Imperialismo: malattia inguaribile dell’Occidente

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Il farisaico stracciarsi le vesti dell’Occidente dopo l’ultimo fallimento in Afghanistan non deve far dimenticare quanti allarmi, consigli, raccomandazioni, gli uomini, le donne, le organizzazioni realmente impegnati sui terreni delle tante situazioni di crisi del mondo hanno rivolto ai governi e ai poteri politici ed economici. Ma la logica imperialistica che cambia aspetti ma non modalità d’intervento da oltre due secoli, non ha mai voluto prestare ascolto, preferendo sempre e comunque gli eserciti in armi alle reali missioni di pace fatte di lotta alla carestia, alla povertà, alla malattia, all’analfabetismo. Se credessi al destino, direi che un segnale inequivocabile di questo ultimo, disperato avvertimento per salvare l’uomo è venuto dalla morte di Gino Strada contemporanea alla vittoria dei Talebani.

Perché sono stati buttati vent’anni in morti, presìdi militari, insediamenti politici fantocci, in miliardi regalati all’industria bellica? Perché non è servito a niente, così come avvenuto in Iraq, Libia, tanti Paesi africani, soltanto per ricordare gli anni più vicini a noi? Perché seguire con ostinazione la stupida e inapplicabile idea dell’”esportazione della democrazia”?

Tante le altre possibili opzioni, che però non avrebbero appagato l’inguaribile ingordigia dei fabbricanti di armi e dei loro esecutori sul campo, i generali, così come le ambizioni imperiali di capi di stato megalomani. E cosa dire degli sprechi milionari sbattuti in faccia al mondo, dalle sfarzose Olimpiadi fatte senza pubblico, contro il volere della maggioranza dei giapponesi, solo in funzione televisiva, fino agli insopportabili ‘viaggetti nel cosmo’ dei super ricchi in combutta con la Nasa?

E non intendo certo proporre, in alternativa, la ‘carità’, né condannare i ‘Ricchi Epuloni’ perché non entreranno mai nel Regno dei Cieli. Bisogna invece smetterla con l’egoismo dei ricchi, privati o Stati che siano, i quali mirano soltanto ad ingrassare di più e lo fanno a danno di tutta l’umanità.

Penso ad una bella vignetta comparsa in rete nei giorni scorsi, articolata in due parti. Nella prima aerei da bombardamento e carri armati lanciati su un’imprecisata zona del mondo; nella seconda, masse in fuga. Le due scritte: “Se esporti armamenti, dopo non lamentarti se importi rifugiati”. E penso a quanto sarebbe diverso se le potenze mondiali operassero con rispetto verso le culture, le tradizioni, la storia, le religioni degli altri popoli.

Se in questi ultimi vent’anni, invece di illudersi di sconfiggere militarmente i talebani si fossero costruite forme di collaborazione e di studio per favorire gli incontri e la comprensione reciproca, se si fosse operato capillarmente per migliorare le condizioni socioeconomiche delle persone, non lavandosene le mani dietro l’alibi che tanto su quel terreno operavano le organizzazioni e le associazioni umanitarie, quanto se ne sarebbe avvantaggiata l’umanità, tutta l’umanità, non solo quella parte del mondo?

Ora, invece, tutto torna come prima o peggio di prima. Se ripartiranno gli attentati terroristici, con tutto il mondo a rischio, si ricomincerà con altre tentazioni di guerra, inventandosi i nemici, scegliendoli, magari attribuendo loro armi micidiali, come avvenne per Saddam Hussein e l’antrace?

Operare per la pace significa impegnarsi nel rispetto e nell’aiuto degli altri, non nell’ossessiva volontà di imporre i propri modelli.

Servirà a qualcosa l’ennesima, dura lezione? Servirà a far sì che l’Onu non sia più ridotta solo ad una convention di educati diplomatici che si scambiano buone intenzioni mai applicate? Servirà a far capire che il disarmo concordato non solo produrrebbe risparmi da destinare a scopi benefici, ma ridurrebbe il rischio di far finire micidiali strumenti di morte in mano a folli irresponsabili?

Se l’Occidente vuole dimostrare di avere finalmente imparato, dovrà smetterla con la riproposizione della concezione imperialista e mettersi finalmente all’ascolto piuttosto che continuare ad urlare alcune proprie verità fasulle.


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