Dirigente politico, sindacalista, gentiluomo: Guglielmo Epifani

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Guglielmo Epifani era intervenuto solo pochi giorni fa alla Camera dei deputati sulla sicurezza nel lavoro ed era stato al presidio delle lavoratrici e dei lavoratori della Whirlpool. Dunque, un impegno costante, concluso solo per impossibilità di essere, non di partecipare. Infatti, le personalità grandi lo sono fino all’ultimo, essendo l’attività pubblica parte integrante di una soggettività totale.

Epifani scelse la Cgil da giovanissimo. Poteva, probabilmente, rimanere all’università dove si era laureato con una tesi su Anna Kuliscioff e in cui sarebbe diventato un apprezzato accademico. Ma la sua fu una scelta di vita. Dopo la direzione della casa editrice della confederazione (allora, Esi), divenne segretario generale nell’organizzazione dell’informazione e dello spettacolo, unificando comparti prima distinti e persino un po’ concorrenziali. La Filis Cgil fu protagonista del dibattito drammatico degli anni a cavallo tra i settanta e gli ottanta. E lui, socialista per bene e autonomo nei giudizi, riuscì a resisterequasi sempre all’offensiva craxian-berlusconiana, mettendo al riparo il sindacato da invasioni di campo assai pericolose. E, tuttavia, contribuì allo svecchiamento delle vecchie culture comuniste, legate – troppo- alle dinamiche talvolta conservative della pur nobile aristocrazia operaia dei poligrafici o agli aziendalismi radiotelevisivi.

E poi. Divenne segretario generale della Cgil, dopo la lunga e appassionante esperienza di Sergio Cofferati: dal 2002 al 2010. Difese l’articolo 18 dello Statuto del 1970 e seguì con cura vertenze e mobilitazioni. Enormi manifestazioni di piazza. La confederazione fu decisiva nella resistenza alle derive liberiste. Unitario ma capace di rotture, al di là dei colori dei diversi governi.

Aderì al partito democratico, mantenendo – però- un’identità riformista cui non volle mai venire meno.

Ne fu il segretario reggente dopo l’infausta scadenza elettorale del 2013, aggravata per di più dalla crisi seguita alla vergognosa ribellione dei “101” che non votarono Romano Prodi per il Quirinale.

La sua cultura socialista gli rese impossibile la convivenza con Matteo Renzi, che come segretario del Pd e presidente del consiglio tentò di trascinare il partito in una insostenibile area moderata.

Epifani, con Pier Luigi Bersani e diversi altri scelse di dare vita ad una nuova esperienza: Articolo1-Mdp. E, in tale veste, mantenne vivo l’impegno sul lavoro, contro disoccupazione e precariato. Ma era ascoltato da platee vaste, quelle che hanno in mente un dirigente politico e sindacale dotato di grandi passioni vestite nell’abito di un invidiabile gentiluomo.

Lo rimpiangiamo e lo salutiamo commossi.


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