Polesine, il pianto e la rinascita di un’Italia povera

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Quando il Po ruppe gli argini, l’Italia ripiombò nella paura. Era il 1951, un autunno piovoso e lugubre, nel contesto di un paese ancora ben lontano dai fasti del boom e tragicamente ancorato alla miseria, alla paura e alle innumerevoli difficoltà che la guerra aveva portato con sé. Il Veneto di allora era una regione povera, agricola, dalla quale era frequente l’emigrazione verso l’America alla ricerca di un avvenire migliore, e quella tragedia sembrò essere il colpo di grazia per gente che aveva già perso quasi tutto. Invece da quel dramma nacque un nuovo spirito, quella regione in miseria si risollevò rimboccandosi le maniche e divenne, nel giro di qualche anno, uno dei capisaldi del miracolo economico che avrebbe condotto l’Italia fra le potenze mondiali. Anziché perderci definitivamente, rinascemmo come comunità, ci risollevammo alla grande, trovammo la forza di guardare avanti insieme e rendemmo concreto lo spirito della Costituzione. Riuscimmo, in poche parole, a essere massa e popolo, solidali e uniti, remando tutti nella stessa direzione lungo un fiume di fango e di detriti.
Il Polesine, settant’anni fa, fu la fotografia della catastrofe e della voglia di rinascere. Andarono a raccontarne le sorti giovani cronisti come Enzo Biagi e ne ammirarono la forza d’animo, come se tutti volessero compiere la propria parte fino in fondo, senza risparmiarsi. I giornalisti sembravano quasi dei soccorritori aggiunti, e in parte lo erano, i cinegiornali raccontavano quell’orrore con partecipazione e senso di vicinanza, la popolazione si ammassava sugli argini con le proprie povere cose e gli sfollati, che ricordavano da vicino quelli della guerra, avevano negli occhi una sensazione di smarrimento ma, al tempo stesso, la ferma volontà di andare avanti.
Oggi il Polesine ricorda la sua sconfitta e la sua ricostruzione, le sue lacrime e la sua ripresa. Conserva la memoria come solo le terre fragili e abituate ad avere poco in cambio sono in grado di fare. Ricorda i sacrifici e le sofferenze, lo strazio dei morti e il sorriso di chi si è salvato, il terrore collettivo e il coraggio di una Nazione che, all’epoca, credeva ancora in se stessa. Ci domandiamo cosa sia rimasto dell’entusiasmo di allora e non troviamo risposta. Ci assale un sentimento di vuoto e di sconforto, mentre il grande fiume scorre ancora, per fortuna placido, e racconta le sue storie a chi non c’era.

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