Morire di caldo e (non) lavoro a Sud. Camara e Antonio, uccisi dal caldo e dalla precarietà  

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Morire  di caldo e lavoro. O non lavoro. Ché tale è quando ci si accontenta di paghe misere più simili all’elemosina che al compenso, eppure si trotta sotto 45 gradi (almeno 50 i percepiti), pur di salvaguardare la propria dignità di uomini.

Due storie amare, unite dal filo rosso e debole di tutto questo, ci consegna la Puglia avvampata dall’afa di questi giorni.

Due storie di vite spezzate al sole, quel sole sotto cui volevano far brillare la propria buona volontà.

Camara Famandi viveva a Turturano i provincia di Brindisi, ci era arrivato dal Mali. Aveva 27 anni. Uno dei tanti invisibili del lavoro nei campi, di quelli (sotto)pagati un mucchio di spicci al giorno, di quelli che rientrano in bici e devi avere occhi e fari ben aperti per non metterli sotto. Anime ai margini delle statali e delle provinciali, che nulla ci vuole a metterli sotto. Ma la gente di quaggiù lo sa. Sa che in questo periodo all’alba e quando fa sera occorre fare attenzione, che è stagione di vite ai margini…delle carreggiate e del cuore. Camara era sulla sua bici, intorno alle 17, una giornata piegato in campagna sotto un sole che manco nella sua Africa non gli hanno lasciato scampo. Ha fermato il suo cammino, si è accasciato e la sua storia allunga la lista nera delle morti di (non)lavoro in questa terra d’esodo e d’approdo, vicina al Nobel per la Pace un giorno e tavolozza di colori ora luminosi ora bui e amari.

Dovrà tornare a casa, la sua casa, Camara. La sponda d’approdo che è la terra di Puglia si sta mobilitando offrendo preghiera e anima, attraverso una raccolta fondi dal basso per consentire al 27enne di tornare in Mali e avere lì degna sepoltura, se qui non ha potuto trovare futuro. Non a lungo.

Antonio Valente invece aveva 35 anni, era salentino di Miggiano, nel leccese.

Anche lui aveva immaginato un futuro, aveva studiato, s’era dato da fare. Ma così è ,a sud più che altrove. O imbocchi subito la strada asfaltata oppure ti perdi in un dedalo di possibilità a tempo, quel limbo asfissiante che da giovane chiami precariato con un filo di speranza, e man mano che cresci chiami inferno, quasi un punto di non ritorno cui abituarsi. E Antonio non aveva timore di mettere lo zaino in spalla, uscire presto e rientrare tardi, dopo una giornata passata a fare volantinaggio. Porta a porta, sotto un sole inclemente e un’aria che non si può respirare. Un colpo di calore, s’è accasciato, e anche per lui, la vogata forte per la difesa della sua dignità d’uomo e lavoratore è terminata. Con lo stridore delle ambulanze, la corsa in ospedale e i medici a scuotere la testa poche ore dopo.

Questo è, anche, il Salento.

Di muretti a secco e ulivi forti che oggi bruciano devastati da Xylella prima e abbandono poi. Di spiagge  e mare e cibo buono, di case aperte all’accoglienza che nulla o poco possono contro quella che pare un’amara storia già scritta. Storia di sale, storia di sud.


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