I sistemi criminali di Tor Bella Monaca

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Il 27 febbraio scorso un pregiudicato ha sparato cercando di colpire il suo avversario ed ha, invece, centrato una signora anziana; la donna è rimasta lievemente ferita. La vicenda è accaduta a Tor Bella Monaca quartiere alla periferia di Roma, in pieno giorno. Non è una storia isolata e non è solamente una vicenda di periferia. Tor Bella Monaca infatti è una realtà più composita, dove le forze sane della società civile sono attive, presenti e combattono per salvare e tutelare i più deboli: da Mamma Roma a TorpiùBella passando per Libera e gli scout. C’è il presidio culturale della libreria di Alessandra Laterza, c’è l’attivismo sociale di donne come Tiziana Ronzio, solo due anni fa nominata cavaliere della Repubblica. C’è la presenza costante dell’Osservatorio regionale per la sicurezza e legalità, che assieme a Libera, da due estati, organizza il cinema all’aperto “sottraendo” ai clan una delle piazze più proficue dello spaccio. Quest’estate la giudice Paola De Nicola Travaglini- magistrato dell’ufficio gip di Roma – ha risposto con parole di fermezza alla sfida delle vedette del clan che si aggiravano con i loro scuter intorno al sito dove si proiettavano i film. A Tor Bella Monaca ci sono i clan dei Cordaro-Sparapano, dei Moccia, ci sono figure apicali della criminalità locale come Manolo Monterisi, Chrisitan Careddu e Vincenzo Nastasi e poi la famiglia di origine nomade dei Bevilacqua. Gente spietata, con una grande disponibilità di armi anche da guerra, che fa spacciare i minorenni e che non si fa scrupolo di rapire i bambini quando non si pagano “i buffi” della coca. Gruppi criminali più volte colpiti dalle indagini dei carabinieri di Frascati, dalle inchieste della stazione dell’arma di Tor Bella autentico “Forte Apache” nel quartiere e della squadra mobile di Roma. Le inchieste dei pm della Distrettuale Barbara Zuin e Simona Marazza hanno interessato più volte i clan che, però, hanno “una straordinaria” capacità di recupero e dimostrano di poter comandare anche dal carcere. Tant’è che la DDA ha contestato e si è vista riconoscere dai giudici il metodo mafioso: è il caso del clan Cordaro. Il processo al clan in Corte d’Assise si è svolto in un clima di forte omertà, le parti offese non hanno mai sporto denuncia, tranne rarissime eccezioni, per i pestaggi, gli accoltellamenti, le gambizzazioni; hanno mentito alla Corte e sono stati reticenti. I giudici  hanno evidenziato: ”Questo atteggiamento ha costituito un importante elemento di valutazione per la sussistenza del metodo mafioso”.

Ci sono poi da ricordare alcuni dei più feroci agguati commessi nella guerra criminale locale: il primo gennaio del 2013 l’autovettura su cui viaggiavano Giordano Fabi e Simone Bonti, veniva colpita da 36 colpi di kalashnikov solo per un caso e grazie ad una repentina fuga i due occupanti rimanevano “solo” feriti, uno in maniera grave,;il l 30 febbraio del 2013 veniva assassinato Serafino Cordaro, il 6 febbraio del 2014 veniva assassinato a colpi di pistola Eduardo di Ruzza, figlioccio di Massimo Grillà, il 25 novembre del 2015 veniva ucciso in un agguato Salvatore Agostino. Sul quartiere aleggiano poi “le ombre” di Michele Senese e della ‘ndrangheta. In questa zona della capitale, come in altre periferie romane, è ormai avvenuta una “metamorfosi” e ci si trova di fronte a gruppi di stampo mafioso con contatti con la ‘ndrangheta dei Gallace e propaggini fino al litorale di Anzio e Nettuno. Famiglie come gli Sparapano e i Moccia che spesso sono unite anche da matrimoni e convivenze che servono, come nei clan tradizionali, a rafforzare i legami familiari. Ad esempio i Moccia, attraverso il matrimonio di Raffaele con Marzia Sparapano, hanno costituito con quella famiglia un solido legame. Accanto a questi gruppi organizzati ci sono però grandi energie positive dove in tanti fanno la loro parte nella lotta alle mafie. Per sostenere maggiormente questa lotta accanto all’impegno di investigatori e magistrati sarebbe però necessario un maggior investimento sul sociale, sulla scuola, sullo sport, sulla cultura anche alla luce delle risorse del Recovery Fund, perché bisogna ricordare che ciò che accade a Tor Bella Monaca ha un riflesso nelle altre parti dello “scacchiere criminale” capitolino e laziale. Perciò vincere i sistemi criminali a Tor Bella significa vincerli anche a Roma.


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