Chavela Vargas, una voce profonda come il dolore dell’anima

0 0

“Ponme la mano aqui Macorina, ponme la mano aqui” (“Mettimi la mano qui Macorina, mettimi la mano qui”). Queste parole si ripetono più volte, con ritmo lento, cadenzato e sensuale, in una canzone messicana degli anni ‘40. Macorina, al secolo Maria Calvo Nodarse, fu la prima donna ad ottenere la patente di guida dal comune dell’Avana e la prima a guidare un’automobile a Cuba. Era il 1917. Per questo ed altri motivi, si scontrò con la morale cattolica del tempo che incominciò a chiamarla “diabolica”. Macorina era bellissima; scappò di casa per amore a 15 anni e, nei ruggenti anni ‘20 cubani, lasciato il fidanzato, incominciò frequentare uomini con una buona posizione economica. “Oltre una dozzina di uomini stramazzavano ai miei piedi, colmi di denaro, supplicanti d’amore“- dicharò nel 1958. Ma il testo della canzone va ben oltre la mano di Macorina, “I tuoi seni, carne di anón1, la tua bocca una benedizione di guanábana2 matura … quell’odore di donna, a mango e canna nuova con cui mi hai riempito…”. Beh, penserete voi, qual è il problema? Ci sono un sacco di canzoni sudamericane con testi simili a questo, anche negli anni ‘40.

C’è che a cantare e a rendere famosa questa canzone, non fu un uomo, ma una donna, e non una donna qualunque, ma Chavela Vargas. Fu ovviamente uno scandalo: una donna, che portava i pantaloni, cantava l’amore per un’altra donna in modo esplicito e provocatorio. Nel periodo franchista fu censurata in Spagna e… forse in Italia lo sarebbe ancora oggi! Ma quella donna era Chavela, che aveva nelle vene più coraggio che sangue e, in seguito, più alcool che sangue. Già perchè, per essere “la Vargas” in quegli anni di profondo maschilismo doveva essere più “macha”, più forte e più ubriaca di tutti gli uomini che la circondavano.

Isabel Vargas Lizano nacque a San Joaquín de Flores, in Costa Rica, il 17 aprile 1919. “Sono nata così” ha raccontato “da quando ho aperto gli occhi sul mondo, non ho mai dormito con un uomo. Mai. Figurati la purezza, non ho niente di cui vergognarmi, i miei dei mi hanno fatta così”.

I suoi genitori non sono mai andati fieri di lei, la nascondevano come un cane rabbioso quando avevano ospiti, per il suo strano modo di vestirsi e di comportarsi. Isabelita non giocava con le bambole come tutte le bambine, e poi cantava, cantava sempre, a casa, in chiesa, per strada. Quando i genitori si separarono, finì in mano agli zii. A diciassette anni, nella solitudine e disperazione più profonda – “il pianto si era trasformato in cemento nelle mie vene”- decise di fuggire, da sola, in Messico, sicura che lì avrebbe trovato quello che cercava. Incomincia a cantare per le strade del Messico, e la chiamano Las Vargas, cioè Le Vargas, perchè ha una voce che sembrano in tre. Ben presto si accorgono di lei ed incomincia a fare serate nei club e nei cabaret, grazie soprattutto all’appoggio del compositore e cantante José Alfredo Jiménez (considerato il miglior compositore messicano di musica ranchera di tutti i tempi) del quale diventò compagna di bagordi.

Chavela rivoluziona il modo di cantare la musica popolare messicana e soprattutto il modo di porsi di una cantante. Le cantanti fino ad erano tutte pizzi, crinoline, gonnellone, e fiori tra i capelli. All’inizio della carriera lei ci prova a presentarsi al pubblico con lunghi capelli neri, gonna e tacchi, ma non resiste molto … si sentiva un travestito. Quindi, da un giorno all’altro si taglia i capelli, si mette un poncho rosso da mariachi, sotto il poncho una fondina con pistola, i pantaloni e … il Messico rimane a bocca aperta. Portare i pantaloni in quell’epoca voleva dire essere insultata per strada, pesantemente. Ma Chavela non cambiò, continuò a cantare così i suoi cantos rancheros, i canti d’amore per le sue donne, sigaretta tra le labbra, bicchere di tequila sempre accanto. Sono gli anni in cui ama Frida Kahlo. Frida, dopo averla incontrata per la prima volta, scrisse: “Straordinaria, lesbica, anzi, mi ha preso eroticamente. Non so se lei ha sentito lo stesso che ho provato io, ma credo che sia una donna abbastanza liberale e, se me lo chiede, non esiterei nemmeno un attimo nel denudarmi dinanzi a lei”. Visse per 5 anni con Frida e Diego Rivera. “Diego sembrava un’ enorme rana. Friducha era un fiore. Le sue sopracciglia erano una rondine in volo. Quando si svegliava e apriva gli occhi le ali della rondine prendevano a volare”. “Quando dissi a Friducha ‘me ne vado’ lei mi rispose lo so, che te ne vai: non piangerò, io ti ho partorita e non posso tenerti”. “Non posso dimenticare la notte in cui mi disse che Diego aveva avuto un figlio, Tonchito, da sua sorella Cristina. ‘Bisogna essere molto forti, più che forti’, mi diceva senza piangere. Era un essere di un’ altra dimensione, una luce.” Fu un amore che andò oltre la passione fisica, in tempi in cui dichiarare la propria omosessualità era contro ad ogni “buon costume”. Chavela non si dichiarò mai, lo fece ad ottant’anni: “Quello che fa male non è essere gay, è che le persone te lo gettano in faccia come se fosse una piaga”.

Chavela con Frida – Foto di Tina Modotti

A 42 anni incide il suo primo disco e negli anni ‘50 debutta ad Acapulco all’hotel Mirador, locale frequentato dal “bel mondo” di Hollywood. Canta al matrimonio di Liz Taylor e Mike Todd e, si dice, che Ava Gardner fosse pazza di lei. Ma non era di certo l’unica ad esserlo: Chavela era una seduttrice, ebbe un’infinità di amanti, anche molto famose, e tra loro molte mogli di politici ed intellettuali dell’epoca. Riguardo all’amore diceva: “Ama senza misura, senza limiti, senza complessi, senza permesso, senza coraggio, senza il consiglio, senza dubbio, nessun prezzo, nessuna cura, niente di niente”. Chavela soffrì molto per amore, ma le sue compagne più fedeli furono sempre la solitudine e la tequila. Una sera contò di aver bevuto circa quarantacinquemila litri di tequila nella sua vita, ma sosteneva di avere il fegato in buon stato. Il suo era un alcoolismo serio, lei stessa riconosceva che “l’alcoolismo è una malattia, una dipendenza dell’anima e della psiche, distrugge il cervello e l’organismo, è una malattia di solitudine ed abbandono”.

Negli anni ‘70 sparì del tutto dalle scene. Viveva sola in una baracca, senza soldi (non le arrivarono mai i soldi dei diritti discografici), viveva di quello che le davano gli amici. Alla fine degli anni ‘80 un’amica la trovò in casa, ubriaca, con uno sconosciuto che cercava di farle firmare un contratto per amministrare i suoi diritti; chiamò immediatamente in aiuto una giovane avvocata, della quale Chavela si innamorò a prima vista. Con lei, avrà una lunga e intensa relazione, finita per le sue ricadute nell’alcool, che rendeva il suo carattere anche molto violento.

Dopo 15 anni di assenza torna a Città del Messico, dove ormai tutti pensavano fosse morta. Invece “la Chamana” (la sciamana), come era soprannominata per il suo alter ego sciamanico e spirituale, era viva. Risale sul palco ed è la sua rinascita. Un impresario la chiama per andare a cantare al Teatro Caracol di Madrid, lì conosce Pedro Almodovar, che diventerà suo grande amico e padrino3, e la porterà fino all’Olympia di Parigi. Ad 82 anni ha inciso più di 80 dischi. Ad 85 si esibisce alla Carnegie Hall di New York; compare nel film “Babel” di Alejandro Gonzales Iñarritu (dove canta “Tu me acostumbraste“), e in “Frida”, con Salma Hayek, canta la Llorona (la donna che piange), il canto simbolo di un paese e di un popolo.

Chavela voleva morire cantando sul palco, ci provò, ma non ci riuscì. A 93 anni, sulla sedia a rotelle (che odiava) fece il suo ultimo concerto a Madrid. Poco dopo la portarono in ospedale, ma non si fece trovare lì dalla morte, voleva morire in Messico. Già… perché, con la sua tempra di ferro, la chamana decise lei che cosa fare, anche con la morte… la morte con la quale aveva danzato da sempre e che aveva domato per tutta la vita.

Aveva una voce unica al mondo, la “voce di una montagna che frana”, e quando la ascolti, frani con lei. Chavela non ha cantato il dolore, l’amore, le donne, l’alcool, la solitudine, Chavela È STATA tutte quelle cose. Ha cantato le sue canzoni come se le stesse, ogni volta, vivendo, o morendo; e ogni volta è un viaggio senza scampo nella profondità delle sue viscere…ti porta con lei, laggiù, e ti spezzi, ami, non respiri, piangi insieme a lei … ogni volta.

Note:
1-2 Anòn e guanàbana sono frutti esotici
3 Almodovar usa molte canzoni di Chavela per le colonne sonore dei suoi film, tra cui: “Si no te vas” per Julieta; En el ultimo trago per “Il fiore del mio segreto”; Luz de Luna per “Kika”;

Per chi volesse saperne di più segnalo:
Chavela”, bellissimo documentario di Catherine Gund e Daresha Kyi del 2017
Se mi chiedete ancora del mio passato (vi mentirò di nuovo. Vi dirò che non conosco il dolore e che non ho mai pianto)”, libro scritto da Chavela nel 2002.

Per chi volesse invece ascoltare le canzoni di Chavela in italiano segnalo il recente lavoro dei cantautori Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata “Un mondo raro. Vita e incanto di Chavela Vargas” (libro e spettacolo teatrale).

https://www.somaraedizioni.com/


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21