Covid-19, vaccini, enfasi politica e banalissimo senso comune

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Gli effetti collaterali (verticali e orizzontali) della pandemia portata dal coronavirus sono numerosi e taluni sebbene un po’ confusi e reticenti tutt’altro che insignificanti. Restano ferme (purtroppo) la polemica dei negazionisti di distinta natura e grado, così come l’opposizione pregiudiziale dei no-vax. In cima all’ordine del giorno saltano però adesso quelli relativi ai vaccini anti-Covid e soprattutto alle morti improvvise in vari paesi e continenti di persone alle quali era stato praticato l’Astra-Zeneca, prodotto dall’omonima multinazionale britannica, una delle imprese farmaceutiche più grandi del mondo. Alcuni decessi sono stati registrati anche tra persone vaccinate con diverse formule biochimiche realizzate da altre firme non meno potenti e famose. Ma in numero notevolmente inferiore.

La preoccupazione delle autorità sanitarie internazionali si è concentrata pertanto sui prodotti Astra-Zeneca e specialmente su alcuni lotti della sua produzione. Decidendo in numerosi paesi e regioni (tra cui l’Italia e gran parte dell’Europa) di sospenderne la somministrazione per il tempo necessario per verificare eventuali contro-indicazioni mortali. Non va dimenticato che l’urgenza di contrastare efficacemente il Covid, ha indotto gli stati non solo a finanziare generosamente le imprese farmaceutiche con investimenti di una grandezza senza precedenti; bensì ad accettare che queste venissero sollevate da ogni responsabilità penale e civile per gli eventuali danni causati dai loro vaccini. In quanto immessi sul mercato dopo una sperimentazione limitata a causa dell’improrogabile necessità di farne uso quanto prima possibile.

A mente fredda e cuore aperto, dovrebbe apparire pertanto del tutto ragionevole la cautela esercitata da governi peraltro di natura politica disomogenea. Invece non è cosi. Poiché qualsiasi governo, per il fatto stesso di essere espressione di una nazione costituita in stato, ovvero in via di principio espressionedell’interesse generale, viene visto da una parte più o meno rilevante degli interessi privati come usurpatore di diritti e funzioni primordialmente attribuiti ai singoli individui e alle loro rispettive corporazioni. Al punto di scatenare accesissime polemiche in cui accusano indifferentemente Draghi, Angela Merkel, Macron, Sanchez e perfino Biden di star sul punto digettare nel panico le rispettive popolazioni. Questi interessiparticolari, però, ostentando oltre misura tanta esagitazione, finiscono per esporsi essi stessi al sospetto di voler diffondere non disinteressati allarmismi.

Certo celebrano il relativismo (in questo caso delle vite altrui) in nome della loro verità che si pretende assoluta, perché è quella indiscutibile “della realtà così com’è” (siamo mica degli illusi alla Rousseau, lasciano intendere quando non lo dicono esplicitamente…): con un capitalismo un po’ vecchiotto che rivendica Adam Smith come neppure più tutti i fondamentalisti religiosi rileggono il Vecchio Testamento. Persone di qualità e spesso di buone maniere, non si lasciano arruolare dal negazionismo dichiarato, ma tanto meno lo combattono con l’impegno che riservano invece all’iniziativa pubblica. Perché il Covid, questo mostro camaleontico, esso sì, davvero privo di ideologia, insidia tutti senza distinzione nessuna. Suggerendo cosìl’idea che dobbiamo perciò combatterlo insieme ed è proprio quest’idea ad apparire a costoro doppiamente pericolosa.

In quanto il coronavirus uccide, però sappiamo e quanti per nobilitarsi usano mettere in mezzo gli antichi stoici”(che sapevano morire senza fare tante storie) sanno come chiunque altro, che la morte sta nella vita. Nondimeno per certi critici ben più grave è che il maledetto virus offra allo stato il pretesto per rafforzarsi. Così che fin da subito, già un anno fa, alle prime identificazioni del coronavirus,  il Nobel della letteratura Mario Vargas Llosa che la presiede, fece lanciare dalla Fondazione Internazionale per la Libertà un manifesto pubblico contro l’invadenza dello stato che riassume lo spirito diffuso ben oltre i circa 200 sottoscrittori, politici, scrittori, artisti, accademici di fede conservatrice o restauratrice soprattutto ma non esclusivamente latinoamericani: “Su entrambi i lati dell’Atlantico risorgono lo statalismo, l’interventismo e il populismo con un impeto che fa pensare a un cambio di modello lontano dalla democrazia liberale e l’economia di mercato”.  

Dalla diffusione di quel documento a oggi, abbiamo sepolto nel nostro pianeta oltre due milioni e seicentomila morti della pandemia che sul continente americano più di un capo di stato ha minimizzato o negato o guardato come a un’ineludibile fatalità. Auspicando apertamente in qualche caso la cosidetta “immunità di gregge”, ovvero l’imprecisata ma in ogni caso mostruosa quantità di morti necessaria a determinare una difesa immunitaria fisiologica generalizzata. Seguiti da minoranze non proprio esiguee comunque non irrilevanti, politici in primo luogo, personalità pubbliche a vario titolo note e perfino qualche scienziato o presunto tale. Ora i governi occidentali (ciascuno secondo le proprie possibilità e quelli europei per la prima volta in uno sforzo condiviso) tentano di portare avanti una vaccinazione di massa che permetta di rianimare economie al collasso, limitando per quanto possibile ulteriori perdite umane. Ma i “difensori della libertà” continuano a sentirsi prigionieri tra “l’orco filantropico e la morte”.


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