Quando finisce il tempo dell’eternità

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L’acqua del lago non è mai dolce”, Bompiani 2021 di Giulia Caminito è entrato tra i libri proposti per il premio Strega.

In questo romanzo l’autrice aggredisce la realtà con una scrittura materica, compatta, la scolpisce, anzi compone sculture fatte di oggetti assemblati in cui le emozioni, le sensazioni non sono espresse in una scala di sfumature, di intensità, ma sono nominate con la consistenza di cose, di oggetti: la rabbia è stesa sulla terrazza, la collera ha faccia, capelli, mani, indossa jeans usurati sulle ginocchia. Similitudini e metafore icastiche urlano le contraddizioni stridenti della realtà che ci racconta. Usa lunghe liste per dirci stati d’animo, situazioni. Questo è il terzo romanzo di G. Caminito dopo “La grande A”, Giunti, 2016 e “ Un giorno verrà “, Bompiani, 2018 entrambi ambientati in un tempo storico. In un suo articolo dell’8-02-2019 in IlLibraio.it intitolato “ Cercare storie nel passato per me è un modo di indagare l’attualità” l’autrice si dichiara ancora non disposta ad affrontare la narrazione del tempo presente: “Sul presente io non ho presa, mi fa sentire obsoleta ancor prima di averne parlato, ho pareri inattuali, considerazioni per nulla calzanti su come va il mondo oggi e finché non troverò un modo che non mi sembrerà puerile rimarrò nel passato per raccogliere storie”. In “L’acqua del lago non è mai dolce” Caminito colloca invece la sua storia tra la fine degli anni ’90 e l’oggi. Nella nota che chiude il libro precisa che non si tratta di una biografia, né di un’autobiografia, né di un’autofiction “… questa è una storia che ha ingoiato frammenti di tante vite per provare a farne una narrazione, il racconto degli anni in cui sono cresciuta, dei dolori che ho solo circumnavigato e di quelli che ho attraversato” e che nasce per raccontare tre donne reali, di cui una è lei, attraverso tre personagge.

In questo suo avvicinamento narrativo al presente ci consegna un romanzo di formazione o più correttamente un romanzo del divenire, come alcune studiose hanno chiamato il bildungsroman delle donne (A.A.V.V. Il romanzo del divenire. Un bildugsroman delle donne. A cura di L.Fortini e P.Bono, Iacobelli, 2007). Nella storia sono presenti alcune caratteristiche del romanzo del divenire: figure femminili con cui la protagonista ha una relazione significativa, la madre con cui ha una relazione verticale e le amiche con cui ha una relazione orizzontale; “il trionfo dello spazio”, che è soprattutto quello di Anguillara Sabazia e del Lago di Bracciano, spazio che nei racconti di formazione femminile inghiotte e agglutina in immagini e scene il tempo, che qui è comunque quello dall’infanzia alla tarda adolescenza delle/dei giovani di oggi; l’ importanza della lingua, che passa attraverso la madre, qui evidenziata anche simbolicamente con il dono prezioso di un dizionario, che la madre regala alla figlia.

Il romanzo è scritto in prima persona, la protagonista si chiama Gaia, ma il suo nome compare una sola volta, in calce a una lettera, a pag. 269. La sua è una famiglia sottoproletaria di sei persone, vive a Roma in una di quelle periferie, in cui anche molti romani non hanno mai messo piede e faticano a localizzare. In questa famiglia giganteggia la madre, Antonia dai capelli rossi, che lotta per uno spazio per i figli, la casa, uno spazio per giocare, uno spazio per vivere e crescere senza mai lasciare che la loro estrema povertà si trasformi in miseria. Perché Antonia fa i servizi nelle case dei ricchi, lavora in nero, ma ha una consapevolezza politica, è una che “si è fatta i comizi di quartiere, gli scioperi per la casa, le lotte all’ATER” e nella sconfitta degli anni ’90 non rinuncia a lottare, vuole con determinazione che i figli studino, che trovino un lavoro vero, con il contratto, con la pensione, non come il suo, non come quello del padre che è caduto dalle impalcature ed è rimasto paralizzato e senza assistenza.

Antonia non si arrende mai, tutto pulisce, tutto organizza, tutto porta a nuovo utilizzo, perché la sua famiglia vive in un’economia del riciclo. Riuscirà a ottenere una casa prima a Roma, addirittura nel quartiere Trieste, ma poi non vuole avere a che fare con quella gente ricca che con i soldi non si è comprata la limpidezza” e con uno scambio riesce a trasferire la famiglia ad Anguillara Sabazia, perché la sua famiglia aveva bisogno “di una superficie acquatica su cui veleggiare”. E’ qui che la protagonista, tra il piccolo paese e le rive del lago, descritti con amore, vive la propria rabbiosa adolescenza, lacerata dallo stigma sociale della sua famiglia.

Nascondere ciò che ha alle spalle, nascondere la vera sé stessa e un forte autocontrollo sono le strategie con cui decide di affrontare la vita, gli altri. Il prezzo è non potersi concedere mai, non sentirsi vera, le amicizie servono solo per compattarsi, per difendersi dai genitori, dagli insegnanti, servono per sentirsi normali come anche avere un ragazzo, sperimentare i primi rapporti sessuali. Ma l’amicizia e l’amore sono troppo importanti per un’adolescente e le esperienze che si consumano sono comunque strutturanti. Se Carlotta e Agata sono le amiche “normali”, sono anche quelle che in tempi e modi diversi faranno sperimentare alla protagonista il tradimento.

Carlotta è comunque uno specchio che le rimanda un’altra parte di lei oscura, le farà conoscere una sessualità che rifiuta e le strade dolorose e crudeli attraverso le quali una ragazza arriva al suicidio. Iris sarà l’amica a cui forse ci si può concedere, quella con cui si può condividere una parte più vera di sé, il rapporto con i libri e la lettura, che la madre le ha imposto ma che ormai le appartiene, fino poi condividere molte altre cose. Ma tutte le relazioni sono complesse e lei non è brava a gestirle, nelle amicizie ci sono comunque equivoci, incomprensione, torti e a volte la morte, come quella di Iris, arriva prima della comprensione, del perdono. Ci sono poi i gruppi che si formano e si sciolgono, le amicizie estive per i tuffi dal pontile, i tramonti sul lago, le serate al bar o in discoteca. Le intese speciali come quella con Cristiano. Gli amori finti come con Luciano e quelli che si credono veri come per Andrea. E nuovi tradimenti. Il sentimento forte che accompagna la protagonista è la rabbia che se le fa affrontare difficoltà quotidiane, nei conflitti più difficili e laceranti esplode fino a episodi devianti al di fuori della legalità.

Gaia ha ereditato da Antonia, insieme ai capelli rossi e alle lentiggini, la rabbia, ma mentre l’agire di Antonia è progetto in lei è guerra, è “distruggere prima che siano gli altri a pensarci”. Costante il corpo a corpo con Antonia, la madre potente che comunque l’ha forgiata, che su di lei ha investito, che la controlla, perché su di lei ha un progetto: Gaia è quella che deve studiare, il liceo classico, l’università, il lavoro vero. E la protagonista accetta di cercare il suo riscatto attraverso lo studio, l’accanita conquista della lingua, di un metodo, di contenuti, fino al centodieci e lode in Filosofia, una laurea che è anch’essa una sfida, perché lei ora sa solo studiare e questo vuole continuare a fare, ma il suo progetto di ricercatrice viene rifiutato. Il suo titolo era “ Come parlano i malamati?”. Così si percepisce la protagonista: una figlia malamata, dalla madre, dalla famiglia, dalla società che la respinge, la taglia fuori, di nuovo. Un mondo che non rispetta più il patto di una promozione sociale attraverso lo studio, ma “è quello degli anni duemila che si prepara al precariato, alla disoccupazione, agli stage gratuiti”.

Le madri potenti come Antonia hanno sempre un progetto, ma a volte è semplicemente di incassare la sconfitta, forse solo di una battaglia e se i figli non lo possono accettare allora devono fare da soli, perché l’illusione dell’eternità dell’adolescenza é finita. Gaia resta sola e nell’ultimo capitolo una voce, forse dell’autrice, la guida fino al lago. Lasciamo la protagonista sola davanti a quelle acque e anche noi, non più giovani, perdiamo lo sguardo in quell’acqua mai dolce del lago interrogandoci su ciò che abbiamo dato e ciò che non abbiamo saputo dare ai nostri figli, sulle loro rabbie che non trovano sbocco, sul mondo che consegniamo loro, noi, che pur partendo da condizioni meno disperate di quelle di Antonia, abbiamo creduto di lottare per un mondo diverso. Migliore.


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