell’interrogazione n. 3-00598 del 26 aprile 1995 con la quale per la prima volta in Parlamento venivano denunciati i rischi a cui erano esposti i militari e la popolazione civile. Nell’interrogazione avevamo persino fatto i nomi di due militari americani vittime di contaminazione da uranio impoverito ed avevamo richiamato la dichiarazione del generale francese Pierre Marie Gallois (che non è un pacifista, essendo stato comandante in capo della Force de frappe), che aveva definito l’uso dell’uranio impoverito: “una mostruosa imbecillità militare”. Chiedevamo cosa intendesse fare il Governo italiano per evitare che, attraverso l’uso dell’uranio impoverito si superasse un’altra soglia, rendendo lecito un nuovo tipo di guerra chimico-nucleare con gravi rischi per la salute dei militari e dei civili.

Purtroppo questa denuncia non ebbe seguito perché gli standard delle munizioni vengono decise in ambito NATO, cioè dalle Forze Armate degli Stati Uniti che, consapevoli dei rischi avevano dotato i loro reparti impiegati in Bosnia ed in Kossovo di dispositivi di protezione, che, invece, nessuno ha fornito ai militari italiani.

Per questo a partire dal 1996, con l’intervento delle Forze armate italiane in Bosnia e poi dal 1999 con l’intervento in Kossovo e poi in Afganistan è cominciata una specie di epidemia, moltissimi giovani militari hanno contratto delle patologie oncologiche, come il linfoma di Hodgkin e la leucemia, che si sono rivelate mortali. Sono cominciate quindi delle battaglie legali, i tribunali hanno riconosciuto il rapporto di causalità fra la malattia contratta dai militari e l’esposizione all’uranio impoverito. Sono state istituite Commissioni d’inchiesta parlamentari. Ricordo che con Francesco abbiamo commentato la relazione di maggioranza della Commissione d’inchiesta della XVII legislatura, approvata il 19 luglio 2017, che finalmente ha acceso un faro sulle condizioni di pericolo di vita in cui si trova il personale militare ed i civili che vivono in aree circostanti ad alcuni poligoni di tiro come Capo Teulada e sulla carenza delle misure di protezione. Al luglio del 2017 l’osservatorio sulle vittime dell’uranio impoverito aveva contato 344 morti fra i militari italiani.

Quanto dolore, quanta sofferenza, quanta disperazione dietro questa arida ragioneria di numeri.

Ed è stata proprio l’esigenza di evitare tanto dolore e di prendersi cura della vita delle persone nella loro concretezza la motivazione profonda dell’azione politica di Francesco De Notaris. Questi sono solo alcuni episodi, emblematici di un impegno che è durato tutta la vita e della sensibilità umana che si celava dietro l’uomo politico. Ma sono solo una parte di un profilo umano molto più complesso e più ricco. Voglio ricordare come era amabile la sua amicizia, com’era gradevole ogni ora trascorsa in sua compagnia, con quanta ironia egli sapesse leggere le vicende umane, con quanto affetto e orgoglio parlava del figlio Marco e della moglie Antonia, compagna della sua vita. Adesso che l’avventura umana di Francesco De Notaris si è conclusa, in noi rimane la tristezza ed il vuoto di una perdita incolmabile, la consapevolezza che il suo posto non può essere preso da un altro. Però questo vuoto è compensato dal patrimonio prezioso che Francesco ha lasciato in dono a tutti noi che lo abbiamo conosciuto e che abbiamo incrociato nelle circostanze più disparate il cammino della nostra vita con il suo. Questo scrigno prezioso che Francesco ci ha lasciato è la testimonianza della sua vita. Egli è stato un costruttore di senso per la nostra vita, aiutandoci a dare un senso a parole come libertà, giustizia, dignità, eguaglianza, fraternità. Ci ha testimoniato che la politica può e quindi deve essere la forma più alta di fraternità. Con la testimonianza della sua vita, Francesco ci aiuta a dare un senso alla nostra. Questo dono neanche la morte ce lo può togliere.

Grazie Francesco, che la terra ti sia lieve.


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