Dove va il mondo dopo la pandemia?

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Diamo un’occhiata al mondo, alle sue condizioni dopo la pandemia e ai drammi che lo caratterizzano. Partiamo dall’Iran, dove è stato eletto presidente Ebrahim Raisi, sostanzialmente un fondamentalista, frutto avvelenato del quadriennio trumpiano che ha reso impossibili, o quasi, i rapporti con il paese più grande e rilevante dell’area mediorientale e avvelenato un contesto che Obama aveva faticosamente reso fertile per accordi positivi sul nucleare e non solo. Raisi costituisce la risposta dell’ayatollah Khamenei alle politiche americane e all’accanimento di Israele: è una reazione, la peggiore possibile, all’irrigidimento altrui. C’è, dunque, poco da aspettarsi nelle relazioni internazionali, nei rapporti, sempre tesi e difficili, fra Israele e l’Iran e, ovviamente, sul versante dei diritti umani, dove con Raisi assisteremo, senza dubbio, a molte condanne a morte e a una ferocia repressiva come non la si vedeva dai tempi di Ahmadinejad. Del resto, dopo l’assassinio del controverso generale Soleimani, il 3 gennaio 2020, era evidente a tutti che la risposta iraniana non si sarebbe fatta attendere. Il Covid ha messo in naftalina le tensioni ma, di sicuro, non le ha attenuate, e oggi ci troviamo a fare i conti con un Paese ancora più aggressivo e determinato a esercitare il ruolo di guida degli avversari, per non dire proprio dei nemici, dell’Occidente. L’auspicio è che le sagge politiche di Biden, almeno su questo punto, possano condurre a nuovi equilibri, scongiurando le conseguenze peggiori, così come ci auguriamo che il governo israeliano, ora guidato da Naftali Bennett, ugualmente un falco ma meno irresponsabile e guerrafondaio di Netanyahu, possa avviare relazioni diverse e migliori con un interlocutore col quale sarà, comunque, necessario confrontarsi, se non si vuole mettere a repentaglio la tenuta stessa di una delle regioni più calde del pianeta.

E poi c’è Hong Kong, dove la repressione del governo cinese è sempre più inquietante. Vittima, stavolta, è stato il giornale di opposizione Apple Daily, il cui direttore, Ryan Law, è stato arrestato, insieme all’amministratore delegato del gruppo editoriale Next Digital, Cheung Kim-hung, e la cui sede è stata perquisita con motivazioni risibili. Non siamo fra coloro che auspicano un inasprirsi delle già complesse relazioni con Pechino; fatto sta che il tema dei diritti umani e della libertà d’espressione andrà posto sul tavolo e reso centrale nel mondo che verrà, a patto che l’Occidente sia in grado di farsi un esame di coscienza ed eviti di autoassolversi, considerando che tollera ancora scempi come Guantanamo e paesi come l’Ungheria di Orbán all’interno dell’Unione Europea.

Venendo a noi, dobbiamo prendere atto che stiamo tornando all’Ottocento, almeno nel settore della logistica. L’uccisione di Adil Belakhadim, sindacalista del SI COBAS, investito da un camion mentre manifestava insieme ai propri compagni di lavoro davanti allo stabilimento della Lidl di Biandrate, porta alla luce tutte le storture, le vergogne e i non detti di un ambito nel quale non esiste dignità, non esistono diritti, non c’è alcuna tutela e lo sfruttamento ha raggiunto livelli intollerabili. Del resto, siamo di fronte a quello che una volta il politologo Marco Revelli ha definito “un nuovo statuto del mondo” in cui il profitto viene prima di tutto e la vita umana vale zero o poco più, a seconda che si tratti di un italiano, o comunque di un occidentale, o di un povero cristo fuggito dall’Africa in fiamme o dalle miserie di una certa Asia per venire a lavorare in condizioni disperate alle nostre latitudini.
Ci eravamo illusi che ne saremmo usciti migliori. È avvenuto esattamente il contrario ed essere peggiori di prima, in tutta sincerità, non era facile.

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