Buon viaggio, Bruno

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“Bruno se n’è andato”. La notizia della morte del giudice Bruno Tinti mi è arrivata oggi. Bruno era uno degli amici a cui mando la mie note mattutine e le commentava spesso per incoraggiarmi, ma anche per dissentire. Intelligente, ironico, colto, libero, Bruno lo avevo conosciuto quando lo invitai come relatore ad un incontro sulla giustizia. Prima di accettare, volle conoscermi. Prendemmo un caffè insieme e dopo avermi studiato per un po’, avvertii che la sua diffidenza era cessata. Mi chiese di dargli del tu, parlammo per quasi due ore di tutto, della sua vita da magistrato e della sua seconda vita come fondatore de Il Fatto, con soddisfazioni e amarezze. E nell’incontro che moderai, fu un relatore eccezionale. Facendoci fare una visita guidata negli angoli più remoti della magistratura, con padronanza assoluta e ironia, tenendo tutta la sala attaccata alle sue parole.

Litigammo (amichevolmente) solo quando iniziò a collaborare con La Verità. “Bruno, che ci fai tu in quel giornale?”, lo stuzzicavo. “Non ti ci mettere pure tu – mi rispondeva – e comunque mi fanno scrivere quello che voglio. Alla prima censura, me ne vado pure da qui (aveva già lasciato Il Fatto)”. Mi mancherà la sua amicizia e i suoi complimenti. Che mi allargavano il cuore: un suo “bravo” era ossigeno.
Buon viaggio, Bruno.
Per le persone libere, la morte è la restituzione della vita al destino. Che ce l’ha prestata per migliorare il mondo. E tu l’hai migliorato.

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